Origine, valore e compito della assemblea liturgia
Stampa propria augurio pasquale nell’anno 1970
La nostra conversazione è motivata da un avvenimento straordinario della vita della Chiesa: l’andata in vigore del nuovo rito della celebrazione della Messa. Nell’intento di mettere in evidenza le linee direttrici del nuovo rito, ci soffermiamo sul tema dell’assemblea liturgica.
Noi non valuteremo mai sufficientemente l’importanza di questo avvenimento. Una riforma della celebrazione della Messa non avviene da circa cinque secoli, perciò lo possiamo ben considerare un avvenimento straordinario. L’avvenimento è tanto più straordinario in quanto propone la riforma non soltanto per qualche cosa di esterno, fosse anche la composizione dei testi che entrano nella celebrazione della Messa oppure i riti che ne accompagnano la celebrazione, ma perché ci introduce duce in una visione più chiara, più profonda della realtà della celebrazione e ci impegna di conseguenza.
La riforma che è stata promossa dal concilio di Trento e sancita da S. Pio V riguardava specialmente l’unificazione dei riti e dei testi che si usavano nella celebrazione della Messa. La riforma attuale, invece, riguarda la prospettiva secondo cui si deve concepire la celebrazione.
La prospettiva viene indicata in questo senso: è una azione comunitaria. Sempre, la Messa, di sua natura è stata una celebrazione comunitaria però l’accento, la visione, il modo di proporre la celebrazione della Messa, anche una certa teologia sulla Messa, non erano i più indicati perché ne risultasse davvero un’azione che riguardasse tutti e che fosse compiuta insieme. Invece questa ultima riforma è esplicita, nel modo più forte e più deciso, a definire la Messa come un’azione del Popolo di Dio che si riunisce per celebrare il memoriale del Signore. a La cena del Signore, o Messa, è la congregazione, l’assembramento del Popolo di Dio sotto la presidenza del sacerdote per celebrare il memoriale del Signore ” (I 7).
La celebrazione della Messa è una azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato (cf. I 1), quindi azione eminentemente comunitaria.
La costituzione sulla sacra Liturgia è dominata dalla preoccupazione che la riforma dei riti favorisca al massimo la partecipazione cosciente, attiva e fruttuosa dei fedeli alle celebrazioni liturgiche. L’Istruzione Generale del nuovo messale romano, che è la presentazione, quasi come il catechismo nuovo della Messa, ha corrisposto in pieno a quanto auspicava il Concilio nella Costituzione sulla Sacra Liturgia. I fedeli non sono chiamati soltanto a partecipare nel senso di prendere parte all’azione di un altro (per es., il sacerdote), ma a fare la loro parte in un’azione che è comune a tutti. Il popolo di Dio diventa l’attore principale di questa azione e con Gesù Cristo è l’attore totale.
Precisiamo due cose. La celebrazione della Messa è un’azione di nostro Signore Gesù Cristo. Credo che non sia necessario insistere su questo aspetto. Abbiamo sempre detto che la Messa è il sacrificio di nostro Signore Gesù Cristo, ma non abbiamo sufficientemente accentuato l’attualità di questo sacrificio che è compiuto da lui in persona con le disposizioni stesse con cui si è offerto in croce, con lo stesso amore e quindi con tutto se stesso. Essendo lui presente, è presente tutto ciò che egli ha fatto per la nostra salvezza. La Messa è questa azione per cui nostro Signore Gesù Cristo è in mezzo ai suoi in questo momento ed in questo luogo ad offrire al Padre con i suoi fratelli ciò che ha già offerto sul Calvario.
La Messa non è soltanto l’attualizzazione di ciò che ha compiuto il Cristo storico, ma è l’azione del Cristo glorioso presente in mezzo ai suoi come Capo del suo Corpo, cioè della sua Chiesa, Popolo di Dio adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.
Ma, che cosa si intende per popolo di Dio? Il popolo di Dio sono tutti quelli che Dio chiama: sono tutti i credenti, i battezzati e quelli che Dio solo conosce come suoi. Hanno tutti la stessa dignità di figli di Dio, sono tutti soggetti al comandamento dell’amore, hanno tutti indistintamente bisogno degli stessi mezzi di salvezza e sono tutti responsabili delle sorti del Regno di Dio.
