Rivista diocesana Novembre 1969 -la parola del vescovo
Avete certamente capito che ho una grande stima della Liturgia, che la ritengo veramente il centro e quindi la sorgente di tutta la vita cristiana, sia di quella comunitaria come di quella personale.
Alla vigilia di una nuova era della storia della Liturgia e perciò della vita della chiesa, sarebbe legittimo da parte vostra attendervi una meditazione su questo eccezionale avvenimento della entrata in vigore del nuovo ordinamento della Messa. A me pare invece che sia doveroso e urgente prendere coscienza di un grave pericolo che ci sta insidiando: le celebrazioni liturgiche e la preghiera comunitaria rischiano di farci dimenticare il valore e la necessità della preghiera personale.
Il popolo di Dio, principale attore della celebrazione del memoriale del Signore, l’assemblea liturgica, la comunità, l’unità di fede, di speranza e di carità da cui risulta la comunione di vita, “cor unum et anima una” (At. 4, 32) non sono espressioni di ” anonimato” in cui le persone dei credenti perdono la loro individualità e diventano massa o folla; ma all’opposto sono il risultato della ricchezza per cui ognuno è, rimane se stesso, e attua i suoi rapporti personali di amore con i fratelli con i quali è convocato a stare insieme come i figli di un unico Padre.
Poichè l’assemblea liturgica e specialmente quella eucaristica, è il momento in cui è più mirabilmente espressa ed adeguatamente attuata l’unità del popolo di Dio, in essa si deve verificare quella partecipazione piena ed attiva del corpo e dello spirito di ciascuno che è proporzionata al fervore della sua fede, speranza e carità (cf. Inst. Gen. 3). Da notare che l’espressione a partecipare – prendere parte » può indurre ad essere intesa solo nel senso di prendere qualche cosa di messo a disposizione, mentre soprattutto coinvolge la pienezza dell’assunzione della piena responsabilità personale.
Il valore della preghiera liturgica risulta:
a) dalla maturità della preghiera personale dei membri dell’assemblea,
b) dalla carità che essi esprimono attualmente
c) e dalla particolare presenza del Signore in mezzo a loro.
Il primo elemento quindi della preghiera liturgica e di quella comunitaria è la preghiera personale.
Ma per togliere ogni impressione che si voglia tentare di convincere ad accettare il valore della preghiera personale con argomenti logici, riferiamoci al comportamento e all’insegnamento di Gesù Cristo.
I Vangeli ci riferiscono che Gesù e i suoi Discepoli hanno partecipato alla preghiera ufficiale della Sinagoga e del Tempio, ma ciò che si impone più evidentemente è Gesù che prega da solo e inculca la necessità della preghiera personale ai suoi. Gesù passa la notte in preghiera, sovente si apparta sulla montagna per pregare da solo, si ritira in disparte a pregare e prega anche quando sa che tutti lo cercano.
Si trattiene nel Tempio perchè deve attendere alle cose del Padre; all’inizio della vita pubblica, durante la sconvolgente teofania del battesimo, Gesù prega; prega durante il soggiorno nel deserto; prega prima di scegliere gli apostoli; prega prima della trasfigurazione; prega prima della sua passione: nel cenacolo e nell’orto degli olivi e sulla croce. La lettera agli Ebrei attribuisce la risurrezione di JGesù alle sue preghiere e alle sue lacrime: a Nei giorni della sua carne egli offrì preghiere e suppliche con forte gemito e lacrime a Colui che poteva liber,arlo da morte e fu esaudito per la sua pietà n (5,7-8).
Gesù pone al centro del suo insegnamento sulla preghiera il « Padre nostro ». La paternità Idi Dio è il fondamento dell’amore filiale, della umile confidenza, della sicura fiducia della preghiera cristiana, la quale deve essere non solo perseverante in quanto espressione di fede, ma incessante per non soccombere alla tentazione.
Alla luce dell’esempio dell’insegnamento di Gesù possiamo capire che (cosa significa pregare.
Dio è nostro Padre; noi siamo figli di Dio,
Il movimento della preghiera cristiana va da Dio all’uomo. La preghiera è il momento privilegiato in cui si attuano i nostri rapporti nuovi con Dio. E’ il tempo che diamo direttamente a Dio; ma soprattutto è il tempo in cui ci mettiamo pienamente a disposizione del nostro Padre perchè compia il suo disegno su di noi: per ognuno di noi personalmente attua la misura estrema del suo amore donandoci il suo Figlio; per mezzo dello Spirito ci rende conformi all’immagine del Figlio, matura l’adozione di figli suoi; ci fa crescere secondo la misura di grazia che ha preordinato per ciascuno di noi; ci dà la coscienza di essere suoi figli; ci introduce, sempre per mezzo dello Spirito, nella pienezza della conoscenza del suo mistero, il quale comprende la sua vita intima e la intimità della comunione alla quale vuole che noi partecipiamo (cf. Gv. 16, {12-15)
La preghiera a nel nome di Gesù » importa la nostra adesione perchè si compia quella di Gesù stesso: « Io in loro e Tu in me. affinchè siano perfetti nella unità, e il mondo conosca che Tu mi hai mandato, e li hai amati come hai amato me » (Gv. 17,23).
