Noi Vescovi del Concilio
Conversazione ai vescovi lombardi 1-6- luglio 1988
Il compito di amarci gli uni gli altri, come Gesú ci ha amato è estremamente impegnativo e al di sopra delle nostre forze.
Secondo il contenuto di tutta la Divina Rivelazione noi siamo in grado di amare perché siamo amati: “Non siamo stati noi ad amare Dio ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4,10); “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente! Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo cosí come egli è” (1 Gv 3,1-2); “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito perché chi crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16; cf Rm 8,32; Mt 27,37); “Questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gl 2, 20).
Dunque noi siamo delle persone amate: amate da Dio! E quale Dio! Il Padre di nostro Signore Gesú Cristo è il Dio di Davide: “Sia benedetto, Dio di Israele, nostro Padre, ora e sempre. Tua, Signore, è la grandezza, la potenza, la gloria, lo splendore e la maestà, perché tutto, nei cieli e sulla terra è tuo” (I Cor 29, 10-11). t da lui che ci deriva la capacità di amare secondo il nuovo comandamento, perché il suo amore (quello del Padre per il Figlio, quello del Figlio per il Padre, nel unico Spirito) è stato riversato nei nostri cuori dallo Spirito che ci è stato dato (cf Rm 5, 5). La sicurezza di essere delle persone amate, che ci viene dallo Spirito e non dalla carne, è il fondamento del nostro equilibrio, della stabilità del nostro umore, della serenità cordiale dei nostri rapporti. Questa sicurezza ci fa persone riuscite: che amano e sono amabili.
Quindi dobbiamo lasciarci investire dallo Spirito, il quale rende testimonianza ai nostri cuori che siamo figli di I)io (cf Rm 8, 16). i! sempre lo stesso Spirito che ci introduce nella conoscenza di tutta la realtà di Dio e delle sue meraviglie; ce ne dà il gusto, ci apre allo stupore e ci riempie di gioia: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso; quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16, 12-13); “Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi suggerirà [vi dirà in un orecchio…] tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 15, 28).
Per avere la certezza, la sicurezza e la gioia di essere figli di Dio e comprenderne tutta la portata, è indispensabile mettersi in un atteggiamento ricettivo. Veramente dobbiamo convertirci: avere il coraggio di “stare fermi”, disponibili e fiduciosi sotto l’azione dello Spirito. Non siamo noi a cercare Dio, ma è Dio che cerca noi con la potenza incoercibile del suo amore, della sua misericordia, del suo perdono, della sua dolce tenerezza e compie per noi opere stupende nel mondo della creazione e in quello della grazia.
A chi dobbiamo aprirci nella nostra preghiera? Naturalmente, al Dio della divina Rivelazione, il quale non è anonimo: è il Padre e il Figlio e lo Spirito santo, tre Persone infinitamente unite e infinitamente distinte. Il Padre è l’origine e il termine, il Figlio è l’accoglienza e il dono di sé, lo Spirito è la pienezza e il compimento. Ogni Persona ha la sua “fisionomia” inconfondibile.
I rapporti della nostra persona con le Divine Persone non sono dettati dalla ” legge “, sono invece la grazia che ci viene da Dio: “Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e le mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio” (Ez 11, 19-20).
Ci sono tempi e tempi. Lo Spirito che non si sa da dove viene e dove va, dal di dentro orienta la nostra contemplazione (cf Gv 3, 8).
Abituati a vivere nelle gabbie di cemento armato e a camminare sull’asfalto, di rado ci capita di respirare aria pura, di ascoltare il silenzio, di godere il sorriso di Dio in un prato fiorito, di stupirci della imponenza delle vette, di lasciarci sommergere negli spazi sconfinati del cosmo che sta al di là di un cielo stellato, di ammirare la vastità imponente del mare, di godere della dolcezza dell’amicizia, della dolce innocenza degli occhi di un bimbo e del fascino della creatura umana per la sua fame di sete e di vita.
Poi ci sono le meraviglie della grazia: chi si lascia incantare e si ferma ad accogliere la vita sempre piú abbondante che Cristo è venuto a portarci? (cf. Gv. 10, 10). Chi si lascia penetrare dalla concreta esperienza che tutti siamo ricolmi della sua pienezza? (Gv 1, 16). Chi ha coscienza viva e operante che accogliendo (;Gesú Cristo si acquista il potere di diventare figli di Dio? (Gv, 1, 18). Chi ha percezione dell’evento sempre attuale per cui quando uno ascolta la Parola di Cristo, Egli e il Padre vengono a prendere dimora presso di lui? (Gv 14, 28). E che lo Spirito ci viene dato per diffondere in noi la capacità di amare? (Rm 5, 5)
A questo punto appare spontanea e doverosa la dimensione laudativa della preghiera: “E questo a lode e gloria della sua grazia” (Ef 1, 6), “Perché noi fossimo a lode della sua gloria” (Ef 1, 12). Nei Salmi c’è il richiamo continuo alla lode, alla quale noi non siamo abituati e in questo senso non educhiamo i membri del popolo di Dio. Tutta la liturgia, sia delle “Ore” come quella eucaristica, è una continua espressione della lode della grazia e della gloria di Dio.
Soltanto una visione chiara di fede e un atteggiamento contemplativo, mentre ci fanno gustare i doni di Dio, per contrasto ci portano a scoprire i problemi dell’umanità e le loro soluzioni; sempre perché il cuore di Dio è piú grande di tutti i nostri peccati e la grazia sovrabbonda dove abbonda il peccato. Questa è la realtà di fondo; questa è la lieta novella.
Per tali buone ragioni, i vescovi soprattutto devono essere contemplativi. La contemplazione è lo sguardo della fede aperto a Dio e alle sue opere, illuminato dallo Spirito: può essere il dono di ogni battezzato ma per il vescovo, oltre che dono, è il primo impegno.
La preghiera cosí concepita sta al primo posto nella vita di un vescovo e ha un significato anche pedagogico, perché i sacerdoti e i fedeli acquistino la convinzione che il primo compito del vescovo non è quello di rendere piú solenni le celebrazioni ed essere presente in tutte le circostanze perché siano piú decorose, ma è quello di pregare e di evangelizzare la Parola contemplata.
Una tradizione che si perde nei secoli definisce il vescovo come il “perfezionatore” della vita cristiana e di quella religiosa. Il Vescovo, lo Spirito, la Parola sono una trilogia inscindibile!