Quando diciamo ” popolo di Dio ” dobbiamo intendere tutti, dal Papa all’ultimo che è stato battezzato. Il Papa, i Vescovi, i sacerdoti non sono fuori dal popolo di Dio, sono popolo di Dio come tutti gli altri, ma hanno una loro funzione al servizio del popolo di Dio, perché esso possa esistere perché possa espletare l’azione a cui è chiamato da Dio stesso. Come i sacri ministri non possono dire ” noi siamo la Chiesa “, neppure i laici possono dire: ” noi siamo la Chiesa “.
Quando invece a questo a noi ” attribuiamo un significato comprensivo di tutti i membri del popolo di Dio, allora possiamo dire: noi siamo la Chiesa, io sono la Chiesa; io battezzato sono la Chiesa in quanto sono in comunione con tutti i battezzati e sono in quella comunione ordinata gerarchicamente nella quale hanno la loro funzione i sacri ministri; altrimenti non sono la Chiesa. Perché sia vera questa nostra affermazione, dobbiamo accettare ed immergerci nella comunione con tutti quelli che sono battezzati come noi e nella comunione con tutti quelli che da nostro Signore Gesù Cristo hanno avuto un ministero, una funzione, un compito per la nostra unità, per la efficienza della nostra stessa comunione.
Ho fatto queste precisazioni perché quando si ascoltano certe affermazioni della Istruzione Generale si può rimanere, da una parte sorpresi, perplessi e dall’altra tentati a rivendicare posizioni per niente legittime.
Il popolo di Dio che si raduna per l’assemblea liturgica deve essere concepito come è stato concepito da Dio: tutti uguali nella dignità di figli di Dio e ciascuno con il suo compito particolare. Se entrano in funzione tutti i compiti, se davvero si esercita l’azione responsabile di ciascun membro del popolo di Dio, cioè dell’assemblea liturgica, allora le cose sono a posto, sono vere sono autentiche. Allora possiamo parlare con tutta tranquillità e dire veramente che la celebrazione della Messa viene fatta dall’assemblea liturgica; viene fatta-come vedremo-dal popolo di Dio che si raduna in quel luogo, in quel momento.
Quindi la più grande novità e la più radicale riforma in cui siamo impegnati consiste nel capire il ruolo attribuito all’assemblea liturgica, porzione del popolo di Dio che in quella chiesa, in quel momento è l’espressione concreta e piena della realtà misteriosa che è tutto il popolo di Dio.
Ci troviamo di fronte a una ricchezza tutta da scoprire nella quale a poco a poco dobbiamo entrare perché diventi un elemento della nostra esistenza religiosa.
Origine dell’assemblea liturgica
Donde ha origine la realtà che noi chiamiamo assemblea liturgica, cioè, in concreto, il fatto della gente che è in chiesa in questo momento insieme al prete per celebrare la Messa? L’origine prima, il fondamento è nella volontà di Dio, il quale ha voluto fare di noi la famiglia dei suoi figli, il suo popolo, gente che sta insieme perché riconosce di partecipare la propria vita da un unico Padre, gente che-di conseguenza-riconosce di avere una fraternità che va molto al di là di quella della parentela e si annoda in Dio stesso il quale per ognuno di noi è Padre. Quindi, come avete sentito ripetere tante volte, il piano di Dio, la volontà di Dio, ciò che Dio si propone di ottenere attraverso tutto ciò che fa nella storia della salvezza, che ha la sua massima espressione, la sua più alta efficacia realizzatrice nel mistero della Incarnazione del Figlio e nel mistero della sua morte e risurrezione, è di avere un popolo che sia suo, una famiglia di figli, fratelli tra di loro.
Noi ci troviamo in chiesa in questo momento per celebrare la Messa non tanto perché lo abbiamo deciso noi, o per soddisfare un precetto o per compiere un atto religioso o per altri motivi; prima di ogni nostra decisione c’è quella di Dio di costituirci membri del suo popolo e le nostre decisioni, per essere cristiane, devono essere una conseguenza della decisione di Dio.
