Duomo 24 novembre 1974 festa di Cristo Re
Carissimi, in certe circostanze ci si sente piccoli e impari al compito che si deve svolgere. Sapete quasi per esperienza che il vescovo non ha difficoltà a parlare, ma questa sera sono tanto titubante nel prendere la parola pur sapendo che non è parola mia. Sono titubante proprio per questo, proprio per essere fedele a questa parola che deve risuonare qui nella continuità della celebrazione della Parola di Dio, in questa ultima domenica dell’anno dedicata a nostro Signore Gesù Cristo re dell’universo e al termine di giorni di grazia, come sono stati quelli delle sante missioni.
Indubbiamente ciò che è avvenuto in mezzo a noi in questi giorni lo sa soltanto il Signore. Lo sa soltanto il suo amore che ha operato nella persona di ciascheduno di noi, per mezzo del ministero della chiesa, che è la continuazione sacramentale, attraverso i segni delle parole e dei gesti che si compiono nella chiesa, del ministero stesso dinostro Signore Gesù Cristo.
Iddio ha costituito in mezzo a noi, nelle vostre persone, nelle vostre coscienze, nei vostri cuori il suo Regno. Il regno di Dio che con Gesù Cristo è entrato nel mondo, in questi giorni è entrato più profondamente in questa porzione di mondo che è ciascheduno di noi, che é ogni nostra persona, perché, vedete, non siamo noi che entriamo nel regno di Dio. E’ il regno di Dio che entra in noi. In altre parole, non siamo noi che cerchiamo il Signore, non siamo noi che facciamo la sceltacome si ama ripetere molto ambiguamente ai giorni nostri. E’ il Signore che ha deciso. E’ il Signore che ha scelto. E’ il Signore che riversa il suo amore su di noi al punto che attraverso la storia della salvezza che si ricapitola e diventa concreta e reale in ciascheduno di noi in ogni incontro di grazia, Egli si intrattiene con noi come con degli amici.
Questo è quello che certamente Egli ha fatto in questi giorni soprattutto con il ministero della parola. Era parola di Dio. Era lui che parlava. Era Lui, Dio, il creatore del cielo e della terra, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo che parlava come un amico. Era un amico che s’intratteneva con gli amici. Noi, alle volte, siamo così indifferenti, così apatici e in un certo qual senso così ostili che ci domandiamo se possiamo rimanere gli amici di Dio. Lui ci considera sempre come suoi amici. S’intrattiene sempre con noi. Si è intrattenuto con noi in questi giorni per farci capire che cosa siamo noi per Lui. E non tanto ciò che Egli è per noi. Sì anche questo, ma questo noi lo comprendiamo – di riverbero – nell’universo dove rivela che è grande, potente, forte e ricco.
Il nostro Dio vuole soprattutto farci capire chi siamo noi per lui con questo mette a nostra disposizione la sua grandezza, la sua potenza, il suo amore tenero e paterno, il suo amore vero, aperto e misericordioso. Ci parla con le espressioni più tenere che possiamo immaginare, anzi, con le espressioni che superano infinitamente quelle che noi possiamo immaginare, così che l’evangelista può dire, – quante volte lo avrete sentito ripetere in questi giorni! – “Vedete quale amore ci ha dimostrato Dio dandoci il Figlio suo”. Questo non è un modo di dire. Questo non é un’espressione letteraria. Questo è un fatto storico, concreto che Dio ha compiuto per ciascheduno di noi. Ci ha dato il suo Figliolo per farci partecipi della sua natura.
Il Figlio suo diventa partecipe della nostra natura, diventa uno di noi: è bambino, ragazzo, adolescente e uomo, cresce in età, esperienza e grazia; prende della nostra vita le gioie, i dolori, le soddisfazioni e le tristezze, abbraccia la croce perché c’era un profondo spessore da attraversare posto tra Dio e noi e tra noi stessi gli uni verso gli altri, costituito dal peccato. Questo spessore egli lo spezza, lo rompe col suo amore. Ecco: Gesù Cristo è l’espressione dell’amore del Padre per ciascheduno di noi, e dal momento in cui il Figlio di Dio è diventato partecipe della nostra natura noi non a parole ma di fatto, siamo figli di Dio.
