Il problema della purezza viene comunemente trattato come un problema di virtù specifica e sotto tale aspetto se ne prospetta la soluzione.
Osiamo affermare che questa soluzione é per lo meno incompleta e che direttamente porta solo al risultato negativo di far evitare il peccato. Non neghiamo che le persone che praticano in questa luce la virtù della purezza non siano anche positivamente virtuosi, ma se lo sono non é in forza della soluzione che essi hanno dato a questo problema. Quando la Purezza é abbracciata come stato di vita (celibato sacerdotale, religioso o laico) allora non é una semplice virtù ma investe fin i problemi biologici e psicologici della natura umana cioè tanto l’essere di un individuo e la concezione stessa della sua vita.
Questo individuo, la purezza non la dovrà concepire e sentire come una imposizione (sia pure libera) ma come una esigenza che nasce dal trovarsi in questo stato di vita in cui é liberamente entrato. E sarà ancora questa esigenza che renderà come naturale l’adempimento di tutti i doveri inerenti al suo stato di vita.
E’ senza pretesa di sorta che noi proponiamo questa soluzione che dovrebbe essere così feconda di risultati nella formazione dei nostri seminaristi. Quanto stiamo per esporre é frutto di una certa intuizione psicologica e del contatto col mondo del seminario, del convento e degli ambienti giovanili e vogliamo soprattutto sperare della grazia del Signore.
Incompletezza della personalità umana – bisogno di fusione per completarsi – abbandono o donazione vicendevole – riposo- continuazione
Scoperta della donna – attrattiva della donna- funzione
Proibizione -eliminare l’attrattiva- conoscere mulierem et non faeminam
Completare se stessi in Dio -fondersi con Lui- (in Lui c’é eminenter ogni proprietà della creatura – donarsi a Lui – riposarsi in Lui – per arrivare ad una fecondità soprannaturale.
Il Problema della purezza
Di solito il problema della purezza va trattato in modo generico e si propone la stessa soluzione sia quando viene considerato come virtù specifica, come quando é intesa come condizione particolare di vita
Nel primo caso può essere sufficiente indicare quei mezzi che servono per la pratica della virtù, cioè a mantenere l’attività umana nei limiti della legge morale.
Quando invece la purezza é scelta come stato di vita si impone a tutto il complesso umano un comportamento che non é più quello naturale. In questo caso praticare la purezza equivale abbracciare un modo di pensare, di sentire, di agire che oltre a inibire una funzione fisiologia va prima contro una legge biologica. importa e impone alle leggi psicologiche e spirituali che governano la vita umana delle reali deviazioni.
Mentre nella pratica di una semplice virtù si può arrivare al punto di fare violenza alla natura per costringerla a mantenersi nei limiti di una legge che però é conforme alle sue esigenze qui si fa violenza alla natura per impedire di seguire una inclinazione naturale che, a parte le deviazioni del peccato, non é contraria a nessuna legge morale.
Ecco quindi la necessità di proporre di questo problema una soluzione che tenga conto delle condizioni particolari in cui si viene a trovare a colui che entra in questo stato e di fornirgli una visione chiara del senso affatto particolare che assume la sua vita per farlo respirare e vivere in quell’atmosfera che le ä propria e che sola lo rende possibile.
Il Candidato al celibato deve conoscere le esigenze normali del suo essere, deve capire perché vi rinuncia e deve trovare con certezza il modo di poter dare alla sua natura ciò che compensi la sua rinuncia.
Questa ci pare debba essere la soluzione del problema che sta alla base della educazione ecclesiastica.
La presente esposizione non può avere la pretesa di una trattazione scientifica, benché ci sia nel desiderio manca di fatto la base della cultura psicologica che sarebbe necessari, é piuttosto frutto di naturale intuizione e di esperienza.
Il primo articolo vuole dare una visione sommaria e di principio della questione, in seguito si proporrà la parte pratica.