Quindi al primo posto, il primo presente, il più presente, Colui che desidera, vuole, sollecita, rende possibile la nostra presenza è Dio che ci vuole salvare e vuole diventare il nostro Padre e vuole farci partecipi di tutti i suoi beni e introdurci nella comunione della sua vita in questo modo: non ognuno per nostro conto senza nessun legame vicendevole, ma come membri di una stessa famiglia, come membri di uno stesso popolo, come membra di uno stesso corpo, come pietre di uno stesso edificio. Ecco qual è l’origine e il fondamento dell’assemblea liturgica. Ripeto ancora una volta: la volontà di Dio di costituirsi un popolo.
Valore dell’assemblea liturgica
Che valore ha quel gruppo di persone che assistono a quella Messa? Possono essere duemila o trentamila, possono essere duecento o venti o due. E’ più importante una assemblea liturgica di duecento persone, di venti o di due persone? Come fatto liturgico cristiano, come avvenimento di salvezza, il quale si inscrive nella volontà di Dio ha certamente più valore una assemblea di due persone che veramente siano animate da un determinato grado di fede, di speranza, di carità, in confronto di quella di duemila persone che non sono animate dallo stesso grado di fede, di speranza e di carità. Siamo abituati a dire: ” che Messa ! non c’era un posto vuoto “, ma ognuno occupa il suo posto sul banco o contro un pilastro; ognuno si ascolta la sua messa, fa la sua comunione, magari seccato che gli altri cantino e lui non può dire le sue preghiere…
L’assemblea liturgica ha il suo valore perché esprime tutto il mistero del popolo di Dio. Il popolo di Dio è una realtà, che va oltre ciò che si vede; oltre le persone che sono presenti, oltre il lato esteriore delle azioni che esse compiono e che si percepiscono, c’è tutta una ricchezza di elementi che non si vedono e che chiamiamo misteriosi perché sono nascosti. I sentimenti di fede, di speranza, di carità che sono nel cuore di ognuno, la presenza di Dio in mezzo al suo popolo: del Padre e tutto ciò che Egli ha fatto per costituirci come suo popolo, fino a darci il suo Primogenito; del Figlio e tutto quello che Egli ha fatto perché noi fossimo l’unica famiglia dei figli di Dio; dello Spirito Santo il quale con la sua azione ancor più misteriosa, perché nascosta, porta a compimento ciò che vuole il Padre, ciò che ha fatto il Figlio per ognuno di noi. Ecco i grandi valori, i beni inestimabili che nasconde e di cui è portatrice l’assemblea liturgica.
In una piccola assemblea c’è tutta la realtà del popolo di Dio. Ma come è possibile che ci sia tutta la realtà del popolo di Dio dal momento che non tutti i membri del popolo di Dio sono presenti? Qui è un punto su cui dobbiamo chiarire le cose. L’assemblea liturgica non ha valore perché cantano tutti-è buona cosa che tutti cantino-; non lo ha perché tutti fanno la comunione-è cosa bellissima e importantissima che tutti facciano la comunione -; non ha valore perché c’è tanta gente. Ha valore perché in questo momento l’azione di Dio, Padre, Figlio, Spirito Santo ha una intensità unica per raggiungere lo scopo che Dio si prefigge di raggiungere nei nostri confronti per salvarci e per salvare i nostri fratelli.
Questo è il fondamento del valore dell’assemblea liturgica, da cui deriva il valore ecclesiale dato dal grado delle disposizioni interiori, dal comportamento esteriore e dal numero dei presenti.
Inoltre, nel mistero dell’assemblea liturgica c’è la presenza di tutti i credenti e di tutti quelli che sono nella mente di Dio che salva.
Sono presenti perché li tiene presenti Dio. Sono presenti perché li teniamo presenti noi con la nostra fede. Se io voglio fare parte di una autentica comunità liturgica debbo credere alla comunione dei santi, anzi essere in comunione con tutti quelli che sono santificati dall’azione di Dio per Gesù Cristo nello Spirito Santo; debbo essere in comunione di speranza con tutto il mondo: ogni Messa, ogni celebrazione è la celebrazione della messa di tutto il mondo. Se noi non siamo in comunione con tutto il mondo la nostra assemblea è una povera assemblea; a celebrare la Messa non ci si va da soli, non si lasciano fuori gli altri figli del Padre; sarebbe una Messa senza carità.