Il fatto che ognuno di noi è dichiaratamente figlio di Dio, è un fatto impensabile che sconvolge tutte le filosofie, tutte categorie del pensiero umano, tutte le capacità d’immaginazione dell’intelligenza umana. Possiamo essere poveri uomini e povere donne secondo i giudizi del mondo, ma secondo il giudizio di Dio, secondo l’occhio di questo nostro creatore e padrone dell’universo, noi siamo i suoi figlioli destinati ad una vera comunione di vita con lui. Comunione di vita che vuole dire, avere in comune la vita con Dio e non la vita con qualsiasi persona.
E’ già una gran cosa, è già la più bella cosa che può realizzarsi in questo mondo, il mettersi in comunione di vita con un’altra persona per esempio: nel matrimonio, nell’amicizia, tanto più se l’amicizia è profonda. Ma, provate a pensare ad una comunione di vita con Dio stesso, così che tra noi e Dio non c’è più “il tuo e il mio”! Pensateci! Non c’è più il tuo e il mio ma, tutto quello che è di Dio, è nostro! E’ cosa grande che noi siamo figli di Dio, ma più grande cosa sopra tutte le cose è: che Dio sia nostro, che ciò che è di Dio sia nostro, che la pienezza della vita, (che dono la vita!) sia nostra, che la pienezza dell’esistenza senza limiti di spazio, di tempo, di aspirazioni, di esigenze che é in Dio, sia già in noi. Sia già per noi oggi, adesso nella speranza per la promessa garantita dalla parola stessa di Dio e sappiamo che Dio è fedele, sappiamo che Dio mantiene fede alla sua parola. E’ già tutto nostro oggi e diventerà definitivamente nostro quando lasceremo questo mondo.
Sì, miei cari, perché noi, — per tutto questo che abbiamo chiamato il Regno di Dio che viene incontro a noi, il Regno di Dio che entra in noi, o meglio, l’amore di Dio che penetra nella nostra persona attraverso il mistero del Figlio fatto uomo e per mezzo dell’azione dello Spirito Santo — per tutto questo diventiamo sempre di più lo spazio nel mondo della presenza di Dio e della manifestazione del suo amore.
Tutto questo noi lo realizziamo nella storia, ossia nel tempo, in questo tempo, nel nostro spazio, in mezzo a ciò che Dio ha fatto per noi in tutto l’universo, in tutto l’universo che oggi la scienza ci mette davanti nella sua grandiosità e che la tecnica domina meravigliosamente. Tutto questo universo è per l’uomo. Tutto questo universo è dono di Dio all’uomo.
Stiamo attenti, miei cari, perché possiamo passare impercettibilmente, senza accorgercene, dal regno di Dio al regno del mondo, da Dio che entra nella nostra vita per riempirla della sua esistenza, all’illusione di riempire noi stessi dei beni che sono intorno a noi. Sì. Tutto è nostro ma tutto è dono di Dio. Se la scienza scopre il mondo, la scienza scopre ciò che già esiste; se la tecnica si serve delle energie che sono nel creato, si serve di ciò che Dio ha già posto nel creato. La scienza e la tecnica non creano nulla, applicano semplicemente.
C’è il pericolo di dimenticarlo e di credere che l’uomo sia il creatore e il padrone dell’universo. C’è il pericolo di credere che l’uomo, con la sua scienza e la sua tecnica, abbia in mano ogni potere, anche quello di impedire il godimento delle cose che Dio ha creato per tutti. E’ solo il peccato che limita la sovrabbondanza dei beni che Dio ha posto in tutta la creazione. E’ solo il peccato, che é l’egoismo degli uomini, limita questa possibilità di fruizione e godimento da parte di tutti gli uomini e produce nel mondo delle disuguaglianze spaventose e dei luoghi di povertà umilianti.
Viviamo nella storia. Viviamo servendoci dei beni di Dio, sapendo che sono doni di Dio, sapendo che sono un richiamo, – almeno lo dovrebbero essere! – di ciò che è Dio per noi: sovrabbondanza, bellezza, armonia, forza, vitalità, energia. Tutto ciò che c’è di positivo nel mondo è simbolo di Dio che ha creato tutte queste cose. Le creature sono un simbolo e il simbolo rimanda alla realtà. Ecco: dalle cose che vediamo, dalle cose che ci circondano dovremmo continuamente essere richiamati a Dio, essere richiamati a ciò che Dio è per noi, essere richiamati a ciò che Dio sarà per noi in un modo definitivo nell’altra vita e nella speranza nella vita presente.