La Scrittura nel racconto della creazione fa un rilievo a proposito della natura umana, dice: masculum et faeminam creavi eos.;ciò che forse non é sufficientemente notato dagli educatori quando si tratta del problema purezza. Nell’educazione in genere si fa caso a quelle che sono le note distintive dei due sessi e altro è il trattamento che si propone per il giovane e altro quello per la giovane. Ma non si tiene sufficientemente in considerazione che la differenza dei due sessi dice la loro relativa incompletezza e quindi la loro esigenza a essere completati vicendevolmente. Ci sono delle note somatiche dell’uomo che hanno un riferimento a quelle distintive della donna e tutte sono caratteristiche della natura umana per cui la personalità sia dell’uomo che della donna é completa quando sia la risultante di entrambe. Per cui ci viene fatto di asserire che non esiste personalità completa se non dall’unione dei due sessi.
Questa condizione ontologica determina una esigenza psicologica (.) che non può essere ignorata da una educazione che voglia essere completamente umana, cioè che tenga conto dell’intima struttura dell’educando.
L’uomo sente di essere ciò che deve essere, quindi completo, quando arriva a fondere le proprie caratteristiche distintive con quelle della donna. Questo gli procura il senso della soddisfazione, dell’equilibrio riposante, della pienezza che é come la maturazione naturale della propria personalità la quale raggiunge la più esplicita affermazione di se stessa nella fecondità.
Tutto questo é reso più sentito, più attraente nell’esercizio delle funzioni sessuali che portano di loro natura una ricerca vicendevole, alla mutua donazione, all’abbandono più profondo che é come uno spegnimento delle due personalità perché ne possa sorgere una terza.
A questo punto ci pare utile rilevare che, almeno psicologicamente, ciò che é più immediatamente sentito come esigenza della propria completezza, é il bisogno di unione, solo in seguito matura il bisogno della fecondità. I due giovani posti di fronte al matrimonio intendono immediatamente la loro unione e soltanto mediante essa si fa cosciente la gioia e la nostalgia della paternità e della maternità a seconda che l’unione é feconda o meno.
Per cui ci pare di poter concludere che l’uomo raggiunge il vertice della sua personalità, cioè la paternità, mediante l’unione con la donna e ancora che nello svolgimento naturale della vita umana l’unione dell’uomo con la donna é una esigenza della vita umana.
Per una impostazione di principio del problema che ci interessa prescindiamo da tutte le deviazioni che purtroppo si incontrano nella vita quotidiana e vediamo la traiettoria schematica attraverso la quale il giovane arriva all’unione con la giovane. Ci pare che poggi su tre punti: scoperta, attrattiva, funzione della donna.
L’età evolutiva si può concepire come una scoperta che l’individuo fa del mondo e di se stesso.
Fra gli interessi esteriori la presenza della donna é quello che si fa sempre più centrale fino a raggiungere l’attenzione del giovane. Questo avviene col progredire delle differenziazioni che hanno come centro il sesso; essi creano dei vuoti dai quali la natura aborre ed esigono di essere colmati. Sono questi vuoti che stanno al fondo di quella attrattiva sempre più profonda che postula l’unione del giovane con la giovane.
Quando questa attrattiva da indefinita si polarizza su una persona determinata che idealmente soddisfà anche alle esigenze individuali del giovane , si dovrebbe decidere la scelta che porta all’unione. Sempre da un punto di vista ideale, a ciascheduno non manca più nulla per soddisfare alle esigenze caratteristiche e individuali di entrambi perciò raggiungono la soddisfazione che trabocca in gioia, che crea l’equilibrio; in condizioni normali ne deriva la fecondità che tra l’altro rende più sentito il bisogno di unione perché il figlio, tra l’altro diventa un nuovo motivo di unione e sviluppa in ciascuno il senso della responsabilità riguardo agli altri membri della famiglia.
Il giovane candidato al sacerdozio viene a trovarsi in una condizione singolare e, per se, anormale: gli ä inibita l’unione con la donna e non avrà una discendenza.
