La ricerca di una catechesi adatta a dei catecumeni cristiani, siano essi di origine giudaica o mussulmana o dei miscredenti, è strettamente legata alla scoperta di una catechesi cristiana di base per tutti i battezzati adulti che vivono nel mondo di oggi. Tanto nell’uno caso come nell’altro è questione di un adattamento primario o fondamentale.
Abitualmente, quando noi parliamo di adattamento, siamo preoccupati di arrivare a ciascun gruppo e a ciascuna delle mentalità a cui noi vogliamo indirizzarci e cui vogliamo presentare il Vangelo. Non si dovrebbe piuttosto far questione di adattamento al Messaggio?
Se noi sapessimo in modo esatto che cosa importi essere cristiano, e, nel caso di una responsabilità apostolica, avessimo sufficientemente meditato ciò che la rivelazione giudeo-cristiana ha di assolutamente originale come fatto religioso, noi, proprio per questo saremmo passabilmente preparati a presentare la fede cristiana a tutte le mentalità. Di conseguenza ciò che noi dobbiamo fare è di ritrovare le linee di forza che segnano la originalità profonda della rivelazione giudeo-cristiana vista nella sua unità e il dinamismo, pegno della storia della salvezza, con la quale essa si identifica.
Oggi, in effetti, dove il cristianesimo è preso sul serio, si sente il bisogno di ritornare al di qua di certe sistematizzazioni e “adattamenti” che volevano volgarizzare il messaggio cristiano diluendolo e impregnandolo di impurità; si cerca di ritornare alle sorgenti stesse del cristianesimo, sia per i battezzati come per i non battezzati. E’ sintomatico al riguardo anche la riscoperta di un determinato vocabolario: la parola evangelizzazione per esempio, che da circa vent’anni anni, se si esclude qualche protestante, non era più usata, oggi nel mondo cattolico si ripete fin troppo (anche perché tutti pretendono di fare della evangelizzazione), ciò che dimostra che si è nuovamente arrivati alla realtà che essa esprime. Si può dire altrettanto per la parola catechesi, da non confondersi con catechismo, che indica la preoccupazione di trasmettere vitalmente, come alle origini del cristianesimo, la rivelazione cristiana riportata alle sorgenti.
Si constata che la gente del nostro tempo in tanto ha difficoltà a credere e a trovarsi a proprio agio nella sua fede, in quanto la rivelazione cristiana non è proposta abbastanza bene nella sua purezza e nella sua primitiva freschezza. Si ha la sensazione che se essa fosse così presentata, otterrebbe senz’altro l’attenzione delle moderne coscienze, poiché la rivelazione cristiana colloca l’uomo al livello della sua coscienza libera da ogni infantilismo.
Per questo lo sforzo principale della catechesi dovrà riassumersi così: sapere attraverso una conoscenza interiore fatta di una fede che penetri tutto se stesso
a) chi è Gesù Cristo,
b) qual’è la sua precisa identità,
c) quale il significato della sua Persona e della sua opera,
d) il mistero di Gesù Cristo.
Le pagine che seguono vogliono fermare l’attenzione sul tema fondamentale di tutta la catechesi veramente cristiana: la parola di Dio alla quale noi crediamo, nella sua pienezza, è Gesù Cristo.
I°
Gesù Cristo é la “pienezza della Parola di Dio”
Incominciamo richiamando alla memoria qualche grande testo paolino che proclami Gesù Cristo come pienezza della Parola di Dio:
1) il Vangelo é Gesù Cristo (Rm 15,17-22)
2 la Parola di Dio é Gesù Cristo (Atti 16,39)
3) il disegno di Dio nella sua pienezza é Gesù Cristo (At 20,20-28)
4) la pienezza della Parola di Dio é Gesù Cristo ( col 1, 25-29)
5) la parola degli ultimi tempi é Gesù Cristo (Eb 1,1-3)
Che cosa vogliano dire san Paolo e gli altri autori del N.T. quando proclamano che Gesù Cristo è la pienezza della Parola di Dio?
1 Innanzi tutto fermiamo la nostra attenzione su l’espressione “Parola di Dio”.
Avviene raramente, quando si annuncia il messaggio cristiano, che si insista su quanto, in questa espressione, per se semplice alla quale noi siamo abituati, vi é di originale in relazione alla religione giudeo-cristiana. Dio ha parlato e questo che cosa significa?