In questo senso, questa assemblea liturgica è l’espressione nel tempo e nel luogo di tutto il mistero del popolo di Dio. Ecco: devo prendere coscienza che io, qui, con i miei fratelli, con il sacerdote, nel compimento di ciò che sta accadendo, sono la Chiesa, sono il popolo di Dio, porto in me e con me tutto il mistero cristiano, tutto il mondo e tutte le creature le quali attendono da me mente e cuore per lodare il loro Creatore.
Compito dell’assemblea liturgica
Da premettere che a celebrare “, in senso cristiano, comporta fare qualche cosa di solenne insieme, in un clima festoso, ricordando le cose meravigliose che Dio ha compiuto per noi, dal momento che esse sono attuali, rimangono presenti e sono effettivamente operanti.
La sorpresa, lo stupore, l’ammirazione, la gratitudine, la lode e la gioia sono i naturali sentimenti che devono animare coloro che hanno coscienza di trovarsi immersi nel mistero della presenza e dell’azione del Dio vivente, il quale compie meraviglie per i suoi figli.
Le meraviglie di Dio culminano nella morte risurrezione e nel ritorno di Cristo, che costituiscono l’oggetto specifico della celebrazione liturgica. Se ciò che esse contengono di inaudito di sconvolgente, di ineffabile; se la forza della loro potenza che coinvolge la nostra persona e capovolge la nostra condizione-trasferiti dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, la quale non nasce dalla carne ma da Dio e che alla fine sarà per sempre stabilita nella pienezza traboccante di comunione all’esistenza stessa di Dio-; se tutto questo che costituisce la sostanza dell’evento della salvezza non arriva a sorprenderci, a stupirci, a turbarci ” in tremore et laetitia “, la nostra celebrazione non è ancora, o non è più cristiana.
La celebrazione della Messa come azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato è il centro di tutta la vita cristiana, è il culmine dell’azione con cui Dio in Cristo santifica il mondo ed è il momento più alto del culto che gli uomini tributano a Dio (cf. I 1).
Più semplicemente: la celebrazione della Messa è il convenire in un sol luogo per formare un cuore solo, una mente sola, un’anima sola fra tutti i presenti, sotto la presidenza del sacerdote ” ad memoriale Domini celebrandum “, per celebrare il memoriale del Signore. L’assemblea celebra il memoriale del Signore. Noi questo lo esprimiamo con le formule, che possono diventarci molto familiari, ma delle quali ci può sfuggire la pienezza di significato: le acclamazioni dopo la consacrazione:
” Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta “.
a) Celebriamo la morte del Signore
Questa espressione, che si appunta su un particolare della vita terrena del Figlio di Dio fatto uomo, ha una estensione che equivale a tutta la esistenza terrena e a tutta la missione del Figlio di Dio per tutti gli uomini.
L’assemblea liturgica celebra la parola di Dio. L’ultima parola di Dio, la pienezza della parola di Dio, la parola definitiva di Dio è Gesù Cristo in persona: tutto ciò che è, tutto ciò che ha fatto, tutto ciò che vuole, tutto il suo Vangelo.
L’assemblea è adunata dalla Parola del Signore; perché tutto ciò che fa parte del cristianesimo è misterioso, vi è presente l’uomo ma soprattutto Dio: l’assemblea liturgica fa qualche cosa e a sua volta è fatta. Fa qualche cosa: celebra la Parola del Signore, si mette in ascolto della Parola di Dio, ma nello stesso tempo è fatta, è edificata, è cementata dalla Parola stessa di Dio, la quale non è condizionata dalla nostra intelligenza, dalle espressioni verbali di cui la rivestiamo; la Parola di Dio è Dio in persona che parla agli uomini. Nel momento della celebrazione della Parola, Iddio dall’interno, il suo ministro dall’esterno, edificano l’assemblea, edificano l’unità dell’assemblea, aprono le vie, spingono, fanno camminare verso l’unità. La Parola di Dio, le Divine Persone, fanno tutto questo mentre noi celebriamo la Parola del Signore. La Parola del Signore è prima di noi, è al di sopra di noi, vale più di noi e fa ciò che propone. La grande proposta è che noi siamo figli di Dio, la grande realizzazione è che noi ci comportiamo, siamo, stiamo insieme come figli di Dio.