Perché vi dico questo? Perché, miei cari, noi abbiamo bisogno di comprendere lo scopo della nostra esistenza e il motivo per cui viviamo su questa terra, noi abbiamo bisogno di comprendere che siamo i protagonisti della storia in questo mondo e che questa storia è legata al piano di Dio, che ha il suo termine quando Gesù Cristo avrà sottoposto tutto a se stesso e avrà vinto – come ha già vinto nella sua persona- anche la morte, e dopo aver sottomesso tutte le cose a se stesso, le sottoporrà al Padre. Il nostro é un tempo di transizione, il nostro è un tempo di provvisorietà. Non abbiamo qui la nostra dimora permanente.
E’ grande la mia tentazione di parlare a lungo e non devo abusare della vostra attenzione ma sarebbe interessante soffermarci su questa considerazione: quanto è impellente ed insidioso il pericolo che noi consideriamo la vita presente come la vita definitiva, che noi consideriamo i beni della vita presente come i beni definitivi per l’uomo, e quindi scegliamo e vogliamo come scopo della nostra vita, della nostra giornata, delle nostra fatiche, delle nostra preoccupazioni i beni di questa terra, indipendentemente dal fatto che sono doni di Dio, simbolo o segno di ciò che Dio vuole essere per noi, anticipazione di ciò che sarà la vita eterna per noi.
Noi dobbiamo essere impegnati su questa terra a fare del nostro meglio per fare progredire la creazione. Oggi si direbbe in termini molto semplicistici, a fare progredire il benessere. Voi comprendete, voi vi accorgete che quando il benessere è distaccato dalla sua funzione, cioè, è distaccato dal ruolo che Dio ha dato ai beni che sono in questa terra, il dono stesso del benessere diventa un fine, gli uomini diventano idolatri, gli uomini si dimenticano di Dio.
Si dice che, la gente è religiosa e si ricorda di Dio solo quando manca il pane e quando la gente ha il pane in sovrabbondanza si dimentica di Dio, della chiesa e di tutto. Se questo fosse vero, come saremmo insipienti! Come non avremmo capito nulla di Dio, nulla del cristianesimo, nulla della nostra fede! Eppure – ripeto – c’è questa insidia. Indubbiamente Dio ci ha posto su questa terra perché siamo attivi e perché siamo impegnati, ma questo impegno rimane sempre un impegno provvisorio, un impegno rispetto al regno di Dio. L’impegno di questo mondo è sempre secondario. E’ sempre vera la parola di Gesù Cristo: “Pensate prima al regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato per soprappiù”.
Miei cari, in questo incontro, nella celebrazione di questa liturgia così solenne per la presenza dei vostri sacerdoti e dei cari missionari, a conclusione di questa missione, volete rinnovare dal profondo del vostro cuore il senso della vostra fede, della vostra speranza cristiana del vostro cristianesimo, che vuole dire: apertura all’amore del Padre e conseguentemente apertura all’amore dei figli di questo Padre, perchè sono i nostri fratelli Perchè ogni uomo che si trova in qualsiasi parte del mondo è creatura di Dio, perché ogni uomo è prezzo del sangue di Gesù Cristo, perché ogni uomo è tempio dello Spirito Santo? E’ una domanda che deve penetrare nel profondo delle vostre coscienze e farvi decidere.
Ricordate le turbe che erano state saziate di pane da nostro Signore Gesù Cristo? Gesù non è indifferente alle turbe che hanno fame. Gesù moltiplica il pane e sazia la folla però egli vuole essere seguito e cercato per un altro motivo. Gesù risponde: “Voi mi venite a cercare perché avete mangiato di quel pane… anche i padri vostri hanno mangiato il pane nel deserto ma sono morti… chi mangia il mio pane, cioè, chi crede al mio vangelo vivrà in eterno” Allora tutti o in parte domandano: quale opera dobbiamo fare? Credere e convertirsi.
Miei cari, crediamo a Dio nostro creatore e nostro padre, crediamo che tutto ciò che c’é è suo, ed é nostro. Rinnoviamo la nostra fede e impegniamoci secondo le esigenze della nostra fede e saremo davvero i cristiani per i nostri tempi.
OM 513 Cristo Re 74