Linee di riflessione sul rapporto famiglia – chiesa – azione pastorale
settimana pastorale 1971- famiglia chiesa- Introduzione del vescovo
Mons. Carlo Ferrari
Ho tentato di mettere giù qualche pensiero che dovrebbe in qualche modo emergere dalle relazioni, essere presente nei gruppi di studio e ritrovarsi nelle conclusioni.
Difficoltà da superare
Ho il dovere di mettervi sull’avviso che vi troverete davanti a una difficoltà particolare: quella di fare una sintesi di trovare una unità organica, oltre che logica, tra il dato rivelato, la prospettiva biblica e la riflessione teologica che vi saranno esposte e le linee di azione pastorale centrate sulla comunità ecclesiale e su quella familiare in particolare, secondo le quali si vorrebbero tirare delle conclusioni.
Più che in altre occasioni esiste il pericolo che i principi rivelati, la riflessione teologica, lo stesso magistero siano ad una tale distanza da quelle comunità ecclesiali concrete che dovrebbero (specialmente nel loro realizzarsi nella famiglia) essere il soggetto completo dell’azione pastorale, da pensare che i primi siano delle astrazioni, delle cose sublimi per svagati speculatori, senza un aggancio come da agente ed azione, o come da sorgente e flusso di vita.
Questo pericolo poi si fa insidioso quando si tratteranno due gravi scottanti problemi di morale matrimoniale: proprio qui sarà molto difficoltoso capire ed ammettere come la soluzione di questi problemi (come del resto di qualsiasi problema di vita cristiana) dipende dal loro inserimento in quella data realtà ecclesiale in cui ciascuno vive e affronta i suoi problemi.
La tentazione sarà grande di buttarsi sui problemi morali e tentare di accordarsi su una soluzione sicura, chiara, facile: purtroppo non esiste una soluzione come la si pensava nei prontuari dei « casi risolti »; la soluzione viene dall’unica salvezza che Cristo ha affidato alla chiesa ed all’impegno della chiesa concreta di essere trasparente canale della salvezza di Cristo e da quello di ogni battezzato di volersi immergere in essa.
La comunità soggetto della pastorale
L’altro punto che dovrà essere chiarito rifacendoci alle « settimane » precedenti e quanto avremo la grazia di chiarire in questi giorni è questo: il soggetto dell’azione pastorale è la chiesa come si concretizza nella comunità locale.
La prima volta che ci siamo incontrati nel dicembre del 1967 vi dicevo: a Un’altra cosa desidererei (metto il verbo al condizionale perché è una cosa impegnativa e piuttosto difficoltosa, ma la desidero e ci dobbiamo arrivare): preparare i laici ad assumere i loro compiti e le loro responsabilità nelle comunità parrocchiali e nella chiesa. Questo vuol dire, come si è soliti esprimerci oggi, educare ad una fede adulta. Ma, per educare ad una fede adulta, bisogna conferire delle responsabilità da adulti, bisogna dare la possibilità che i laici prendano delle decisioni e delle iniziative da adulti, che si sentano autonomi nel loro ambito ». Non voleva essere tanto un processo di declericalizzazione delle nostre comunità, quanto una scoperta e un riconoscimento effettivo di tutti i doni, i carismi, le grazie, le mansioni di cui Dio in persona ha dotato ciascun membro del Corpo del suo Primogenito, proprio in vista della crescita interiore ed esteriore della chiesa, cioè per la sua santità e affinché fosse strumento di santificazione e di salvezza per tutto il genere umano.
Il tempo a mia disposizione è volutamente limitato: io vi prospetto soprattutto dei traguardi a cui liberamente dovrete pervenire dopo aver chiarito a voi stessi il dinamismo salvifico intrinseco alla vita di tutta la comunità ecclesiale e formulando delle conclusioni nelle quali questo dinamismo possa diventare effettivo.
In sintesi possiamo affermare con sicurezza che ogni azione salvifica (evangelizzazione, santificazione, guida spirituale) è azione di Cristo e del popolo di Dio, presieduto dal vescovo o da chi ne fa le veci.
Ciò che va rilevato e valorizzato è il ruolo della comunità concreta, la quale si suppone, perché sia autentica, in comunione con tutte le comunità della chiesa locale, e a sua volta in comunione con tutte le chiese alle quali presiede quella di Roma. La comunità così concepita da parte di tutta la Tradizione fino al Vaticano II, è ritenuta nella sua totalità il soggetto fondamentale ed essenziale della missione della chiesa e quindi di tutta l’azione salvifica.
Tutto il popolo di Dio è un popolo profetico, sacerdotale, regale: se esiste differenza di natura e di grado tra le mansioni dei sacri ministri e quelle degli altri membri del popolo di Dio, due cose sono irrefutabili:
1) le mansioni e i doni di grazia di ogni membro del popolo di Dio sono costitutivi dell’unica e insostituibile missione salvifica della chiesa;
2) le mansioni e i doni di grazia dei sacri ministri hanno lo scopo di rendere efficienti quelli comuni a tutti i membri del popolo di Dio, perché si attui compiutamente e con sempre maggior efficacia tutta e l’unica missione della chiesa.