Per arrivare a questo traguardo di stare tutti insieme, di fare una cosa sola dobbiamo superare il grande ostacolo che è il nostro ” io “. Gesù Cristo dice che farà di noi tutti una cosa sola quando sarà innalzato da terra sulla croce (cf. Gv 12, 32). Celebrare la morte del Signore, celebrare tutto Gesù Cristo, celebrare la sua Parola comporta necessariamente che noi rinneghiamo noi stessi, che la morte del Signore sia celebrata nelle nostre persone con la nostra morte: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, porti la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23), “Non sono più io che vivo, in me vive Cristo ” (Gal 2,20). Questo è l’evento che accade mentre celebriamo la morte del Signore.
b) Proclamiamo la tua resurrezione
Gesù Cristo, come uomo, muore in croce, ma la potenza di Dio lo risuscita ed egli vive la vita definitiva da cui sgorga quella che egli ha portato su questa terra e che vuole sia abbondante in ciascuno di noi. E’ la vita nuova. E’ la nuova creazione da cui hanno origine le nuove creature: i figli degli uomini diventano figli di Dio. Mentre nel mistero di Cristo è il Figlio di Dio che si fa uomo, nel mistero cristiano è il figlio dell’uomo che diventa figlio di Dio per la forza della potenza della sua resurrezione. La forza della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo è la forza che immette nel mondo, nella persona degli uomini una nuova realtà, una nuova vita.
L’assemblea liturgica proclama la risurrezione del Signore. In che modo noi la proclamiamo ? Se celebriamo la morte del Signore col rinnegamento di noi stessi, proclamiamo la sua resurrezione con il rinnovamento di noi stessi. Diventare nuovi è bello, è stimolante. La domenica per andare a Messa tutti mettono il vestito da festa, hanno riordinato la loro persona e così vanno alla celebrazione. Di fatto però è al momento in cui usciamo da Messa che siamo rivestiti di novità: di una novità di vita, di pensieri e di sentimenti nuovi siamo carichi di energia nuova per camminare da figli di Dio e da fratelli.
c) Nell’attesa della tua venuta
Gesù Cristo è venuto su questa terra e poi è ritornato al Padre per preparare un posto a ciascuno di noi (cf Gv 14,2). Celebrando il memoriale del Signore dobbiamo prendere coscienza della dimensione escatologica della esistenza cristiana: ” non hic habemus manentem civitatem ” (Ebrei 13,14). La nostra vita non si consuma qui; noi siamo un popolo in cammino, un popolo pellegrinante verso la città futura, verso la dimora eterna, verso la casa del Padre. Gesù Cristo ritornerà per prenderci, per portarci con se. Il cristiano deve prendere coscienza di tutto questo, fare entrare nell’intimo di se stesso la certezza che c’è un’altra vita, che va sicuramente verso quest’altra vita e lasciarla trasparire da tutto il suo comportamento. Niente è definitivo in questo mondo, niente è assoluto in questa vita. Definitiva e assoluta è soltanto la fine. In questo nostro mondo, in questi nostri tempi, quando in alcune zone del mondo pare si sia raggiunto il paradiso in terra perché non manca più niente e c’è abbondanza e saturazione, quanto diventa insidioso il pensiero che il paradiso ce lo costruiamo qui ! Quanto senso di inferiorità a volte ci può essere in certi nostri atteggiamenti di fronte a quelli che ci accusano di non essere capaci di costruire un paradiso in terra e perciò ne abbiamo inventato uno nell’altro mondo. Di fronte a questa accusa abbiamo quasi vergogna di proclamare il Paradiso, la coscienza si assopisce, ed esaltandoci nell’impegno di edificare la città terrena, finiamo di lasciar credere di aver ormai abbandonato il proposito di tendere verso la città eterna.
L’ambito dell’azione dell’assemblea
L’ambito di azione dell’assemblea liturgica non è semplicemente quello dell’edificio dove si celebra la Messa. L’ambito della celebrazione liturgica è l’esistenza umana, è la nostra esistenza quotidiana nella situazione in cui ci troviamo, con i problemi che dobbiamo risolvere, con le gioie e le tristezze che accompagnano lo svolgimento della nostra vita.
Questo è il punto più impegnativo della celebrazione. Da una parte c’è il grande avvenimento della salvezza che è compiuto da Dio, nel quale noi siamo coinvolti per svolgere la nostra parte con tutta la nostra responsabilità e che ha la sua massima espressione e densità nella celebrazione liturgica; dall’altra parte ci sono gli avvenimenti a cui abbiamo accennato e nei quali noi viviamo: avvenimenti di vita, di morte, di gioia, di dolore, avvenimenti personali, comunitari, nazionali, internazionali, a tutti i livelli, da quelli economici a quelli politici ecc.
