Chiesa famiglia
Magistero e teologia a serviziodella comunità di fede
Mons. Carlo Ferrari
Relazione conclusiva di Mons. Vescovo alla Settimana di aggiornamento pastorale
Incontrarci
Tentiamo di fare in qualche modo il punto del nostro discorso, il quale non è ristretto al tema della settimana, ma entra nella « conversatio » che ha avuto inizio il giorno da cui sono vescovo qui a Mantova; è un discorso che si snoda in molti periodi, ma che non sarà mai concluso; proprio nella misura in cui rimarrà aperto, sarà anche valido, perché è nella sua natura di non essere ristretto ad un momento limitato della esistenza delle nostre persone, ma di essere dischiuso alla crescente ampiezza della nostra comprensione, alla comprensione di ciò che accade intorno a noi e soprattutto al discorso di Colui che ci parla al di dentro e al di fuori: se Lui cessasse di continuare a parlarci si fermerebbe ogni nostro discorso.
Del resto anche la nostra a conversatio » è qualche cosa di molto più esteso, profondo e decisivo delle nostre semplici parole.
Al fondo di tutto, come ho rilevato altre volte, io situo il valore del nostro incontrarci, del nostro stare insieme.
Anche questa mattina abbiamo ascoltato la parola del Signore, il quale ci chiama amici, perché può confidarci le cose del Padre affinché ci vogliamo bene gli uni gli altri (cf Gv 15, 15).
Questo bene dobbiamo dircelo perché è nelle esigenze della nostra natura di essere garantiti che esso esiste, è nella nostra dimensione che ci raggiunga personalmente: un bene che non si costata non è umano.
Stare insieme da credenti ed esprimerci il bene da discepoli di Cristo è una attuazione di chiesa: un evento di salvezza.
Chi trascura i nostri incontri (settimane, giornate, ritiri, ecc.) perde una occasione di essere chiesa, trascura una grazia, rimane fuori da un evento (Kairòs) di salvezza.
Vi dico apertamente che non mi stancherò mai di invitarvi a questi incontri; come sinceramente vi dico che non riesco a capire chi non sente il bisogno di essere presente; non si tratta di assolvere a un dovere, è un atto di conformità agli insegnamenti del Vangelo, alla esigenza di conversione, la quale non richiede soltanto di cambiare direzione e camminare verso Dio, ma è condizionata dal nostro camminare verso i fratelli, nei quali Egli ha voluto che lo incontrassimo e lo servissimo; è una responsabilità: la chiesa diventa credibile nelle sue espressioni di comunione (cf Gv 17, 21: « siano una cosa sola in noi affinché il mondo creda che tu mi hai mandato »), la chiesa che qui così si manifesta è lo strumento di cui hanno bisogno gli uomini per unirsi a Dio e unificarsi tra di loro.
I nostri incontri poi sono una esperienza di chiesa: a) netta preghiera, la quale, a seconda della natura degli incontri, ha una rilevanza più o meno marcata; b) nell’ascolto detta parola di Dio: tanto una meditazione come una lezione sono incentrati sulla parola di Dio, per chiarirla, approfondirla e viverla. E’ l’impegno della nostra fede che ci fa sorpassare le contingenze delle persone e delle espressioni per trovarci dinanzi a Colui che parla in noi; c) in una favorevole occasione di mutua conoscenza: non esiste comunione tra persone che non si conoscono, la conoscenza a distanza, per sentito dire, non è sufficiente ed esatta; anche brevi incontri, scambi di impressioni, ascolto di interventi, una refezione in comune, ecc. valgono veramente a tessere i nostri rapporti, ad aprirci alla comprensione, a spingerci all’unione: vale per tutti, sacerdoti e laici, per sacerdoti tra di noi, per noi rispetto ai laici, per i laici nei nostri confronti e fra di loro.
