Queste pagine riferiscono una testimonianza: non vogliono essere un esposizione dottrinale di una realtà, ma intendono raccontare una esperienza di vita che riguarda il Dio della Rivelazione e ciò che egli ha compiuto nell’ambito della creazione e della Salvezza.
Per questo ritengo giusta la presentazione del testimone. Sarebbe sciocco parlare di se stesso se non si avesse la ferma convinzione che, ciò che si è e ciò che si è vissuto, è un puro dono di Dio. Spero di dimostrare largamente questa convinzione fondamentale di tutta la mia esistenza.
Nato nell’anno di Grazia 1910, compii gli studi normali per dodici anni nel Seminario diocesano; studiai con particolare interesse e impegno la teologia ed ebbi la fortuna di incontrare un professore di dogmatica che presentava la dottrina come il fondamento della vita spirituale. La vita spirituale costituiva fin da quegli anni l’interesse principale della mia vita; lo studio e le letture abbondanti hanno sempre avuto durante tutta la mia esistenza, l’umico fine di scoprire, approfondire, alimentare tutto ciò che ha attinenza con quella che a quei tempi si chiamava la vita interiore. In ordine alla presente testimonianza è giusto tenere conto che quest’interesse costituiva già una grazia destinata a diventare sempre più profonda con il passare degli anni.
Era naturale che questa grazia avesse le sue ripercussioni nel mio ministero. Fin da giovane sacerdote le mie preferenze furono per la predicazione (esercizi spirituali, settimane della gioventù, ecc.) e per la confessione: la direzione spirituale era la naturale conseguenza dell’una e dell’altra. Un numero considerevole di persone, di ogni ceto, hanno maturato durante oltre quarant’anni i semi di quella direzione spirituale E’ altrettanto doveroso tenere presente che la corrispondenza di quelle persone era uno stimolo al mio impegno di arricchimento spirituale.
Questa mia inclinazione divenne un impegno specifico con la nomina a direttore spirituale, prima del Seminario minore (ginnasio con 120 alunni), poi del Seminario maggiore (liceo e teologia con un uguale numero di alunni). Ogni giorno dettavo la meditazione e settimanalmente confessavo tutti gli alunni: alla confessione ho sempre legato la direzione spirituale, anche se questo non era del tutto conforme alle “norme”.
Poi nel 1952 fui consacrato Vescovo. Posso dire di essermi sempre mantenuto fedele all’impegno per lo studio e le letture, e per il ministero della Parola che ha conservato il primo posto. Ho molto ridotto il ministero della riconciliazione, perché sono stato assorbito dal ministero del Vescovo; ma una certa prudenza voleva che non si voltassero totalmente le spalle ad una tradizione secolare.
Grazia unica fu la, comunità dei superiori e degli insegnanti che incontrai nei due Seminari: specialmente nel Seminario maggiore, dove trovai colleghi eccezionali, quattro dei quali sono diventati Vescovi molto apprezzati.
Una esperienza che influì in misura incalcolabile fu la mia partecipazione al Concilio Vaticano Secondo. Vissi dall’interno questo evento straordinario della vita della Chiesa; ascoltai le voci delle piú eminenti personalità ecclesiastiche di tutti i continenti; partecipai alla dinamica che segnò un approfondimento del pensiero rivelato che poi maturò nei vari Documenti. Un fatto notevole fu la partecipazione alla più alta liturgia che non sia mai stata celebrata: mi è rimasto impresso il Sanctus cantato da tutti i Vescovi del mondo, unito a quello che cantano le schiere celesti. La mia personalità è maturata in modo imprevedibile e si è arricchita mirabilmente: una forza nuova e incontenibile mi ha spinto ad essere un evangelizzatore del Messaggio del Concilio.
Una esperienza che è durata circa vent’anni ha costituito il mio piú lungo impegno pastorale.
Quando da Monopoli sono arrivato a Mantova, con un pizzico di ironia che non mi è spiaciuto, sono stato definito: “Padre Carlo della Trinità, Vescovo del disimpegno”. Questo non deve meravigliare perché specialmente a quei tempi la Trinità era ritenuta una serie di concetti e di relazioni e l’impegno corrispondeva alle cosiddette direttive pratiche.
