In altre occasioni che ci hanno riuniti intorno a Mons. Carlo Ferrari allora Vescovo di Mantova ebbi a rammaricarmi che egli non dicesse “i miei laici” con la stessa forza affettiva con cui diceva “i miei preti”.
Singolare quest’uomo che possedeva sensibilità ed affettività di grande finezza e ricchezza compresse sotto la rude scorza piemontese, per niente scalfita dalla consuetudine più che decennale con l’esuberanza del meridione. L’approccio con lui non era immediato e forse la sobrietà e il riserbo erano accentuati da quel suo essere arrivato a Mantova nel pieno delle ripercussioni del Concilio Vaticano II da poco concluso. Risultava difficile operare discernimento in quei fermenti che ci collocavano tutti in libera uscita rispetto ad una tradizione consolidata e Mons. Ferrari ci andava piano.
C’era poi il fatto che questo Vescovo, che aveva partecipato al Concilio dal primo all’ultimo giorno, ne era intriso: era stato contagiato non dalle frange dell’assise ecumenica ma dalla essenziale riscoperta, così gravida di conseguenze pastorali, della chiesa mistero, mistero di comunione nella comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Non voleva essere il Vescovo di una società gerarchica burocratizzata, ma Vescovo di un mistero di comunione, responsabile della Parola, animatore di una vita cristiana fatta non di norme etiche e disciplinari, ma di intimità feconda con le tre Persone divine. Soffriva che taluno pensasse che era un modo per defilarsi dai problemi concreti di governo, che pure discendeva dalla lettera e dallo spirito del Concilio: radicare nel mistero di Dio il “suo” popolo tutto intero, preti, religiosi e laici, e lasciare spazio alla loro libertà di figli di Dio guidati dallo Spirito e alla loro responsabilità; quindi, dare non direttive ma orientamenti essenziali, quelli che solitamente si danno per scontati, e impulsi sostanziosi.
Che cos’erano le “sue” Settimane di pastorale se non un incremento della interiorizzazione, alla riflessione sul mistero di Dio della chiesa e sulla realtà del mondo; un’apertura di orizzonti affidati alla corresponsabilità del suo popolo, preti, laici associati e non?
Che credesse nella possibile, necessaria e doverosa responsabilità dei laici, ci sarebbero molti fatti, molte sollecitazioni a provarlo. Basti per tutti la scelta decisa e continuamente ribadita e approfondita della famiglia come soggetto della pastorale evangelizzatrice e sacramentale.
Non sta a me, e forse ancora al nostro tempo, misurarne i risultati. Queste seminagioni in profondità hanno tempi lunghi per dare frutti visibili. Ma questi importavano poco a Mons. Ferrari.
Gli premeva il seme buono e il frutto invisibile di una vita di comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e da questa la comunione operosa con tutti i fratelli.
Credeva davvero che solo da questa fonte zampillasse l’acqua viva che rigenera la chiesa, il mondo, i popoli, le persone, la società, che solo da qui potesse venire un’autentica e vivace testimonianza cristiana.
prof.IDA BOZZINI
Da “La Cittadella 13 Dicembre 1992