Aggiornarci
La settimana che termina oggi entra nella serie di iniziative intraprese per rispondere al bisogno di aggiornamento proposto dal Concilio e da tutti avvertito. I temi delle singole settimane illuminano parzialmente qualche punto del contenuto del mistero cristiano. Si potrebbe pensare che hanno soprattutto la funzione dello sprazzo luminoso che fa scoprire la realtà di una situazione: si viene a toccare con mano che di fronte alle esigenze dei tempi, al mutamento delle situazioni, al contenuto della parola di Dio e quindi al mistero della salvezza, il cammino da compiere è interminabile.
Si acquista un salutare senso di insicurezza e di incertezza.
Tutto si muove e si trasforma sotto di noi e intorno a noi. Il passato è soltanto la testa di quel ponte in bilico ancora in costruzione. Noi abbiamo il dovere di registrare i fenomeni, di scrutarne il significato, consci e sicuri che l’unico Salvatore ci verrà incontro proprio nella situazione di oggi.
La situazione quasi statica e immutabile di un passato nel quale molti di noi hanno compiuto la loro formazione, ci aveva abituati alle soluzioni sicure e addirittura definitive. Capitava che chi aveva portato a termine con esito soddisfacente gli studi di teologia in Seminario poteva chiudere i libri: era armato per tutta la vita…
Oggi, grazie specialmente al Concilio, andiamo riacquistando il senso del mistero, cioè prendiamo coscienza che ciò che vuole essere Dio per l’uomo è insondabile ed esige una apertura e un approfondimento che non possono avere un termine. L’aggiornamento e lo sforzo della ricerca debbono contrassegnare la disposizione abituale del cristiano e del sacerdote.
Si comprende allora un certo disorientamento di fronte al lavoro dei teologi. Il loro servizio è indispensabile; ma essi sono dei ricercatori, i quali, se lavorano con serietà nel loro ambito, non avranno mai la pretesa di avere detto la parola definitiva: il loro compito è di aprire dei varchi al cammino della chiesa; la guida sicura è lo Spirito Santo che illumina e assiste il Magistero (cf DV 23; 10).
Lo stimolo che deriva ai credenti dal lavoro dei teologi va guardato con rispetto, valutato in ordine alla sua funzione specifica e per molti di noi deve costituire un esempio di laboriosità, di serietà e di onestà.
Voglio dire, una volta tanto, che dobbiamo essere grati a quelli tra i nostri fratelli che dedicano le migliori loro energie in questo servizio: lo dobbiamo considerare come una grazia concessa alla nostra chiesa.
Il Magistero
E ora ripeto: I’indicazione per i nostri orientamenti, per le nostre decisioni la dobbiamo cogliere dal Magistero.
Dobbiamo liberarci da certe insofferenze, da ingiustificati complessi di inferiorità, da atteggiamenti che non sono ecclesiali.
Davanti alla rivalutazione delle funzioni e dei carismi è irrazionale non riconoscere la funzione e il carisma dei sacri Ministeri legittimamente esercitati. Sarebbe come dire che l’ordine sacro non è un sacramento, non ha una funzione, non comporta una grazia. La funzione del Magistero è la grazia più preziosa per la sicurezza e la vita della chiesa.
Esiste il pericolo di dire delle banalità volendo addentrarci nella precisazione di settori della vita della chiesa; ma vale la pena di correre il rischio.
E’ vero che la funzione magisteriale non è sempre accompagnata dal carisma della infallibilità, ma è altrettanto certo che essa costituisce il mezzo più sicuro di orientamento per un popolo destinato a pellegrinare nelle oscurità del mistero. Di conseguenza un pronunciamento o una indicazione del Magistero ordinario fanno il punto di una situazione, che garantisce il bene più valido per la chiesa locale o per la chiesa universale in quel momento: non è detto che da quel « punto » non si debba in seguito andare oltre o mutare rotta; per intanto a quel punto è anche presente il « sensus fidei » e il grado di maturità di tutta una chiesa. A questo proposito mi pare che circoli anche un senso impreciso della funzione profetica intrinseca a quella magisteriale. Intanto tutta la storia della salvezza ci avverte che il sigillo della autenticità dei profeti non consiste tanto nella verità di ciò che affermano quanto nella testimonianza dello Spirito che li conforma all’ « annientamento » che ha sigillato la testimonianza del Cristo (cf Fl 2, 5-11). Poi mi pare anche che il Magistero non debba necessariamente precorrere i tempi di una storia che racchiude il tempo di Dio. La chiesa deve scrutare i segni dei tempi per scoprirvi il tempo di Dio, il quale è il Signore dei tempi e non ne è prigioniero.