Una certa visione del sacerdozio ministeriale lo configura a Cristo Capo; ma il corpo di questo Capo, che è la chiesa, e più concretamente la sua attuazione nel tempo e nello spazio, vale a dire la legittima comunità locale, deve essere unito al Capo, deve essere vitalizzato dal Capo precisamente per opera del sacerdozio ministeriale. Isolatamente, il sacerdozio ministeriale non è il compimento di Cristo e il suo Corpo, cioè la chiesa; da solo, non è la chiesa, non rappresenta e non ha la capacità di svolgere tutta la missione salvifica che Cristo le ha affidato.
Il Concilio lo riconosce molto pacificamente: « I sacri pastori… sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso dell’azione salvifica della chiesa verso il mondo, ma che il loro eccelso ufficio è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro carismi e ministeri, in modo che tutti concordemente cooperino nella loro misura al bene comune » (LG 30) e cita S. Paolo: « ma professando la verità nella carità, cresciamo in ogni cosa in lui, che è il Capo, Cristo; grazie al quale tutto il corpo, compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia insita in ogni membro, realizza la sua crescita per l’edificazione di se nella carità» (Ef. 4, 15-16).
Ai fini di quanto vogliamo dire, questo testo diventa ancora più convincente per le affermazioni che lo precedono: « ora egli pose alcuni come apostoli, altri profeti, altri evangelisti e maestri, per rendere atti i santi a compiere il ministero, per edificare il Corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del figlio di Dio, all’uomo perfetto, all’altezza di statura della pienezza di Cristo »… (Ef. 4, 11-14).
Dunque sono tutte le membra dell’unico corpo che con l’energia propria a ciascuno, con la collaborazione vicendevole, edificano e fanno crescere il corpo; gli apostoli, gli evangelisti, i profeti, ecc. hanno il compito di rendere adatti « i santi » ad edificare il Corpo di Cristo. I a santi » in definitiva sono gli edificatori della chiesa intesa nella sua immediatezza di comunità locale, in comunione con tutte le chiese.
Se è risaputo che i « santi » sono tutti membri in comunione con la chiesa, è altrettanto vero che ognuno di essi è chiamato e sollecitato a raggiungere personalmente la propria statura secondo la misura della donazione di Cristo, cioè ad essere perfetto nella carità. La santità ontologica ai membro della chiesa lo impegna verso di essa a realizzarla nella propria vita morale.
E’ normale che in ogni comunità non tutti abbiano raggiunto la medesima statura di fede e lo stesso grado di carità. Ciò che non va dimenticato è il fatto che ognuno è inserito in un organismo vitale e organico, nel quale le membra più vitalizzate conferiscono al rinvigorimento dei « piccoli »; questi in un modo misterioso ma reale sono generati, sostenuti e spinti verso la maturità dei « perfetti ».
Uno sguardo alla situazione delle nostre comunità ci pone di fronte al fallimento più bruciante e scoraggiante della nostra abituale azione pastorale: generiamo ininterrottamente figli di Dio (battesimo), confermiamo in loro lo Spirito (cresima), li nutriamo della carne di Cristo (eucaristia), medichiamo e risaniamo le loro piaghe (confessione); e di tutta questa potenzialità di un seme di vita divina, normalmente, non vediamo ne germogli, ne fiori, ne frutti; al più tentiamo di consolarci di « presenze » che riempiono i sacri edifici, ma non costituiscono una « presenza » lievitante secondo lo spirito del vangelo nell’ambiente della loro esistenza quotidiana.
Dunque il nostro ministero non basta; accanto ad esso, per volontà di Dio, deve starci il «ministero dei santi».
Il ministero dei pastori e quello dei “santi”
Consideriamo brevemente gli atti del nostro ministero in rapporto al « ministero dei santi ».
La funzione profetica
Se è vero che quando noi parliamo e Cristo che parla, è altrettanto certo che per il nostro ministero la medesima parola diventa viva ed efficace in tutti i membri della comunità e per mezzo loro per tutto il mondo.
Sono cosciente di quanto questa affermazione sia generica di quante precisazioni abbisogni, ma altrettanto di quanto globalmente e nella realtà sia vera. Per motivi di tempo rimando alla meditazione di alcuni punti dei documenti del Concilio: LG 35; AA 6-7.
