L’originalità del cristianesimo è quella di non essere la religione degli uomini ma la religione di Dio
Siamo nel tempo liturgico nel quale celebriamo la venuta di Gesù. Gesù è venuto a Betlemme nel mistero della sua nascita in mezzo agli uomini; Gesù viene in tutti i tempi per tutte le persone con i beni che porta con sé e che noi osiamo sperare dal momento che ha impegnato la sua parola; Gesù verrà nello splendore della sua gloria. Ciò che importa è essere vigilanti nell’attesa.
Il tema quindi è molteplice e nello stesso tempo unico: Dio che viene verso gli uomini.
Come abbiamo avuto occasione di rilevare altre volte l’originalità del cristianesimo è quella di non essere la religione degli uomini, ma di essere la religione di Dio. Nel cristianesimo, infatti, non sono gli uomini che cercano Dio, non sono gli uomini che, rispondendo a un impulso segreto, profondo, nostalgico, ricercano Colui che può appagare tutte le loro esigenze, ma è Dio che viene a cercarci e a stabilirsi in mezzo a noi. Questo è un fatto unico, impensabile, inconcepibile, che nessun’altra religione, nessun’altra filosofia ha saputo e potuto scoprire ed è il segreto della sovrana libertà dell’amore di Dio.
Se nel tempo il disegno di Dio è stato attraversato dal peccato, la volontà di Dio non è arrestata dinanzi alla ribellione dell’uomo. Venendo in mezzo agli uomini e intrattenendosi con loro come con degli amici – il modo nuovo che ha escogitato il suo amore infinito – supera tutta la malizia del peccato. Dio viene in mezzo a noi nel modo più conforme alla natura umana, viene personalmente come uno di noi per stare in mezzo a noi.
Ma la sua venuta non si conclude con la venuta storica del Figlio di Dio che diventa uno di noi e dimora in mezzo a noi. La venuta di Dio è un fatto che non s’interrompe mai, è un fatto continuo per tutti gli uomini di tutti i tempi. Qualcuno al tempo della vita mortale di Gesù avrebbe potuto pensare che fosse venuto unicamente per gli uomini del suo tempo e della sua terra ma, questo Gesù l’ha assolutamente escluso. Egli è venuto per cercare le disperse pecore di Israele di tutti i tempi e di tutte le nazioni, è venuto per la 99° pecorella, è venuto in definitiva appositamente per me personalmente.
Questa venuta del Signore è dunque contemporanea di ciascuno di noi; non contemporanea per modo di dire, ma contemporanea proprio al tempo in cui viviamo; e il tempo in cui viviamo non è semplicemente “i nostri tempi”, è il tempo che comprende ogni momento della nostra vita, oggi. In ogni istante della nostra esistenza c’è la disposizione e l’impegno fattivo da parte di Dio, di incontrarsi con noi. Egli sta sempre in attesa: “ecco che io sto alla porta e busso (Ap.3,20). Ci chiama con i nomi che suggerisce l’amore per poter entrare, per potersi stabilire in ciascuno di noi e porre la sua dimora in noi.
Indubbiamente l’attesa è e deve essere anche nostra, ma è soprattutto sua; questo è sconvolgente.
In questo tempo la liturgia celebra con una ricchezza particolare la venuta di Gesù. Con la riforma liturgica del messale quest’espressione: “Gesù viene; Gesù viene per ognuno di noi” è ripetuta nei modi più vari.
Dicevo che questa venuta è la venuta decisiva perché è quella che conta per noi. Se Gesù fosse venuto a Betlemme, avesse vissuto tutta la sua vita terrena, se avesse compiuto tutto quello che ha compiuto fino al dono totale di se stesso sul Calvario e non fossimo noi personalmente l’oggetto di tutto quello che Egli è e di tutto quello che egli ha fatto, che cosa comporterebbe la sua venuta?
E che cosa ci importerebbe l’ultima e definitiva venuta di Cristo nella potenza della sua gloria se egli non ci ha raggiunto nell’oggi della nostra esistenza?… Se egli non si è incontrato con noi, se non ha potuto diventare il nostro fratello, se non ha potuto raccogliere attorno, come primogenito di tutta la creazione, tutti gli uomini?… Se non ha potuto incorporarci a sé stesso e quindi farci partecipi della sua vita e dei beni della sua promessa?
