La Famiglia Cristiana
e l’educazione cristiana dei figli
Il tema che mi è stato affidato è la famiglia e l’educazione cristiana dei figli. Andiamo avanti per affermazioni cercando di illustrarle con una certa chiarezza.
Il mio discorso intenzionalmente vorrebbe arrivare a tutte le famiglie della parrocchia. Questa sera mi ero preparato per parlare specialmente ai capofamiglia; si vede che in questo si fanno sostituire dalle mogli, ma le mogli sono buone “amplificatrici” di quello che ascoltano e poi il discorso sono capaci di allungarlo e anche eventualmente di condirlo, quindi mi affido a voi.
Il matrimonio come sacramento. Incomincerò dalla prima affermazione che mi pare fondamentale. Il matrimonio cristiano costituisce i coniugi, sul piano dell’esistenza, in uno stato di vita che si definisce dall’amore vicendevole
Credo che qui non sia necessario soffermarci molto. Due che decidono di mettere insieme la loro vita per formare una famiglia, se sanno quello che fanno, lo fanno per un sentimento di amore, lo fanno perché hanno scoperto di volersi bene. Inoltre se questi si presentano alla chiesa perché la loro unione sia santificata dal sacramento del matrimonio, entrano in un mistero, cioè in una realtà nuova nella qual è presente Gesù Cristo con una presenza unica.
Gesù Cristo è presente in ogni realtà secondo la natura e il significato della realtà stessa: nel matrimonio Gesù Cristo è presente in una realtà di amore. Qui Gesù Cristo è presente in quanto lui stesso è personalmente amore, in quanto nella sua persona si verifica in un grado, in un senso, in un ambito infinitamente più alto ciò che si verifica proprio nel matrimonio. San Paolo afferma che Cristo è Sposo della Chiesa. Lo sposo e la sposa che ricevono il sacramento del matrimonio entrano, a un titolo particolare, in questo movimento di amore che Cristo porta alla Chiesa.
L’amore di Cristo per la sua Chiesa, cioè per ogni credente che è in comunione di fede, di speranza, di amore coi suoi fratelli, è un amore “personale” perché Cristo si dona, attraverso l’offerta di tutto se stesso fino alla morte di croce alla Chiesa, vive per la Chiesa, è nella chiesa: non vive per se, vive per la sua sposa. La chiesa a sua volta da questo amore riceve la grazia (forza) di vivere in Cristo, inserita in lui, con Cristo, unita a lui, per Cristo, per lui. Cristo e la chiesa sono nella condizione, hanno la capacità di vivere l’uno per l’altro l’uno nell’altro, l’uno dell’altro. Questa è la realtà della vita cristiana: Cristo è la nostra vita. Questo è il senso, il movimento, il dinamismo (forza di muoversi) nel quale entrano gli sposi col sacramento del matrimonio: vivere ognuno non per se ma per l’altro, nell’altro, dell’altro.
Quando tra l’uno e l’altro entra un terza (e dopo il terzo altri) sono tutti coinvolti nello stesso movimento di amore. La presenza del figlio in mezzo ai due sposi non diminuisce il loro amore. I figli sono coinvolti in questa condizione di vita di amore, dove è presente l’amore stesso di nostro Signore Gesù Cristo che si comunica alle creature; il cristianesimo è una vita nuova portata da nostro Signore Gesù Cristo, una realtà concreta che si inserisce nella persona, la eleva, la esalta e le dà la capacità di essere di più di quello che potrebbe essere di per se stessa, cioè di arrivare al livello della attuazione di se stessa fino alla statura piena di figli di Dio.
Fino a questo punto credo che le cose siano pacifiche e chiare anche se non siamo abituati a concepirle così.
I genitori costituiti in questo stato di amore vicendevole sono il segno espressivo, vivente della paternità di Dio e del suo amore. Quell’amore di cui vivono, quell’amore di cui sono capaci, quell’amore che si esprimono vicendevolmente è un amore che ha la sua sorgente e il suo modello in Gesù Cristo figlio di Dio che è venuto nel mondo per rivelare la paternità di Dio, per dirci che Dio è nostro Padre, che noi siamo figli di questo Padre, che il Padre in persona ci ama.