Qui non si tratta di una parola che esprima dei pensieri, sia pure molto profondi, sulla divinità e sulle cose del mondo religioso o di una parola a proposito di Dio, come potrebbe essere la parola di un professore di religione. E’ necessario sganciarci dal solito modo molto superficiale di concepire la Parola: Dio non fa delle chiacchiere, quando parla non lo fa per il bisogno di uscire da un silenzio insopportabile e darsi l’aria di un personaggio; la parola é la prerogativa delle persone, gli animali non parlano.
A questo proposito può dirci qualche cosa l’esperienza dell’amore umano: quando uno parla veramente, esprime e comunica qualche cosa di se stesso; la parola diventa un dono; fa esistere come interlocutore colui al quale si rivolge, e suscita una comunione; rivela a se stessi i due che si stanno di fronte; e già li lega attraverso una responsabilità vicendevole.
Il Dio vivente ha voluto manifestarsi agli uomini, dire loro chi egli sia per essi e che cosa vuole che gli uomini siano davanti a lui e nel suo piano.
Egli si é rivolto agli uomini e li ha costituiti interlocutori personali. Per questo l’atto con cui Dio parla rivela nello stesso tempo e il suo disegno di gloria e la personalità del Dio vivente: Dio al centro del piano della sua volontà e della sua azione nella storia degli uomini che diventa nello stesso tempo Storia Santa e Regno di Dio. E quanto più profondamente sarà messa in evidenza la rivelazione del Piano di Dio tanto più chiaramente apparirà il volto di Dio stesso.
La storia santa ci riporta tutte le fasi successive dell’avvenimento della Parola di Dio e culmina con la Persona, la vita la morte e la risurrezione di Gesù Cristo: Dio insomma si é manifestato agli uomini nella misura in cui lo permetteva la condizione storica della umanità; Egli si é impegnato nella sua Parola e la situazione degli uomini é radicalmente cambiata, dal momento che Dio é presente e agisce in mezzo ad essi.
Ora tocca agli uomini di ascoltare con serietà questa Parola di accettare di incontrarsi personalmente con un Dio che ci si fa incontro (e questo con tutte le conseguenze). Fare un atto di fede equivale a convertirsi alla Parola e riportare a Dio la sua Parola.
La Parola di Dio mette la creatura sull’attenti; la interroga sul fondamento della sua vita e sulla concezione che ha della felicità: “Più affilata di una spada a doppio taglio, arriva fino a scindere anima e spirito, giunture e midolla: essa mette a nudo le intenzioni e i pensieri più intimo”(Eb 4,12).
La Parola di Dio rinnova colui che l’accoglie dentro di se: ” Come la pioggia e la neve scendono dai cieli e non vi ritornano se non dopo aver bagnato, fecondato la terra e fatto germogliare le piante, né senza aver dato semente al seminatore e pane a chi ne mangia, così é della parola, che esce dalle mie labbra; essa non ritorna a me senza effetto, senza aver eseguita la mia volontà e compiuto i miei disegni”(Is 4,10-12).
La Parola di Dio é luce; fa vedere tutte le cose dal punto di vista di Dio e nella coerenza del suo disegno di Amore.
La Parola di Dio distingue gli uomini secondo le disposizioni del loro cuore e impegna la loro vita al livello delle responsabilità eterne.
Chi ha orecchi per intendere, intenda, diceva Gesù.
Ai nostri giorni si dovrebbe insistere su questa espressione “Parola di Dio” e sulla realtà di cui é carica, perché sia i cristiani come i non cristiani sono sempre maggiormente portati a stabilire dei confronti tra le diverse religioni. Non é più soltanto qualche raro studioso di etnologia religiosa che può,un giorno o l’altro, chiedersi: ” che cosa ha di originale il cristianesimo? In che cosa consiste l’essenza del cristianesimo”?
Bisogna perciò trovare un punto di riferimento che dica in modo positivo, al di fuori di ogni apologetica di dettaglio, in che cosa il cristianesimo si distingue dalle altre religioni.
