” Su tremila padri conciliari credo di essere stato l’unico ad avere il pallino della fotografia».
Così, con molta semplicità si esprime Carlo Ferrari mentre mostra le fotografie che ha scattato durante il Concilio Vaticano II.
Il fatto non sarebbe straordinario se non sapessimo che si tratta di un fotografo d’eccezione: Carlo Ferrari è Vescovo emerito di Mantova dopo essere stato a lungo vescovo di Monopoli,veste in cui ha partecipato le sessioni conciliari, che ha documentato con il suo apparecchio fotografico.
Questa è la prima volta che le sue immagini vengono pubblicate.
Mi trovavo nella situazione ideale per scattare – spiega monsignor Ferrari – aspettavo i momenti in cui la Basilica veniva illuminata da grandi grappoli di globi luminosi che mi permettevano di non usare il flash. Mi mettevo in fondo all’ala sinistra in modo da tenere in prospettiva l’altare col tabernacolo di Bernini».
Infatti c’è in queste immagini una ricerca dell’ inquadratura e un gusto per l’immagine che vanno al di là del semplice desiderio di avere un ricordo di un momento storicamente importante vissuto da protagonista.
Così monsignor Ferrari teneva sul suo scranno una macchina fotografica e una cinepresa e ogni tanto riprendeva le scene più interessanti.
Difficoltà? Nessuna, assicura, visto che quasi nessuno si accorgeva di questo testimone dall’interno.
«Erano momenti felicissimi – ricorda – e Giovanni XXIII aveva un senso spiccato della storia. Il Concilio era un avvenimento inatteso che per la prima volta vide confrontarsi le posizioni della Curia romana le nuove aperture dei teologi del Nord Europa, la capacità organizzativa dei vescovi africani. Il dibattito fra le varie posizioni era aspro e la notte i teologi – i cosiddetti «periti» che lavoravano nelle commissioni – la passavano in biblioteca a cercare i puntelli teorici per sostenere le loro tesi».
Sono notazioni interessanti anche perché nelle sue fotografie compaiono più i caratteri che i personaggi, come se chiedesse alle immagini di testimoniare un fermento.
La passione per la fotografia gli era nata molti anni prima, in Puglia, dove era arrivato nel 1952: i colori decisi, le luci e le ombre nette lo avevano ammaliato e con una Zeiss Super Ikonta 6×6 a soffietto aveva cominciato a fotografare portandosi questa bellissima macchina anche nei frequenti viaggi in Sicilia ad Acireale, a Palermo, ad Agrigento.
«Ho sempre voluto che le mie foto fossero ben stampate. A Roma durante il Concilio c’era un fotografo che mi favoriva consigliandomi il tipo di materiale e stampandomi le immagini in bianconero e a colori».
Da uomo ordinato e preciso ha sempre tenuto grossi album con le sue immagini ed un archivio attualmente curato e aggiornato dal fotografo mantovano Gianni Bellesia.
Nel frattempo la Super Ikonta è stata sostituita dapprima dalla gloriosa Rolleiflex e dall’insolita Minolta 16 mm (macchine usate durante il Concilio), poi da più moderne reflex: la Ricoh Simplex e infine la Canon FD che ancora oggi usa con immutata passione.
Già, perché nonostante i suoi ottant’anni la macchina non l’ha riposta in fondo ad un cassetto.
«Mi piace fotografare la natura. Ho una passione per i fiori di mandorlo ma non sono soddisfatto di come li fotografo, sembra che abbiano sempre qualcosa che sfugge. Ma quelli che mi affascinano sono gli ulivi. Secondo me, a modo loro, gli ulivi parlano; raccontano una storia che, fa impressione a pensarlo, è iniziata quando noi non c’eravamo ancora visto che sono molto spesso piante centenarie. Se ne stanno lì, contorti, strani e affascinanti, magari con le radici affondate nel tufo. Come si fa a non pensare che parlino?».
È un modo particolare di parlare come anche di fotografare che non esclude un briciolo di ironia.
«Quando, finiti i lavori quotidiani del Concilio, uscivamo da San Pietro sulla Piazza questa si colorava del rosso dei nostri abiti. Era uno spettacolo straordinario; una piazza rossa, da non confondersi con la Piazza Rossa».
Roberto Mutti
Stampa: “Fotografare”, mensile di fotografia e attualità e cultura.
Settembre 1989, pag. 82-83