Esiste inoltre una certa distinzione e allo stesso tempo una complementarietà tra il carisma del Magistero e tutti gli altri carismi: il primo si caratterizza secondo la sicurezza della verità dell’unico Spirito, gli altri secondo la libertà dell’unico Spirito, tutti insieme per la vitalità creatrice dell’unico Spirito, il quale anima, fa crescere e camminare l’unico popolo di Dio.
Bisogna rilevare infine che la situazione e la funzione del Magistero è estremamente diversa da quella del sociologo, dello storico, dello scienziato, ecc., i quali possono con una certa garanzia fare delle anticipazioni sul futuro. La differenza sostanziale è questa: gli studiosi si basano sulle leggi che sottostanno ai fenomeni di loro competenza o ai relativi condizionamenti, il Magistero dovrà incontrarsi con le imprevedibili reazioni della libertà degli spiriti. Il Magistero deve sì tener conto dell’apporto dello studio e del progresso nella conoscenza dell’uomo e dei fenomeni della sua esistenza, non deve però cadere nel « complesso dell’arretratezza » di fronte ad esso.
La “Humanae vitae”
Queste riflessioni valgono per se stesse, ma sono particolarmente opportune per quello che si è rivelato il punto critico della settimana: la paternità responsabile.
Come mai nel mondo e nella chiesa l’enciclica « Humanae vitae » ha sollevato una reazione che ha sfiorato la violenza ?
Io sono propenso a credere che essa era tanto più opportuna in quanto ha toccato il punto dolente della nostra società essenzialmente malata di edonismo.
Mentre sta calando quasi nel silenzio la « Populorum progressio », contro la quale nessuno si è ribellato, si respinge 1′ « Humanae vitae » che si pone sulla stessa linea, quella di garantire gli autentici valori umani. Avviene così che l’insegnamento di nostro Signore Gesù Cristo quando tocca i responsabili ad alto livello lo troviamo conveniente, quando invece ci interpella personalmente diventa scomodante.
Io sono fortemente preoccupato che non si perdano di vista quei valori che sono antecedenti e che costituiscono la premessa non solo logica ma vitale della soluzione di qualsiasi problema morale e di quello della paternità responsabile in particolare.
Chiariamo a noi stessi e ai nostri fratelli il grande principio che la morale cristiana deriva dalla costituzione sacramentale della persona (sacramenti della iniziazione del cristiano) e del suo stato di vita (matrimonio). E conseguentemente ricordiamo che quando non è attiva la forza del sacramento, la debolezza umana non è in grado di essere all’altezza di una autentica moralità cristiana.
In particolare non commettiamo l’errore di proporre delle soluzioni al problema della paternità responsabile prima di avere iniziato i fedeli a vivere le realtà divine che rendono possibile l’amore coniugale.
Chi non è in grado di attingere alla sorgente dell’Amore, che è Dio, « il Padre da cui ogni paternità in cielo e in terra trae il suo nome » (Ef 3, 15), non avrà la possibilità di capire e di vivere un amore « umano », « totale », « fedele », « fecondo » come deve essere quello degli sposi cristiani.
Non si dica che la nostra gente non è in grado di comprendere l’ineffabile mistero dell’amore di Dio. Sarebbe come dire che tutto ciò che Dio ha fatto per l’uomo non è adatto all’uomo, che Dio è astratto, come lo si dice della predicazione di un vescovo o della relazione di un teologo. Si, questi possono essere anche astratti, Dio è essenzialmente il fondamento di ogni realtà. Noi siamo spinti verso il disimpegno e limitiamo, impoverendola, la realtà di Dio e siamo arrivati ad identificare lo « stato di grazia » con il « non avere peccati mortali nell’anima ».