La celebrazione cristiana, secondo il senso della divina rivelazione, si differenzia totalmente dalle celebrazioni civili e da quelle delle altre religioni; non è una pura rievocazione storica sia pur carica di forza evocativa e neppure una ritualizzazione di eventi religiosi miticizzati, magari con contenuti magici. Essa è il momento forte, garantito dal segno sacramentale di istituzione divina, dell’evento salvifico attuale ed efficace per tutti i tempi della storia.
Esiste un altro aspetto, a cui abbiamo già accennato, il quale decide dell’atteggiamento di chi prende parte alla celebrazione: gli avvenimenti della salvezza hanno Dio e gli uomini come protagonisti. Dio prende l’iniziativa, compie la totalità dell’azione, ma coinvolge la libera responsabilità degli uomini ad entrare nell’evento, anzi li abilita a compiere la loro parte.
Questo è il senso di tutti gli avvenimenti registrati dalla storia sacra, i quali sono figura e garanzia di ciò che accade durante tutto il tempo della storia e che tocca tutti gli uomini.
La celebrazione liturgica è su questa linea e in questo senso.
Ciò che accade durante la celebrazione è un evento di salvezza: l’Istruzione la definisce ” actio Christi et populi Dei “, che si pone come centro di ciò che è più intimo in ogni evento, la vita; di tutta la vita dei cristiani (cf I, 1).
L’evento celebrato nella Messa è quello della totalità del mistero di Cristo, centrato nella sua Morte-Risurrezione e già presente in tutti i misteri della sua esistenza terrena.
Giova, per una visione e comprensione globale, tenere presente che il Cristo è la Parola del Padre in persona, il Verbo, e che gli episodi, i gesti e le parole di Cristo sono tutti ordinati e riepilogati nella Parola dal significato e dalla potenza salvifica più ” densa ” che è la sua Morte e Risurrezione e che di conseguenza Cristo, Parola di Dio, è I’ ” evento cristiano “.
Partecipare alla celebrazione cristiana quindi, non è semplicemente fare qualche cosa in una azione religiosa, ma essere coinvolti in un evento che si compie nello spazio di luogo e di tempo di quel momento preciso della nostra esistenza.
Prendere un atteggiamento, compiere un gesto, pronunciare o cantare delle parole, svolgere un compito può rimanere segno; soltanto la fede oltrepassa il segno e raggiunge l’evento. Il segno è la garanzia della presenza di Cristo e della sua azione, dopo di che ha solo una funzione pedagogica per cui, quando lo si accentua, rischia di bloccare piuttosto che avviare alla realtà che contiene e manifesta.
Solo la fede rende vivi ed autentici i gesti liturgici e fa oltrepassare le espressioni visibili per raggiungere il cuore dell’evento celebrato, dove le divine Persone e la persona degli uomini intrecciano un’alleanza che impegna per la vita.
L’evento salvifico poi non riguarda gli uomini avulsi dal contesto in cui vivono, ma li coglie concretamente come sono, figli della loro terra e del loro tempo. L’evento salvifico accade in mezzo agli eventi che formano la trama della esistenza di ogni persona.
A questo proposito nasce forse la più grave difficoltà della pastorale liturgica: come inserire l’evento salvifico nell’evento contingente; oppure come può l’evento contingente essere assunto nell’evento salvifico.
Per avere, non delle risposte, ma delle linee sicure entro cui muoverci, è indispensabile tenere presenti alcuni fatti incontestabili.
Perché una celebrazione sia cristiana è necessario:
-che avvenga l’annuncio del mistero di Cristo nel quale sono ricapitolate tutte le cose;
-che sia un atto che rende presente Dio che previene ogni nostra iniziativa; un atto che dà corpo alla iniziativa di Cristo, il quale precisamente nella celebrazione è presente, parla, attualizza il suo sacrificio, prega, comunica i suoi misteri, ecc.: Lui deve rimanere con chiarezza l’attore principale;
-che il valore della vita che si esprime o quello di un avvenimento sia esplicitamente cristiano.