Ora proprio nella semplice espressione “Dio ha parlato” noi abbiamo un elemento capitale che ci permette di far conoscere la originalità del cristianesimo. Noi ci rifacciamo a una rivelazione storica di Dio, a una Parola di Dio che non é semplicemente una espressione verbale, ma consiste in un avvenimento, é la venuta di Dio, presenza di Dio nella storia umana al fine di trasformarla. Dio si é posto di fronte, noi abbiamo visto la sua gloria, noi abbiamo corrisposto alla sua iniziativa, noi abbiamo detto di sì al suo invito.
Il cristianesimo pertanto si distingue radicalmente da ogni altra religione che sia semplicemente o principalmente una morale o una dottrina metafisica o una generica “religione” fondata sul sentimento religioso.
Religione generica difatti é l’espressione creata o un sentimento religioso o un istinto religioso che l’uomo porta in se e a cui egli avrebbe dato un’orchestrazione o che avrebbe socializzato; insomma una religione determinata da un bisogno religioso più o meno puro, che emerge dall’uomo. Il cristianesimo invece viene dall’Alto, é la chiamata di Dio a cui l’uomo risponde: la direzione é opposta.
2° Il cristianesimo rivendica tutta la tradizione dell’Antico Testamento che partecipa della stessa originalità. Dio ha parlato fin dall’Antico Testamento di proprio nella Nuova Alleanza vi é che egli “ha parlato nella pienezza in Gesù Cristo”.
Che cosa significa questo?
E’ precisamente per Gesù Cristo e in Gesù Cristo che l’atto con cui Dio parla nella sua pienezza si identifica con la Storia Sacra.
Gli interventi con cui Dio si rivelava nell’Antico Testamento non esaurivano la sua intenzione di rivelarsi. Inoltre gli stessi profeti non si identificavano con gli avvenimenti divini, né allo Spirito Santo che li ispirava; nella rivelazione del Cristo la manifestazione della Parola di Dio raggiunge la sua pienezza, riassumendo e sorpassando tutte le rivelazioni profetiche dell’Antico Testamento. E’ proprio questo ciò che esprime il prologo dell’epistola agli Ebrei sopra citata.
Gesù Cristo, pienezza della Parola di Dio, significa più precisamente che: Gesù Cristo con la sua predicazione e le sue opere ha portato a termine i segni profetici della venuta di Dio nella storia. Nel racconto dei Vangeli sinottici lo vediamo richiamare e interpretare nel loro significato universale e pieno, tutte le manifestazioni di Dio in mezzo al popolo giudaico e annunziare imminente la venuta definitiva di Dio. “I tempi sono compiuti e il Regno di Dio é vicino convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).
Gesù Cristo con la sua risurrezione ha manifestato in modo pieno e definitivo l’intenzione di rendere gloria a Dio. In questo avvenimento, la Parola di Dio ha indicato alla storia umana la sua destinazione ultima e la potenza di Dio che la voleva mettere in cammino verso la vita eterna. Come nell’Antico Testamento la Parola di Dio si é manifestata attraverso un avvenimento carico di rivelazione; ma qui si tratta di un avvenimento personale nel quale Gesù Cristo stesso é il soggetto e del quale egli enuncia con autorità divina il significato divino. Si capisce come Paolo abbia posto la risurrezione del Cristo al centro del Kerygma e abbia potuto scrivere ai colossesi: (Col 1,25-28) e ai presbiteri di Efeso (Ef 20,28)poteva dire ancora:
La Parola di Dio che é Gesù Cristo nella sua umanità pasquale ha una portata universale, é inizio di un compimento che deve avvenire nella umanità. Essa reclama una espansione, ma non più un superamento o una rivelazione più piena nella storia: la Pentecoste é già compresa nell’Avvenimento – Parola di Gesù Cristo. La buona novella eterna (Ap 14,6) proclamerà questo compimento e i beati canteranno il cantico di Mosè servitore di Dio e il cantico dell’Agnello (Ap 15,3).
Infine, in Gesù Cristo, nella manifestazione della gloria, nella sua persona e nelle sue opere, nelle sue parole, nella sua pasqua, é Dio stesso che rivela, per quel tanto che la coscienza umana può accogliere qui su questa terra, il mistero di Dio in se stesso. Egli é il Verbo, profeta sostanziale e non più semplicemente l’intermediario, il testimone eterno del piano di Dio e della Divinità. Come riferisce Giovanni ( Gv 3,31-35).