Ora il bambino che non intende ancora, il bambino che non capisce i ragionamenti, intuisce, percepisce e sente la paternità di Dio espressa nell’amore dei genitori. Non c’è una via più naturale, per il bambino, per scoprire che Dio è grande, che Dio è saggio, che Dio è buono, di quella che è la grandezza, la saggezza, la bontà dei genitori. Dico: dei genitori, perché per il bambino, il padre e la madre sono sentiti come un tutto uno e questo sarà tanto più vero, espressivo ed educativo quanto più sincero e profondo è l’amore che fa di due uno solo.
Mi permetto di fare un’osservazione a questo riguardo, che faccio dovunque ho occasione di incontrarmi con i genitori: i figli, i piccoli e in particolare quelli che non sono più piccoli, non pretendono tanto che si voglia bene a loro, hanno l’esigenza che si vogliano bene tra loro il papà e la mamma. Anche se non in modo conscio, preferiscono soffrire per mancanza di affetto per loro ma non per la mancanza di amore tra papà e mamma. Non è educativa la gara che padre e madre fanno per dimostrare il loro amore ai figli; è immensamente più educativa la gara tra padre e madre a volersi bene tra loro. Credo di avere detto la cosa più importante per l’educazione religiosa dei figli.
Amandosi tra loro i genitori sono manifestazione vivente della paternità di Dio. Per il fatto che i genitori sono battezzati, figli di Dio e uniti in forza del sacramento del matrimonio in una comunione di amore dalla quale, nella quale, per la quale nascono, vivono e crescono i figli, essi sono costituiti manifestazione vivente della paternità di Dio. Naturalmente essi non debbono essere trovati dai figli in contraddizione con lo stato in cui li ha costituiti il sacramento: non devono rinnegare col loro comportamento ciò che essi sono per la presenza in mezzo a loro dell’opera della salvezza di Dio, la quale li rende capaci di amarsi e li associa all’azione attraverso la quale Dio continua a popolare la terra delle creature della predilezione del suo amore.
Questa presenza di Dio da parte dei genitori deve essere espressa con naturalezza, con un comportamento autenticamente religioso, il quale non consiste tanto in atti specificamente religiosi (preghiera, frequenza alla chiesa ecc.), ma in rispetto abituale della presenza di Dio, di Cristo, della Chiesa, ecc. Rispetto della presenza significa comportarsi come quando si sa che c’è un altro. Questi “Altro” è Dio, il suo Cristo, la sua Chiesa come luogo, segno e strumento di tutto ciò che Dio fa per la salvezza dell’uomo.
Quale fondamento sicuro per l’educazione religiosa dei figli viene dai genitori che scorgono e indicano ai loro piccoli Dio presente che si manifesta nella maestà, nella grandezza, nella fortezza, nell’armonia, nella bellezza, nella bontà dell’universo e di tutto ciò che in lui si muove e vive! L’universo e la materia di cui è composto non è esclusivamente l’arduo materiale della fatica umana, ma è prima di tutto manifestazione e dono di Uno infinitamente più intelligente e capace di tutti gli uomini che con la loro scienza scoprono qualche cosa nei segreti della natura e applicano a vantaggio o a svantaggio dell’umanità le forze di energie segrete scoperte nella materia. Dio ha creato tutto con una parola, gli uomini scoprono qualche cosa con immensa fatica e con tanti rischi e col pericolo di danni catastrofici. Dio ha creato un mondo meraviglioso, I’ uomo rischia di renderlo inabitabile. Tutto questo i genitori non lo devono tanto dire, ma sentire e lasciarlo trasparire da tutti i loro atteggiamenti: avvertire che un fiore, il canto degli uccelli, la distesa dei campi, I’ incanto di un tramonto, il silenzio di una notte di stelle lo sguardo della luna, sono il linguaggio con cui Dio dice chi è e che cosa f a per noi, non è f are poesia ma essere religiosi ed educare religiosamente.