Dunque da un punto di vista naturale egli rimarrà incompleto nella sua personalità: sarà un insoddisfatto, un escluso dalla gioia, gli mancherà il contrappeso che lo mantenga in equilibrio, si sentirà limitato nel tempo perché privo di continuazione.
Questo lo stato negativo e drammatico in cui viene a trovarsi colui che entra nel celibato ecclesiastico o religioso quando la purezza é concepita soltanto come obbligo di vivere una proibizione. E gli effetti dannosi non mancano di essere evidenti in quegli individui che, avendo così concepito la purezza si trovano nel celibato come in un reclusorio che li rende insoddisfatti, tristi, strani alle volte fino allo squilibrio e troppo infelici quando non si sentono di mantenere fede al loro impegno.
Qui evidentemente non siamo più nello spirito del Vangelo.
Gesù non chiede mai la rinuncia per la rinuncia, non vuole la restrizione non limita gli orizzonti ma li spalanca, per Lui ha solo ragione di essere la rinuncia per il più, al limitato per l’infinito, al momentaneo per l’eterno, alla creatura per il Creatore e gli effetti sono liberazione e gioia Il celibato ecclesiastico che importa la più sentita rinuncia umana non può avere come conseguenza gli effetti di una proibizione ma deve trovare un compenso evangelicamente adeguato.
In particolare il giovane considerato deve trovare tutti i mezzi per rendere completa e perfetta la sua personalità: per raggiungere la soddisfazione, la gioia , l’equilibrio e la fecondità.
Soltanto se trova l’equivalente o di più di ciò di cui si priva ha il diritto di fare la sua rinuncia altrimenti tradisce se stesso e la società in cui vive.
La chiesa impone la legge del celibato perché il cuore del Sacerdote possa essere totalmente consacrato agli interessi di Dio e delle anime e questi ultimi devono essere curati soltanto per amore di Dio. In altri termini il cuore del Sacerdote deve appartenere esclusivamente completamente a Dio
Ora si può chiedere: questo interesse su cui si deve unicamente incentrare il cuore del Sacerdote é tale da compensare l’altro da cui deve distogliere il suo cuore? Vale a dire (ci si perdoni la crudezza dei termini): é egli sicuro di trovare e può realmente trovare in Dio ciò che poteva trovare nella donna?
La risposta é dottrinalmente sicura e positiva: l’insegnamento cattolico afferma che in Dio ci sono in modo eminente tutte le perfezioni di qualsiasi creatura. Nel caso nostro, Dio possiede eminentemente tutte le perfezioni che sono necessarie per completare e assicurare la perfezione della personalità del Sacerdote.
Nessuno naturalmente può dubitare di queste affermazioni; si potrà piuttosto chiedere se queste realtà ontologiche che sono in Dio e che possono colmare le incompletezze della personalità del candidato al sacerdozio, siano atte a colmare le conseguenti esigenze psicologiche di cui abbiamo fatto parola.
Ci pare che neppure di questo si possa dubitare, piuttosto (e siamo al punto essenziale della soluzione a cui si vuole arrivare) bisognerà scoprire come queste realtà si adattino, e in un modo eminente, a colmare queste esigenze.
Questo confidiamo di poterlo esporre nella parte pratica della trattazione. Intanto ci teniamo a mettere sull’avviso il lettore che non é nostra intenzione di introdurre delle novità o di prendere delle posizioni pericolosamente spinte nella educazione dei nostri chierici. Si tenterà soltanto di valorizzare al massimo quanto di buono ci ha tramandato la pedagogia e l’ascetica tradizionale adattando tutto alla mentalità e al modo di sentire dei nostri giovani. La nostra intenzione si potrebbe così riassumere: portare l’aspirante al sacerdozio a raggiungere la conformità con Cristo attraverso lo sviluppo completo della sua personalità realizzando in pratica la troppo abusata formula della scuola: la grazia non distrugge la natura ma la perfeziona e la eleva.
Sac. Carlo Ferrari
Direttore spirituale a Stazzano in Diocesi di Tortona
MN 188 Purezza 1950