Gesù Cristo é il Logos: ecco il principio fondamentale dell’identificazione tra la sua manifestazione storica e la pienezza dell’azione della Parola di Dio.
Che egli poi sia costituito dal Padre giudice dei vivi e dei morti é la conseguenza di questa identificazione personale con la Parola di Dio il quale, presente nella storia, la giudica allo stesso tempo che la suscita e la proietta nell’avvenire.
In tal modo, in Gesù Cristo, la pienezza della Parola di Dio é nello stesso tempo il Dio vivente che ci viene rivelato e l’umanità nella luce della sua divina vocazione.
Dio e il Regno,
il Dio del Regno,
il Regno di Dio
Riprendiamo ognuno di questi aspetti:
In Gesù Cristo noi sappiamo chi é Dio per gli uomini e la identità reale del Dio vivente
Questo ci mette nella necessità di denunziare quelle espressioni ambigue e insufficienti della trascendenza di Dio che troppo spesso trovano credito anche tra i cristiani.
Si é arrivati ad accontentarsi di una trascendenza filosofica.
Ma se é ammissibile che un metafisico puro arrivi a possedere un senso della creatura che gli assicuri anche un senso di Dio concepito come completamente Altro e come Indicibile; questa profonda esperienza della dipendenza metafisica non é certamente alla portata di tutti (nemmeno di tutti quelli che insegnano la filosofia) questa profonda esperienza della contingenza metafisica. E quand’anche lo fosse, non equivarrebbe all’esperienza cristiana.
Il Dio necessario del metafisico non si é mosso per primo incontro all’uomo: la trascendenza fa di lui un estraneo al punto che non si ammetterà, anzi fa di lui un estraneo al punto che diventa ovvio pensare che egli si interessi alla sua creazione e che l’uomo non si ritenga invitato a dirigersi verso di lui.
La religione dei filosofi é una religione astratta ci cui si può dubitare se sia mai stata praticata al di fuori di qualche genio metafisico: soprattutto quando ha preteso di appoggiarsi su una trascendenza di tipo idealista o panteista, come é avvenuto per la filosofia occidentale moderna; l’afflato mistico le é generalmente derivato non da motivi filosofici ma da influenza della religione positiva (ciò é evidente in Spinoza e Kant impregnati rispettivamente di giudaismo e di pietismo protestante).
Che dire poi di quel vago teismo (per non dire forse meglio deismo) spiritualista che esprime in sintesi la fede di certi cristiani: “Io credo nell’assoluto, puro spirito”?
Non ci tranquillizziamo noi troppo facilmente davanti a certe professioni antimaterialiste, come se esse implicassero un reale incontro con Dio?
Voltaire per designare Dio diceva: “Monsieur de l’Etre”! Quando la conoscenza filosofica di Dio scopre la sua grandezza, è sempre la grandezza di un estraneo, é la grandezza di una schiacciante necessità di essere. Ben altra é la concezione cristiana del Dio vivente.
E’ dunque indispensabile presentare l’espressione autentica della trascendenza cristiana.
Ma sarebbe altrettanto errato presentare Dio, in opposizione a quanto fanno i filosofi, come il Dio del capriccio della storia.
Avviene infatti che si falsi la trascendenza del Dio vivente, insistendo unicamente sulla sua potenza e sulla sua libertà di fantasia in nessun modo determinata dall’amore. Un Dio che si é rivelato per imporre agli uomini i suoi capricci; un Dio che ricompensa o condanna a suo arbitrio, un Dio la cui grandezza sembra importare l’esercizio dei difetti e dei vizi degli uomini elevati all’infinito (crudeltà, vendetta, incostanza,volontà di dominio).
Certi modi di presentare la predestinazione, la libera elezione di Dio, la gratuità della salvezza, la Redenzione, illustrano perfettamente questa concezione da cui derivano fatalismo, terrore, sentimento di angoscia. La coscienza del limite e il senso del peccato rischiano così di confondersi con questa falsa coscienza di colpevolezza che gli psichiatri scorgono all’origine di molte malattie mentali.
Questo Dio la cui grandezza é fatta di arbitrio finisce di rassomigliare stranamente all’uomo nel momento stesso in cui inesorabilmente lo domina. Si cercherà di sfuggire alla sua trascendenza piuttosto che trovarvi un motivo di comunione; oppure ci si sentirà schiacciati da una presenza che accusa il nulla della creatura peccatrice; Gli si renderanno i dovuti omaggi come fa il servitore che non vuole avere storie con il suo padrone onnipotente.