I genitori ci tengono tutti indistintamente a mandare i loro figli dalle suore, dai sacerdoti, in chiesa, ma f orse non avvertono quanto seria diventi la loro posizione se non concordano con i loro discorsi, con i loro apprezzamenti e atteggiamenti con quanto il bambino apprende all’asilo e in chiesa. Si possono creare dei conflitti oggettivi e psichici che si rivelano disastrosi quando il bambino a mano a mano che cresce deve scegliere tra i valori professati nella condotta dei genitori, ai quali vogliono bene, e i valori professati dalle suore e dai sacerdoti dei quali hanno stima.
La logica delle esigenze intime della personalità dei figli che crescono, pone i genitori in una condizione di responsabilità rispetto alla coerenza del proprio comportamento, sulla quale si gioca. la loro fiducia e il loro prestigio rispetto ai figli, ma soprattutto l’equilibrio affettivo e psichico sul quale solo è possibile lo sviluppo della loro personalità e tutto il valore della loro esistenza. Diventa evidente che le suore e i sacerdoti sono un aiuto prezioso e, in un certo senso, insostituibile per l’educazione religiosa dei figli, ma a condizione che il comportamento dei genitori sia prima il fondamento su cui – suore e sacerdoti edificano poi, la continuità dell’unico discorso, che in diverso modo, con diversa competenza e con diversa grazia ai figli è fatto all’asilo, all’oratorio, in casa.
Cristiani o lo si è, anche in rapporto con il mondo o non lo si è affatto. L’educazione religiosa dei figli non ha soltanto una dimensione verticale: i rapporti con Dio; se è autenticamente cristiana deve avere la corrispondente dimensione orizzontale: i rapporti col mondo. Dico i rapporti col mondo perché chi riconosce, rispetta ed ama Dio, deve riconoscere le realtà e i valori del mondo come opera di Dio e rispettarle e amarle secondo la volontà di Dio.
L’educazione religiosa diventa tanto più solida, concreta e incidente quanto più dal comportamento dei genitori e degli adulti in genere sono condotti a scoprire e a rispettare la scala dei valori che esiste nel mondo. Ricordiamo ancora che il comportamento è fatto di parole, di giudizi, di scelte, di atteggiamenti che manifestano ciò che vi è di più costante, di prevalente, di maggiormente preoccupante nel profondo di una persona.
Il proverbio popolare dice: ala lingua batte dove il dente duole e il Vangelo: «dove è il tuo tesoro li è il tuo cuore». I discorsi che si fanno a tavola – quelli che i figli colgono nelle circostanze più disparate sulle labbra dei genitori – che ritornano come motivi dominanti e che rivelano il loro modo vero di pensare e di giudicare, diventano il prevalente metro di giudizio morale per i figli. Tutti gli altri discorsi volutamente amorali rimangono delle prediche retoriche che possono arrivare a demolire la stima dei figli, perché scoprono – nel confronto fra i due discorsi- una penosa mancanza di coerenza.
Ma ritorniamo alla scala di valori che dovrebbe essere rispettata dai genitori per essere proposta ai figli. Il tempo non consente di fare un’esposizione ordinata e completa. Ai fini del nostro incontro accontentiamoci di alcune affermazioni essenziali e indicative Nel creato esistono delle realtà che hanno ragione di fine rispetto ad altre che hanno ragione di mezzo. Una concezione religiosa e quindi morale della vita non rovescerà mai le cose: il fine deve rimanere il fine e il mezzo deve rimanere il mezzo.
Al vertice dei fini sta la persona umana: nessuna cosa al mondo vale di più di una persona, la persona non può mai diventare un mezzo, non può mai essere fatta servire alle cose, qualunque sia il loro valore. Come Dio è al di sopra di tutti e di tutto, così l’uomo è al di sopra di tutto.