Dobbiamo avere il coraggio di ammettere, come tante volte ci è capitato di ripetere, le gravi conseguenze dell’impoverimento spaventoso della nostra teologia e della nostra predicazione.
Permettete che mi spieghi con un paradosso. Una coppia di cristiani vive in una condizione felice nella quale non sorge nessun ostacolo all’esercizio della paternità responsabile: è una coppia che vive in « grazia di Dio » in conseguenza di fortunate circostanze di condizioni naturali. Un’altra coppia incontra continui gravi ostacoli, ha coscienza del proprio « stato di peccato », sa che esiste una salvezza che deriva dalla sollecitudine del cuore del Padre che sta nei cieli, usa responsabilmente tutti i mezzi di salvezza e molto faticosamente cerca di orientare i propri rapporti verso la conformità al disegno di Dio.
Io oso chiedere in quale delle due situazioni è più presente e operante la fede e la moralità cristiana.
Ecco allora il nostro compito di pastori: non è tanto quello di avere a disposizione delle soluzioni « casistiche », ma soprattutto di manifestare la sollecitudine della chiesa, maestra e madre, la quale ispira i suoi atteggiamenti a quelli del Salvatore: conosce la debolezza umana, ha compassione della folla, accoglie i peccatori e con
una paziente e saggia pedagogia li avvia verso le mete della salvezza.
E non dimentichiamo che nei confronti dei nostri fedeli non siamo dei maestri davanti a degli scolari, i quali commisurano i risultati della loro fatica dalle proprie capacità didattiche e dal grado intelligenza degli alunni. Prima di noi e in mezzo a loro sono all’opera il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Motivi di fiducia
Durante la Settimana e in altre occasioni mi avete sentito parlare del senso di incertezza e di insicurezza che deve accompagna la nostra vita spirituale e il nostro ministero. Io vorrei essere intendeste bene: non voglio indurre nel vostro spirito motivi di ingiustificata preoccupazione, di falsi timori o di sfiducia.
Proprio in una situazione di drammatica incertezza Gesù rassicura i suoi e dice: « sono io: non temete » (Mt 14, 24-27).
Noi infatti sappiamo di chi ci possiamo fidare e chi è Colui quale abbiamo fatto credito (cf Tm 1, 7-12).
Di fronte al nostro proposito di volerci dedicare alla edificazione della « chiesa domestica » (cf LG 11) come comunità di base per I’animazione delle nostre comunità particolari e per l’incremento de la chiesa locale e di quella universale, prendiamo coscienza di no essere soli, di non dover riporre la nostra fiducia in mezzi umani che possono avere il loro valore, ma che restano sempre inadeguati. Riva giamoci al Salvatore di tutti e di tutto e adeguiamo il nostro impegno e i nostri progetti al disegno di Dio ricordando che l’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino ed è sostenuto ed arricchita dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della chiesa (cf GS 48); che su questo amore, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello dell’unione di Cristo con la sua chiesa, egli ha effuso l’abbondanza delle sue benedizioni (cf c.s.).
Un altro motivo non trascurabile di fiducia deve essere la constatazione che in mezzo al dilagare di un edonismo pansessualista diventa sempre più acutamente sentito il valore dell’amore autentico(
Anche qui è più che evidente una particolare presenza dell’azione dello Spirito Santo nella chiesa di oggi.
In fine abbiamo anche il conforto di constatare che non è arbitrario il nostro progetto di pastorale ecclesiale: molte ricerche e riflessioni e parecchie iniziative sono indirizzate nel nostro senso.
Sosteniamoci e confortiamoci anche tra di noi !
ST 241 settimana 71 – Relazione conclusiva di Mons. Vescovo
Stampa: rivista diocesana, n 10-11-1971- pagg. 451-456