Sarà anche necessario denunciare l’ambigua affermazione di trascendenza dei filosofi dell’angoscia (Kafka e Kierkegaard, ecc) dei quali a volte si rischia sopravvalutare il valore apologetico. Lo stesso si dica del Dio dei romantici, esteti o disperati.
Vi é persino un certo modo di presentare Dio coi tratti di un monarca assoluto dalla augusta maestà, tanto caro al gran secolo, che rischia anch’esso di non rivelare il volto dell’autentica trascendenza cristiana. Certi istinti di religiosità primitiva che si scorgono ancora in ambienti dallo sfondo giansenista, dubbie forme del senso di Dio, hanno penetrato la nostra catechesi: col concorso ora del predicatore romantico, ora del missionario popolare, ora del catechista.
Ho inteso degli agnostici, profondamente spirituali, rilevare: “se vi é un dio vivente, é inammissibile che egli abbia un comportamento, così poco conveniente alla grandezza spirituale, che gli attribuiscono certi predicatori cristiani”
La nostra catechesi é stata troppo poco evangelica e anche troppo poco biblica, perché se é vero che gli inizi della rivelazione dell’A.T. presentano di Dio un volto più primitivo, non si potranno tuttavia contrapporre alla rivelazione evangelica, ne farli responsabili dei punti deboli di quella catechesi.
Quale é dunque questa autentica trascendenza cristiana il cui annunzio deve caratterizzare tutta la catechesi?
E’ innanzitutto la trascendenza dell’amore. Dio si distingue radicalmente dall’uomo, in quanto ama in senso assoluto; egli é il Dio di quelli che accettano di essere amati di un amore più che umano. Egli é sconcertante negli eccessi del suo amore: in Gesù Cristo non ci ha fatto forse intendere che la sua grandezza consiste nel donare se stesso fino alla follia a coloro che non avevano nessun diritto da far valere?[2]
Attraverso tutta la storia della salvezza Dio rivela sua trascendenza nella condotta del suo amore: la sua potenza é la potenza dell’amore, di una incomparabile tenerezza misericordiosa. C’è forse un solo filosofo che abbia saputo parlare della misericordia di Dio come ne parlano le parabole del Vangelo? Quando si afferma che il Dio dei cristiani é un Dio personale, si dovrà intendere che la sua trascendenza appartiene all’ordine della persona, cioè all’ordine del cuore e della generosità.
E’ inoltre la trascendenza della santità. Dio é spontaneità di amore, eternità di vita, non si può aggiungere nulla alla sua perfezione. La santità del Cristo ci fa intendere, allo stesso tempo, la vocazione alla santità e ci prova con assoluta evidenza che solo Dio ci può fare santi. Nel Cristo la santità di Dio ci chiama ma ci fa ogni giorno più convinti che noi non siamo i padroni del Dio della santità: a Lui la gloria; per l’uomo non c’é gloria se non in lui.
Il Dio dei profeti e del Cristo é affascinante e irresistibile per la santità, non per il terrore e le minacce. La sua esigenza non é quella di un tiranno : é l’esigenza di una imperiosa aspirazione a un destino sovra-umano. Niente é nel tempo stesso umano e tanto divino come il messaggio del Vangelo: se incute un timore nel cuore di chi crede, non é affatto il timore del servitore estraneo al suo padrone, né il terrore dei castighi, ma il timore filiale di colui che ha sempre paura di non arrivare a compiere tutto ciò Dio attende da lui.
Così ancora non è affatto per la sua separazione dalla storia che Dio rivela la sua trascendenza, ma piuttosto nell’essersi compromesso con la storia; non per il suo silenzio ma per la sua rivelazione; non per la sua opposizione all’uomo, ma per la sua libera comunione con l’uomo.
In Gesù Cristo difatti Dio non é dissolto nella storia, più di quanto siano stati annichiliti la libertà e il destino dell’uomo .
Tutta la grandezza di Dio si rivela nella gloria a cui essa aveva il potere di far partecipare l’uomo;
tutta la grandezza dell’uomo si é affermata nella totale sottomissione alla trascendenza del Dio della gloria.