A distanza di vent’anni, capisco sempre meglio come fosse giusto il mio programma, anche se non corrispondeva alle attese, specialmente dei sacerdoti, che esigevano appunto “le cose pratiche”.
Proprio l’approfondimento del mistero trinitario ha evidenziato al mio spirito tre situazioni che esigevano un serio impegno pastorale. Le nostre comunità rischiavano di essere infantili ; di fatti, si può dire che la quasi totalità dell’impegno e del tempo era rivolto alla catechesi dei ragazzi, dei preadolescenti e in parte dei giovani e per gli adulti non si faceva niente. Questa catechesi poi era quasi del tutto nozionale e non era una educazione alla fede, tenuto conto inoltre che la fede dei piccoli ha bisogno di punti di riferimento e di sostegno costituiti dalla fede degli adulti.
Il grave problema anche oggi sono gli adulti, di cui la maggior parte non sono praticanti e questi non sempre sono credenti. L’evangelizzazione e la catechesi degli adulti è il problema più serio che, deve affrontare ogni comunità e che non può risolversi globalmente rivolgendosi a tutti. La pedagogia dell’Antico Testamento e Gesù nel Vangelo ci mettono sulla strada giusta: Dio riconduce il popolo di Israele alla fedeltà all’alleanza col piccolo “resto fedele”. Gesù afferma: « Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutto si fermenti » (Mt 13, 33).
Il resto fedele e il lievito sono i piccoli gruppi che irradieranno il Vangelo “per contagio”. La formazione di questi gruppi, io ho sostenuto, avviene per un’evangelizzazione e una catechesi “esperienziale”. Ho usato questo termine perché è accolto da molti autori, si distingue da sperimentale e implica non solo una condotta esemplare, ma soprattutto una vita traboccante dell’azione dello Spirito Santo.
Questi rilievi non corrispondevano ad indicazioni pratiche, perché richiedevano un cambiamento di mentalità, una visione piú vera delle situazioni e un impegno interiore molto esigente.
Il mio impegno ha cominciato a dare qualche frutto: la costanza dà i suoi frutti come dice il mio motto “patientia opus perfectum”.
La lunga esperienza, che continua ancora oggi, ha reso sempre piú viva quella che io definisco la testimonianza, che costituirà soggetto di queste mie pagine: io sono una persona amata.
Quest’affermazione potrà risultare sorprendente o anche di poco conto, ma per chi la vive è tutto: arrivare a questa convinzione e a questa certezza, a ben pensarci, costituisce il vertice della vita, umana e di quella cristiana. Dio è amore ed essere sicuri che Dio è interamente proteso verso di me è tutto. E’ una sicurezza che non nasce da una emozione, dalla sensibilità o dalla intelligenza: è un dono di Dio. E’ un dono di cui ho preso coscienza col maturare della mia vita. Ho la sicurezza chiara che lo Spirito Santo rende testimonianza al mio spirito che proprio io sono figlio di Dio (cfr Rm 8,16). Quindi non è frutto del mio impegno, ma è una grazia dell’azione dello Spirito che mi è stata data nel Battesimo, nella Cresima, nella Consacrazione presbiterale ed episcopale.
Il protagonista di questa azione è Dio: « ma Dio ricco di misericordia, per il grande amore col quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siamo stati salvati » (Ef 2, 4-5); « in questo sta l’amore di Dio: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi-» (1 Gv 4,10); « noi amiamo perché egli ci ha amati per primo » (1 Gv 4,19).
Questa azione è gratuita: vedi ancora la sopra citata Efesini 2,5; « E’ in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza… » (Coi 2, 9-10); « senza di me non potete fare nulla » (Gv 15,5). Dunque non è per i miei meriti che ho questa certezza, ma per un dono gratuito di Dio. Tutto poi è frutto di misericordia: il comportamento di Dio è tutto ispirato alla misericordia: l’amore a contatto della miseria diventa misericordia, « darò gloria al tuo nome sempre perché grande è con me la tua misericordia » (Sal 6, 12-13); « anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe il mio affetto né vacillerebbe la mia alleanza di pace; dice il Signore che ti usa misericordia » (Is. 54, 10); « così egli ha concesso misericordia ai nostri padri… per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati, grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio » (Lc 1, 72-73); « e su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia su tutto l’Israele di Dio » (Gal 6,16).