Il cristianesimo è questa perentoria affermazione del valore della persona umana. Dio si fa uomo per essere rispettato nell’uomo e perché l’uomo sia rispettato per amore di Dio. Gesù si esprime così: ” qualunque cosa avrete fatto anche al più piccolo l’avrete fatta a me” Quindi la persona non può mai essere un mezzo che serve all’interesse, al profitto, alla maggiore produttività, che serve come strumento per soddisfare alle esigenze dell’edonismo, del piacere personale, oppure al prestigio, alla superbia, all’orgoglio, eccetera.
Pensate in quali condizioni finisce di trovarsi la persona quando è dimenticata e non rispetta la dimensione religiosa della sua dignità: finisce di essere il mezzo che serve ai fini dell’interesse (sfruttamento nel lavoro, schiavitù degli ingranaggi produttivi, della macchina, ecc.), del piacere (tutte le degenerazioni dell’amore sono altrettante forme di sfruttamento della persona), dell’orgoglio (dominare sugli altri attraverso il potere, la posizione sociale, politica, eccetera).
Dopo il valore della persona, seguono immediatamente i valori della personalità, cioè quei valori che rendono la persona se stessa, con la sua individualità unica e inconfondibile: la capacita di essere libera, di avere idee e giudizio propri, la facoltà di fare delle scelte a ragion veduta e conseguentemente la forza di difendersi dalle idee correnti, di non lasciarsi condizionare dai mezzi di propaganda, dalla pubblicità, dai capricci della moda, la forza di non andar soggetti a complessi di inferiorità rispetto agli altri (avere il televisore, la lavatrice, il salotto, la macchina, eccetera), come se il valore della persona consistesse in ciò che “ha” e non in ciò che “è”.
Voi vi accorgete che questo modo di concepire e di comportarsi va tutto contro corrente, con l’egoismo, la sete di piacere, di dominio che domina tutti i settori della vita. Eppure, se si vuole essere se stessi e se si vuole avere un significato valido per i figli, bisogna essere così. Se non c’è nei genitori un comportamento che rispetta la scala dei valori, i figli possono arrivare a fare la tragica scoperta che per il loro papà e la loro mamma -essi stessi- valgono meno di una pelliccia, o di una vacanza al mare o della macchina fuori serie… Allora é finita. E’ naturale la contestazione, è naturale la droga, è naturale la depressione psichica, la fuga, il tentato suicidio.
I vostri figli, ricordatelo, anche se vi chiedono tante cose e sono sempre più esigenti non si ribelleranno perché voi non accontenterete i loro capricci; si ribelleranno quando accontentate i loro capricci per accontentare i vostri, quando si accorgeranno che li accontentate per farli tacere davanti alla vostra incoerenza.
I vostri figli sono, per molti lati, migliori di noi: non vogliono belle ed edificanti parole, ma persone di valore autentico.
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Il parroco di Ostiano scrive:
“Questo discorso ha suscitato un senso di sorpresa e di perplessità in quelli che lo hanno ascoltato. I commenti sono stati vari e non tutti benevoli. La mia impressione è che non lo si sia bene afferrato. E’ vero che lo si può definire un discorso «contestatore”, ma solo per quei genitori che si ostinano a demandare agli altri l’impegno della educazione religiosa dei figli. Si sarebbe preferito un discorso che insegnava come far imparare ai figli la solita dottrina e sapere cosa si deve pretendere dai figli. Mons. Vescovo ha parlato solo di impegni per i genitori e di impegni non comuni: è una mentalità da farsi, uno stile di vita, una coerenza ai principi cristiani nella vita quotidiana, rispettando la gerarchia dei valori.
” Mi permetterà Mons. Vescovo di riprendere il discorso in un secondo momento per chiarire meglio questa gerarchia dei valori usando anche delle sue stesse spiegazioni orali.
in archivio col numero MN481 Ostiano, c’è il tipico foglietto manoscritto degli appunti; C’è anche questa omelia-lezione dattiloscritta par il parroco.
OM 372 Ostiano 71 – 26-2-71 ore 20,30