E tutto questo in una unione tale per cui noi possiamo dire che Gesù Cristo ha dato un comportamento storico alla stessa infinita santità di Dio.
E’ inutile tentare di mettere in opposizione teocentrismo e Cristocentrismo; il volto autentico di Dio ci é stato svelato da Gesù Cristo, per cui, a differenza di un teocentrismo spiritualista, il teocentrismo della rivelazione é di fatto un Cristocentrismo.
In Gesù Cristo noi abbiamo la rivelazione di Dio e quella del suo regno.
Gesù Cristo é Dio e nello stesso tempo il Regno di Dio;
é Dio che attesta il suo Regno.
Quali i tratti più salienti di questa rivelazione del Regno di Dio in Gesù Cristo?
Prima di tutto, l’universalità di questo Regno e la grandiosità del piano di Dio.
Tutto il mondo della primitiva parola creatrice é chiamato ad entrare nel mondo della seconda parola che é Gesù Cristo, nel mondo della vocazione. Poiché la creazione primitiva non é che una tappa del piano di Dio: Gesù Cristo stesso non é comprensibile se non in relazione al piano di Dio nella sua totalità.
In questo piano, la prospettiva é radicalmente universale e collettiva.
Il credente che ha aderito al mistero del Cristo deve trascendere la prospettiva di accaparrarsi una salvezza intesa come sicurezza puramente individuale.
In secondo luogo il Regno di Dio é una realtà storica.
Il Regno esiste già. Con la Pentecoste siamo entrati nell’epoca finale.
– Il Regno é inaugurato nella storia, anche se dobbiamo ancora attendere il suo compimento.
– Dio realizza il suo regno nella storia e con la collaborazione della storia: la storia risulta una cosa molto seria di una serietà divina.
Il Dio dei cristiani non ci domanda di abbandonare le nostre vie per raggiungerlo in un mondo fuori del tempo: é il Dio del Mistero ma non il Dio del mito. Ciò che vi é di caratteristico nel mito, infatti, é il tentativo dell’uomo di sfuggire dalla fragilità dell’avvenimento storico, alla fugacità delle realtà temporali, col porre una garanzia di eternità nella sua esistenza mortale. Con il mito l’uomo cerca di garantirsi qualche cosa di eterno ma con l’aiuto delle sue sole forze; mentre nel mistero é il Dio eterno che si impadronisce della storia.
Il cristianesimo non é né naturalismo, né evasione idealista: non é l’uomo che ha l’iniziativa e che edifica il regno; pur tuttavia il cristiano non é sollecitato a uscire dalla sua vita e dalla storia per raggiungere Dio.
Il mistero cristiano é la rivelazione del piano di Dio e della serietà della vocazione divina della storia umana. Gesù Cristo non ha barato con la grandezza di Dio e neppure ha barato con l’umanità. Niente storia completa senza Dio, niente regno di Dio fuori della storia: il che significa rifiuto tanto dei messianismi temporali come dei misticismi di evasione spirituale.
In fine, il posto di Dio e quello dell’uomo nella attuazione del Regno.
Questa é una conseguenza di ciò che stiamo dicendo sulla storia e sulla escatologia: Dio ha voluto associarsi l’uomo per la costituzione del suo Regno in Gesù Cristo. Senz’altro è Dio, come dice la lettera agli Ebrei, l’architetto e il costruttore della città. E’ Dio che costituisce il Regno e il principio del Regno viene dall’Alto. Ma essendo questo principio presente ormai nella storia, l’uomo si trova associato da Dio alla costruzione del Regno e alla redenzione dell’umanità. Gesù Cristo non ci dispensa dalla nostra pasqua; Egli compie la sua perché noi facciamo la nostra dopo di lui e con lui. Fare la propria pasqua con Cristo significa per l’uomo diventare il collaboratore del Regno di Dio. Né l’uomo senza Dio, né Dio senza l’uomo: Gesù Cristo ce lo garantisce.
Se la catechesi cristiana consiste essenzialmente nel far capire il significato di Gesù Cristo: pienezza della Parola di Dio, noi siamo anche in grado di precisare la natura della fede adulta che quella Parola deve suscitare e nutrire.