Quello che piú conta in questa sicurezza è la fedeltà di Dio: tutta la divina Scrittura è una continua ripresa del tema della fedeltà di Dio. Molte persone impegnate con serietà nella loro vita spirituale sono insicure, facili anche allo scoraggiamento, perché non conoscono il Dio della Rivelazione. Anche i predicatori, alle volte hanno favorito questa malattia dello spirito. Una meditazione seria della Parola di Dio ci dà la sicurezza assoluta.
Un testo fondamentale è il cantico di Mosè: « Ascoltate, o cieli: io voglio parlare: oda la terra le parole della mia bocca!… egli è la Roccia… è un Dio verace senza malizia; egli è giusto e retto » (Deut 32, 1-4); « Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura sempre » (Is 40,8); « Cosi sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata » (Is 5, 11); « e in realtà tutte le promesse di Dio in Lui sono diventate “sì” » (2 Cor 1,20); « ricordati Signore del tuo amore, della tua fedeltà che è da sempre » (Sal 25,6).
Dunque, questa sicurezza è un dono dell’iniziativa di Dio, della sua gratuità, della sua misericordia e della sua fedeltà. lo sono una persona amata dal Padre che mi dona il Figlio, dal Figlio che mi dona se stesso e dallo Spirito Santo che realizza in me il dono di Dio. Questa sicurezza non è un idillio, si fonda sulla prova concreta dell’amore di Dio: credo di essere partecipe del mistero della passione, morte e risurrezione di nostro, Signore Gesù Cristo, per essere salvato; quindi non mi ritengo esente dalle prove, ma sono fiducioso nella forza della Risurrezione e della Gloria.
In questa sicurezza si inserisce un altro elemento prezioso: la presenza della Madonna. La mia unione con Maria è inseparabile da quella con Dio. Sono certo che essa si rallegra dell’amore che mi porta il mio Dio, che interpone la sua intercessione perché sia sempre piú grande e col suo amore materno mi custodisce nella fedeltà a questo amore. Per parte mia ho l’abitudine di attribuire a lei il frutto delle mie opere e dei miei sacrifici. E’ una disposizione che mi ha sempre accompagnato: nell’esercizio del mio ministero, nelle faticose pedalate di quando avevo la bicicletta e negli interminabili viaggi attraverso tutta l’Italia dal nord al sud e viceversa. La recita del rosario mi accompagna sempre. Inoltre il mio Angelo custode entra con la sua presenza in questa comunione.
Questa certezza è la base di tutta l’esperienza di vita che ho trascorsa partecipando intensamente ai misteri della divina Rivelazione. Mi permetto di insistere, la mia è una esperienza prima e piú che una conoscenza intellettuale: intendo narrare, non dimostrare. Per quanto ne sarò capace desidero mantenere il tono della narrazione, lasciando ai dotti il compito della dimostrazione. Eviterò le citazioni degli Autori e delle Opere che ho letto: tutto ciò che non ho vissuto, non sarà oggetto di questo scritto.
Farò delle affermazioni inconsuete, che saranno intese solo a prezzo di un cambiamento di mentalità e questo è quanto mai difficile; perciò con umiltà prego chi legge, prima di rifiutare una affermazione, di riflettere, di pregare, di confrontare le divine Scritture.
Userò un linguaggio semplice, evitando i termini tecnici di carattere filosofico e teologico, mi servirò di parole correnti comprensibili anche ai non addetti ai lavori, utilizzerò facilmente il paradosso e seguirò un andamento discorsivo.
I destinatari di questo scritto sono tutti: i Vescovi per primi e non per presunzione, ma per offrire umilmente a loro il frutto di oltre trent’anni di ministero episcopale, svolto al Sud e al Nord, in tempi di radicale evoluzione; i Presbiteri, i quali rendono presente il Vescovo nelle comunità e ne fanno le veci: anch’essi provengono da una formazione che oggi, a vent’anni dal Concilio, necessita di profondi mutamenti; i Religiosi e le Religiose che rischiano a volte di rimanere depositari di luoghi comuni, i quali non hanno niente a che fare col Vangelo; i laici praticanti che rimangono in varia misura clericalizzati e i laici non praticanti e non credenti i quali più facilmente si avvicinerebbero alla fede se conoscessero il Dio cristiano. A tutti mi accosto con grande rispetto e umiltà e offro una parola amica.