Queste non sono delle proposte astratte, non sono delle pie esortazioni, sono le meraviglie inaudite che Dio concepisce per noi e che debbono diventare realtà concreta nella nostra esistenza cristiana.
Io non dimentico che Dio ci introduce nella intimità di vita con se per mezzo della forza della sua Parola, dell’azione dei Sacramenti e animando con la carità i nostri rapporti e le nostre opere.
Ma c’è il momomento dell’ “a tu per tu “, del ” faccia a faccia “, del “solo col solo”: del silenzio prolungato, dell’ascolto amoroso, dell’incontro personalmente inconfondibile, di quando si prende coscienza che Dio ci conosce di persona, del momento che si sa che ci chiama col nostro nome.
Ciò che avviene in questi momenti si compie al più alto livello delle nostre facoltà per l’azione ineffabile dello Spirito Santo. Si tratta dell’evento più decisivo della nostra vita spirituale. E’ indispensabile la limpidezza dello spirito e la sua incondizionata docilità. Questa limpidezza è frutto di purificazione ascetica, come la docilità consegue a una lunga e costante educazione per rinnegare noi stessi.
La purificazione e il rinnegamento li dobbiamo domandare come grazia.
Ciò che accade durante la preghiera e una silenziosa maturazione che lo Spirito compie nelle fibre più nascoste della nostra persona per trasformarla in creatura, che rimane se stessa e non è più quella di prima (cf. Gal. 2,20). E’ impensabile che un avvenimento che ci trasforma radicalmente, anche se si compie nel mistero e nel silenzio, non abbia le sue ripercussioni a livello di coscienza e non costituisca una esperienza della nostra vita.
Questo è uno degli aspetti del valore della preghiera: giungere alla esperienza di Dio, camminare, esprimersi come chi ha visto Dio, potere rendere testimonianza, fare fede di ciò che si vive. Senza « visioni », senza fenomeni di mistica straordinaria.
E’ la responsabilità e il dovere di portare ai nostri fratelli la testimonianza di chi si è impegnato nelle cose del suo Padre, che si è posto a sua disposizione incondizionatamente, che cerca anzitutto il Regno di Dio; che perciò ha lasciato tutto per assicurarsi il tesoro che ha scoperto.
So bene che bisogna essere onesti e realisti: è possibile oggi, a noi preti, pregare e pregare così?
E’ difficile.
Il frastuono esterno è aumentato in modo insopportabile, le sollecitazioni esteriorizzanti non ci danno requie, il ritmo della giornata non lascia respiro, chi prende sul serio le responsabilità del ministero diventa prigioniero di esigenze che prendono tutto il nostro tempo; quando la stanchezza raggiunge un determinato limite non consente più che si possa attendere a una attività spirituale come è richiesta dalla preghiera.
Inoltre oggi si è inclini a dare credito alla cosi detta « preghiera diffusa »: chi lavora prega, l’esercizio della carità è superiore alla preghiera, Dio si incontra nei fratelli, nei poveri ecc.
Rispondo subito: non facciamoci illusioni. Perchè il lavoro sia preghiera, è indispensabile l’unione abituale con Dio che deriva da quella attuale della preghiera specifica; la carità non nasce dai fratelli ma da Dio, come pure Dio lo si può incontrare e servire dovunque, nella misura della chiarezza della fede che si alimenta a contatto di Dio nella preghiera.
Pregare significa pensare a Dio in un attegiamento di amore » (Charles de Foucauld): si può pensare a lui senza amore, come si può fare un atto di amore di Dio, servendo i fratelli senza pensare a Lui.
Esiste una responsabilità preliminare nell’esercizio del ministero: di essere ciò che proponiamo. Gesù presente nei gesti del nostro ministero, nella parola che predichiamo, tra i fratelli che aduniamo intorno a noi, fino a che misura è presente nella nostra persona, fino a che punto vive in noi? (cf. Rm. 6,11). Oggi più che mai la gente ha il fiuto della nostra autenticità.
Noi abbiamo la missione di tessere rapporti personali coi nostri fratelli; essa sarà vera ed efficace, a livello di esistenza cristiana dove ci pone la nostra missione stessa, soltanto nella misura dell’attuazione dei nostri rapporti con le divine Persone, le quali sono la sorgente, il modello dei rapporti personali umani, che hanno per meta una comunione di vita analoga a quella che esiste tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Ognuno vive la sua situazione personale, è indispensabile chiarirla, misurarla e darle le dimensioni giuste Ognuno conosce ciò che lo distrae inutilmente, sa fino a che punto può disporre e ordinare il suo tempo, conosce la misura delle proprie energie e come deve stabilire una gerarchia del valore (non dell’urgenza) della sue occupazioni.
Infine ci vuole il coraggio di decidere. Decidere di toglìere ciò che distoglie da se stessi; decidere di essere disciplinati, puntuali, ecc.; decidere di dare il tempo necessario e adatto al primo dovere e alla prima responsabilità: quella di pregare; decidere, se occorre, di mutare il ritmo della giornata quando è in propria facoltà, decidere di .( non esserci ) quando altrimenti non si riesce più a pregare nella misura necessaria per alimentare lo spirito di fede e mantenere ed accrescere la unione con Dio.
ST 333 Preghiera 69
Rivista diocesana Novembre 1969 pag 426-430