I beni della sua promessa. Questi beni sono lui stesso in persona; egli è il Figlio di Dio fatto uomo, noi siano chiamati a diventare figli di Dio in Lui, con Lui, per mezzo di Lui. E siamo chiamati, destinati ad essere figli di Dio non in un modo qualsiasi, ma con la partecipazione alla vita stessa di Dio: cosa che ripetiamo, che meditiamo, ma la cui profondità e ricchezza non raggiungeremo mai.
La venuta di Gesù si realizza in noi nella misura in cui egli può affondare in noi la figliolanza divina, questo bene della partecipazione alla natura stessa di Dio, questo segno di gloria che è il mistero della nostra partecipazione all’esistenza delle divine Persone. E con questo bene ci vengono tutti gli altri beni, con questo tesoro ci vengono tutti gli altri tesori: la capacità di operare e stabilire dei rapporti personali con Dio e con gli uomini nella forza dell’amore che giorno per giorno possiamo acquistare per la venuta di Gesù in noi. Questo amore è il vertice della perfezione, è il vertice della vita in senso umano naturale e in senso soprannaturale.
Gesù ci porta la perfezione dell’amore. Giovanni proprio nel vangelo di questa domenica dice che Gesù ci battezza con lo spirito e il fuoco. Questo Spirito è l’amore di Dio che ci viene dato con la venuta di Gesù, che porta con sé il fuoco che è l’amore stesso di Dio che si stabilisce nei nostri cuori, li purifica, li irrobustisce, li rende malleabili a tutte le operazioni della grazia di Dio.
E con l’accoglimento di Gesù che viene giorno per giorno noi ci prepariamo alla venuta finale, allo splendore della gloria nella potenza e nella maestà. Questa venuta noi siamo abituati a spingerla lontano nel tempo, a fissarla a un momento particolare che conclude – diciamo così – la storia. Sarà anche così, ma questa venuta è di tutti i giorni.
La potenza del Signore si manifesta in tutti gli istanti per ognuno di noi: è la potenza con cui ci salva, è la potenza con cui ci comunica i suoi beni, è la potenza con cui ci fa, da figli del la carne e del sangue, figli di Dio, è la potenza con cui fa di noi coloro che sono benedetti dal Padre.
Noi accogliendo Gesù, accogliamo la benedizione del Padre e ci mettiamo dalla parte di coloro che saranno benedetti per sempre.
Il giudizio finale con tutto quell’apparato di potenza, con tutto quello scenario apocalittico che ci viene annunciato da Gesù è qualche cosa che si compie nel mistero, nel silenzio, nella pochezza, nei limiti della nostra vita quotidiana. Il giudizio finale non avrebbe senso se non ci fossero le note di quella sinfonia finale ed eterna che sarà la vita di Dio “tutto in tutti”; le note che si scandiscono nel tempo, con le pause di silenzio, che può essere anche il silenzio misterioso di Dio che non si fa sentire, ma soprattutto il nostro per poter sentire Lui.
Anche Dio tace, ma è importante che noi davanti a Dio siamo capaci di tacere. In questo tempo liturgico si legge un’antifona molto bella: “Dum medium silentium tenerent omnia et nox in suo curso medium iter habet, omnipotens sermo tuus, Domine, de coelis a regalibus sedibus venit” (Sap 18,14-15) Mentre tutto era immerso in un profondo silenzio nel profondo della notte, che rende più pieno, più evidente, più palpabile questo silenzio, la voce di Dio si fa sentire.
Il nostro silenzio è la condizione per essere vigilanti nell’attesa. Riflettiamo sul senso della vigilanza nella sacra scrittura; pensiamo alle vergini vigilanti. E’ ”vigile” colui che attende nel silenzio. Noi abbiamo bisogno di questa disposizione per l’incontro di Gesù che viene. Gesù che viene è la Parola e la parola non si accoglie, non si ascolta se non si tace, se non si dà all’altro la possibilità di parlare, se non si è silenziosi e disponibili.
Cerchiamo in queste poche ore di preghiera di fare in noi stessi un po’ di silenzio, perché la parola con tutta la sua pienezza si riveli in qualche grado in ognuno di noi.
OM 327 Montecastello 70 – 13-12-1970