La fede cristiana é tutta altra cosa che un vago sentimento religioso o una credenza metafisica nella esistenza di Dio, è ben altro che una emozione estetica o sentimentale, o una obbligazione morale. Essa è la risposta dell’uomo a Dio che l’ha interpellato. Dio, in Gesù Cristo, pone all’uomo il problema, della sua vita, della sua felicità e di tutta la sua personalità; il credente risponde a Dio, contando su di lui in modo assoluto per l’attuazione della sua vita e per il raggiungimento della sua felicità, lasciandosi introdurre nel piano divino.
La fede, nel senso biblico della parola, che entra nella esperienza del convertito, é, sì, grazia di Dio, ma anche decisione, impegno e rischio totale da parte di colui che liberamente si lega al Cristo ed accetta l’alleanza proposta. Quando un uomo incomincia a credere il senso di tutta la sua esistenza e tutti gli elementi della sua vita umana ne vengono trasformati; é l’uomo in tutti i suoi elementi che é diventato cristiano: mente, cuore, sensibilità, attività e corpo.
In lui si stabilisce una nuova unità di cui quella fondata sull’amore umano degno di questo nome, é già una introduzione .
Fino a che non si mette alla base della propria vita religiosa questa conversione e fino a che non si ha la preoccupazione di approfondire questo legame primordiale e personale con Dio e con Gesù Cristo, uno non può dirsi cristiano. Solo da adulti ci si può impegnare in un modo così assoluto e cosciente, quando si é raggiunta una certa esperienza e si é usciti dalla età della indecisione. Il bambino é religioso per istinto; l’adolescente può già abbozzare questa conversione, che poi si preciserà attraverso le lotte e le tentazioni di ateismo pratico della giovinezza e dell’età adulta.
San Paolo dice che la fede é nel cuore, cioè nel più intimo della personalità, là dove si attua la capacità di donarsi e di accogliere, di impegnarsi e di rispondere delle proprie decisione di fronte al proprio destino personale e storico.
Una fede del genere introduce colui che crede nel mondo reale del Dio vivente, il quale ha voluto essere presente e attivo nella storia; essa non ha nulla a che vedere con una evasione pseudo-mistica o idealistica, né con la morbida paura delle coscienze primitive o romantiche.
Una fede così concepita comporta un riconoscimento preciso, definitivo, senza equivoci, dell’identità di Gesù Cristo, ma non può ridursi alla “ortodossia” teorica o verbale di quelli che recitano il “credo”,imparato dall’insegnante di religione.
Tale fede impegna ad una così assoluta coerenza di comportamento e di azioni cristiane che morale e vita militante non le si aggiungono più dall’esterno.
Questa fede é al sicuro dalle obiezioni razionali, dalle fluttuazioni patologiche e dalle difficoltà di ordine sociologico. Essa non si perde come si può smarrire il fazzoletto che teniamo in tasca, benché al suo dinamico sviluppo sia necessaria una costante fedeltà.
La crisi religiosa dei nostri giovani e il fatto che la religione sia in declino cooperano a rendere più puri i bisogni religiosi i bisogni degli uomini del nostro tempo; ma ad essi non potremo dare una soddisfazione fondata se non apportano la risposta della fede in Gesù Cristo, pienezza della Parola di Dio.
2° Tutto il Credo trova la sua unità in Gesù Cristo
Questa é per la catechesi la conseguenza immediata e capitale per la catechesi sul tema che stiamo esaminando.
Gesù Cristo é la pienezza della Parola di Dio e il compimento di tutto ciò che Dio ha detto e fatto.
> Il credo trova la sua unità in Gesù Cristo, perché in lui tutto il piano di Dio trova la sua unità.
Alla luce di queste affermazioni entriamo in qualche dettaglio più concreto riguardante la catechesi.
Se é il Cristo che costituisce l’unità del Credo, dobbiamo stare attenti a non cadere in quello che si potrebbe chiamare atomismo cristiano e che consiste nel moltiplicare le affermazioni di fede senza avere la visione di ciò che ne costituisce l’unità. L’organicità é assente, manca un centro. Ora una vita cristiana si alimenta di sintesi; molto più che per la molteplicità dei gesti da compiere, dei dogmi da credere, delle conclusioni morali, essa si approfondisce per l’intensità con cui si giunge all’essenziale, a ciò che vi é di più semplice. Il segno di una vita cristiana profonda é che essa si stupisce per le affermazioni più semplici della Redenzione piuttosto che desiderare di accrescere la sua erudizione o moltiplicare le devozioni.