Dio è all’opera, per mezzo di Cristo e nello Spirito in ogni avvenimento, ma questo non è evidente. E’ compito della celebrazione cristiana scoprire la presenza dell’azione di Dio, riportarci faccia a faccia davanti a Lui per ascoltarlo, accoglierlo e impegnarci in ciò che compie Lui e che va molto al di là di ciò che si scorge a prima vista nell’evento; siamo costretti a cedere a Lui, il Signore, il posto centrale di ciò che accade.
Quando pensiamo alle celebrazioni di prima comunione, della cresima, del matrimonio, delle esequie durante la Messa, scorgiamo all’evidenza quanto l’evento della Messa sia distanziato rispetto all’evento, sia pure religioso, che interessa immediatamente la vita dei partecipanti. Qui si tocca con mano quanto la fede di quelli che partecipano alle nostre celebrazioni sia inadeguata alle azioni di cui dovrebbero essere attori.
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Si rende indispensabile e urgente tutta una azione, tutta una pastorale per educare l’assemblea liturgica, per far sì che quelle persone che sono a Messa diventino realmente una assemblea liturgica, perché non siano degli spettatori di fronte a un avvenimento, ma degli attori impegnati in un’azione; per far sì che ognuno dei presenti non ci sia solo per conto proprio, ma ci sia per tutti gli altri e agisca con tutti gli altri; per far sì che ognuno dei presenti faccia la sua parte: cantare, leggere, servire all’altare, guidare e animare l’assemblea, ecc; in particolare per dare il sigillo ecclesiale alle preghiere del sacerdote con consapevolezza. Quei brevissimi e piccolissimi ” Amen ” che si dicono durante la Messa sono come la firma del notaio su un atto legale. Voi avete potuto stendere un atto importante, ma se manca la firma del notaio, non vale. Il sacerdote può aver recitato la preghiera più solenne, se manca l’a Amen ” dell’assemblea quella preghiera non è ratificata, non è fatta propria in modo ecclesiale, liturgico, da parte del popolo di Dio. Dire ” Amen ” vuol dire: a quello che hai detto tu lo diciamo anche noi; va bene e noi ci impegniamo nel senso delle tue parole “.
Capite, a questo proposito, quanto cammino ci sia da fare per indurre i nostri uomini, i nostri giovani, le donne, tutti, a prendere coscienza di questa realtà, di questo fatto, di questo compito, di questa funzione, del valore di questa azione e della parte che ognuno di noi ha nel compimento della celebrazione liturgica della Messa.
Terminando mi permetto di fare un richiamo. Tutte le nostre comunità parrocchiali in questo momento sono impegnate con la nuova celebrazione della Messa. Spuntano le chitarre, i canti nuovi e altre novità, ognuna delle quali può avere la sua importanza; però guai a fermarci qui.
Se i membri di una comunità parrocchiale pensassero di avere rinnovato le celebrazioni perché il canto è perfetto, il servizio è perfetto, ecc… senza aver acquistato coscienza di essere il popolo di Dio, e della funzione che svolgono nel momento di annunziare la morte del Signore, di proclamare la sua resurrezione nell’attesa della sua venuta, non avrebbero in realtà rinnovato nulla.
Noi oggi rischiamo di fare un nuovo genere di ritualismo, quando con una presunta pastorale liturgica, invece di accentuare la catechesi del contenuto delle azioni liturgiche, ci fermiamo quasi esclusivamente a preparare una buona esecuzione.
Presentazione dell’opuscolo
La conversazione che vi offro in occasione di questa S. Pasqua è il tema che ho svolto negli incontri vicariati con i nostri Sacerdoti e nei convegni di Religiose e Laici di questi ultimi mesi. E’ tratta da una registrazione e ne comporta difetti e pregi: difetti di precisione, di completezza riguardo al contenuto e alla forma, forse pregi di immediatezza e di semplicità di linguaggio.
Mi preme soprattutto che abbia risalto l’importanza del tema e che diventi sempre più operante l’impegno di penetrarlo e di farlo diventare patrimonio della nostra vita religiosa.
Buona Pasqua !
Vostro Carlo Ferrari Vescovo
Mantova, Domenica delle Palme, 1970
Assemblea Liturgica 70
Stampa propria ” L’assemblea liturgica” .Omaggio come augurio pasquale nell’anno 1970