La funzione sacerdotale
Se Cristo è presente in ogni azione sacramentale dobbiamo convincerci di fatto, più che andare ripetendolo a parole, che ogni sacramento deriva dal sacramento che è la chiesa: a) prima di tutto perché nell’opera di santificazione che compie in modo proprio in ogni sacramento Cristo associa sempre a se la chiesa, sua sposa amatissima; b) perché i « segni » della grazia debbono esprimere ciò che vuol dire e compiere il soggetto che di essi si serve: il soggetto è Cristo e il popolo di Dio; c) perché nell’economia cristiana sono strumenti di salvezza più efficaci le « persone », di quanto non lo siano le « cose »: altro è la natura dell’unione che Dio per Cristo nello Spirito stabilisce con una persona in ordine alla salvezza, e altra quella che ha con Le cose. Questa affermazione acquista maggiore evidenza, e il senso che ha nel contesto nel nostro discorso, quando se ne considerano le conseguenze spirituali, morali e pastorali: è il grado di unione che Dio è libero di stabilire con i membri di una comunità, per le disposizioni di fede, di speranza e di carità deisingoli, che questa comunità diventa sacramento efficace per la efficienza di tutti i sacramenti.
Si rilegga dai documenti del Concilio: SC 7; LG 34; AA 6-7.
La guida nella comunità
Fa impressione scoprire l’atteggiamento dei pastori della chiesa, specialmente dell’epoca dei Padri, in espressioni come quelle di Cipriano- e sappiamo quale coscienza avesse proprio lui del ruolo del vescovo nella chiesa !-: « si era fatto una regola a principio del suo episcopato, di non prendere nessuna decisione, se non dopo aver raggiunto un giudizio personale, in seguito al consiglio dei presbiteri, dei diaconi e di quello del popolo » (Ef 14, 4).
Chi pensasse di stabilire dei raffronti tra i « consigli » che quei vescovi richiedevano ai membri delle loro chiese e i nostri consigli presbiterali e pastorali rischierebbe di falsare una funzione.
La situazione è quella delle dimensioni della comunità che permetteva un contatto assiduo e personale con tutti i membri; la funzione non era tanto quella di arrivare a stabilire delle norme giuridiche di condotta, ma di impegnarsi tutti insieme a concretizzare lo stile di vita corrispondente alle esigenze del vangelo e che facesse di loro il sale della terra e la luce del mondo.
A mano a mano che, per ragioni varie, le decisioni ecclesiali diventarono non più impegni ma norme, si operò un distacco tra gerarchia e popolo e la comunità perdette il suo ruolo di guida spirituale e di ambiente di sostegno della vita cristiana. Io non nego affatto il ruolo dei sacri pastori nella comunità; ma non sono essi isolatamente che debbono costituire il sale della terra e la luce del mondo come non soltanto le loro buone opere sono quelle che debbono risplendere davanti agli uomini perché arrivino a dare lode al Padre che è nei cieli.
Esistono ancora troppi atteggiamenti informati a una concezione unilaterale dell’ufficio della sacra gerarchia. Il compito fondamentale dei pastori, che deriva loro dalla grazia del sacramento della consacrazione, è quello di mettere al servizio della propria comunità l’energia di codesta grazia, perché si formino intorno ad essa dei centri concentrici di unità nell’unica comunità, la quale diventa così essa stessa guida, sostegno, ambiente per la crescita della perfezione della vita cristiana.
Penso che sia facile intendere ciò che io ho definito centri concentrici. Intendo dire che l’azione del pastore non può prescindere dal realismo delle cose; in ogni comunità chi la presiede ha il compito di scoprire, valutare e valorizzare le grazie e i doni di ogni membro per farli fruttificare per il bene di tutti; prendono così senso le immagini bibliche del piccolo seme, del piccolo gregge, del lievito e quella tanto familiare e cara ai Padri della « chiesa madre ». Cf LG 35; AA 10.
Indicazioni conclusive
Vi chiederete se io ho ancora presente il tema della settimana: « la famiglia e la chiesa ». Me ne ricordo con molta chiarezza e preoccupazione; ma, come vi ho scritto nell’invito, non voglio anticipare delle conclusioni. Io ho continuato a insistere per chiarire dei principii dai quali pare logico concludere in modo globale:
1) che la famiglia è un’entità ecclesiale, in conseguenza del principio che il sacramento del matrimonio è un sacramento particolare nel sacramento generale che è la chiesa;
2) che noi dobbiamo svolgere la nostra azione pastorale nelle famiglie esistenti e per quelle che vanno componendosi.
Per le prime pare improrogabile un catecumenato per genitori corrispondente ad ogni tappa della vita sacramentale dei figli.
Per le seconde un catecumenato, che corrisponda a una vera iniziazione cristiana in preparazione del matrimonio.
Le decisioni concrete a cui mi auguro possiamo giungere debbono essere il frutto della convergenza dei « consigli » di tutti: sacerdoti, diaconi, religiosi, laici.
MN 361 Dattiloscritto SL con le correzioni manoscritte del vescovo: 7 cartelle catalogate tra i manoscritti
ST 242 Famiglia – chiesa – azione pastorale – rivista diocesana 1971 pagg. 457-462.
ST 242 Famiglia Pastorale 71