I cristiani dovrebbero essere in grado di rispondere correntemente alla domanda: “che cosa significa essere cristiano? Che cosa credono i cristiani”? E questo con uno o due semplici proposizioni . La maggior parte dei cristiani si trovano in imbarazzo davanti a tali domande perché non sanno da che verso prendere il loro credo. Il catechismo analitico li ha messi in possesso di una serie di “misteri” sovrapposti ma non riescono a vedere chiaro il legame esistente tra i diversi articoli di fede né il grado di importanza di ciascun articolo in tutto l’insieme. La loro coscienza religiosa sembra ridursi a un certo numero di proposizioni dogmatiche e di precetti morali.
La sana catechesi cristiana rimedia positivamente a queste incongruenze con le seguenti affermazioni:
a) il Credo é un tutto organico; c’è un unico mistero: Gesù Cristo
Ogni articolo di fede esprime un aspetto particolare di questo unico mistero;
– i diversi aspetti devono continuamente essere riportati al loro centro: l’amore di Dio per gli uomini, come si é manifestato nella storia della salvezza;
– il disegno di Dio sulla creatura;
– la Pasqua di Gesù Cristo, avvenimento centrale della storia;
– il Regno di Dio che si costruisce in Gesù Cristo.
Come l’amore umano permette di comprendere dall’intimo la coerenza del comportamento della persona che si ama, così la fede permette di afferrare la coerenza dei diversi aspetti della rivelazione divina. Tutto sta insieme perché Dio ha agito con coerenza di amore nella storia della salvezza: si tratta sempre e unicamente della venuta di Dio in Gesù Cristo per stabilire il suo regno.
b) Chi crede, di conseguenza, si guarda bene dal mettere sullo stesso piano tutte le affermazioni della sua fede.
Il Regno di Dio é più importante dell’inferno, la grazia é più importante del peccato, lo Spirito Santo é più importante del Papa, il Cristo é più importante della Madonna. Questo porta a mettere ogni aspetto della fede al suo posto senza dimenticarne alcuno, ma anche senza lasciarsi guidare dal temporaneo, ne dagli occasionali entusiasmi intellettuali e sentimentali o dalla prolificazione anarchica delle devozioni.
Noi siamo quindi responsabili dell’unità organica del mistero cristiano. Sarebbe pericoloso introdurvi degli squilibri, come troppo sovente hanno fatto le reazioni antieretiche o le inflazioni devozionali.
Un criterio buono ci viene dalle Scritture: ciò su cui la testimonianza scritta ritorna maggiormente, con più forza e continuità, é certamente un aspetto essenziale e centrale del mistero. In ogni caso, questo aspetto risulterà più importante dei dogmi precisati ulteriormente . E questi stessi dogmi, ulteriormente definiti, non assumeranno il loro vero significato se non nella luce delle affermazioni centrali della Rivelazione, in rapporto a Gesù Cristo, pienezza della Parola di Dio.
c) Ogni aspetto della Rivelazione deve determinare nella vita e nella storia degli uomini delle conseguenze vitali.
La paternità di Dio é il fondamento dell’amore fraterno, la risurrezione del Cristo sta alla base del rispetto cristiano per il corpo, la comunione dei santi é il fondamento della vita nella Chiesa, l’inferno é il fondamento della serietà della libertà umana davanti a Dio, ecc. L’unione globale della fede e della personalità del credente sigillata dalla conversione, si ramifica secondo i diversi punti del Credo, nessun articolo semplice del quale rimane pura astrazione per la vita cristiana. Poco a poco tutto prende vita: le affermazioni della fede sono motivo di vita, e la vita fa attuare queste affermazioni in Gesù Cristo.
Pascal ha detto molto bene: “non solo noi non conosciamo Dio se non per Gesù Cristo, ma noi non conosciamo neppure noi stessi se non per Gesù Cristo”. Non conosciamo né la vita né la morte se non per Gesù Cristo. Al di fuori di Gesù Cristo non sappiamo né ciò che é la nostra vita, né ciò che é la nostra morte, né ciò che é Dio né ciò che siamo noi!
MN 342 Catechesi 1963 Dattiloscritto con correzioni del Vescovo
MN 85 Parola 63