Eccellenza, Signori,
é onorifico quanto disagevole prendere la parola in questo sacro luogo ed alla presenza di tutta Monopoli e della diocesi tanto più che non solo a titolo personale ma a nome di tutti i presenti e di quanti essi rappresentano, dovrei interpretare sentimenti, aspirazioni, propositi.
La festa di famiglia, tale era la ricorrenza di san Carlo, si tramuta oggi all’improvviso in un giorno di separazione e di commiato.
Resterà certo impressa nella memoria di tutti noi perché, in un ciclo di suggestivi motivi religiosi e civili, radunandosi intorno all’altare, essa ci offriva la possibilità di uno scambio tacito ma intenso che andava al di là dell’episodio e ci sospingeva a pensieri di revisioni e di recuperi spirituali.
Chi vedrà il ritorno di tale data, più che la gioia dell’incontro col padre risentirà l’amarezza della sua lontananza.
A pensarci però non manca lenimento e conforto alla presente angustia se facciamo resistenza al sentimento irrazionale e ci appelliamo a sensata riflessione.
Non si può disconoscere che allorché il Santo Padre, intorno a cui ci sentiamo vivamente stretti in questo momento in cui la sua salute tiene in trepidazione il mondo, riconoscendo i meriti del nostro pastore, sospinto dal bisogno di dover provvedere al bene delle anime, che é poi l’argomento limite innanzi a cui tutti dobbiamo fermarci, sentì il bisogno di affidargli una famiglia più vasta, una sede più prestigiosa, con più complessi problemi pastorali, ciò onora il nostro Vescovo ed indirettamente noi e la nostra diocesi e nessuno ha diritto di dolersi se le gioie e gli onori dei padri sono gioia e onori dei figli.
Se al nostro Vescovo é offerto un più vasto campo di azione, ed é apprezzata l’attività complessa e diuturna di lui che non si é concesso soste da quando così giovane venne a Monopoli, profondendo energie di mente di cuore donando a piene mani i tesori della sua intelligenza e dell’opera vigilante, tempestiva, decisa, questo é un fatto positivo di cui, quanti gli sono vicini e gli vogliono bene non possono che prenderne atto con piacere.
Giacché ho accennato all’opera del Vescovo di Monopoli credo di dover sottolineare il fatto che egli, – (episcopos, in greco vuole dire: colui che guarda in o sopra)- ha guardato lontano prescindendo da considerazioni di circostanze limitate ed umane, ma con prospettive di futuri svolgimenti tali da superare visioni circoscritte, miopi di male intesa prudenza, tali da preparare le vie del futuro.
Nell’azione ha avuto la mano ferma e decisa, non gli premeva il quieto vivere e il plauso, ma agire secondo coscienza preferendo un bene collettivo e spirituale ad un pietismo accomodante, forse dannoso.
Come un diligente agricoltore ha dissodato la terra e potati i suoi alberi. Rompe e squarcia il vomere nel suo cammino. Sotto la scure cadono rami anche vigorosi e belli e si spoglia la pianta che può sembrare sacrificata e compromessa nel suo ciclo vitale. Ma si sa quello che avviene quando passano le stagioni e l’albero ferito e spoglio si veste di giovinezza rigogliosa. L’ulivo millenario, ricchezza della nostra terra ne offe un mirabile esempio.
Non tocca a noi giudicare l’opera del nostro Vescovo: anche se si presenta ampiamente positiva essa apparirà con maggiore evidenza a chi avrà la fortuna di vederne gli sviluppi futuri.
Così non possiamo dimenticare, quanti tra noi hanno modo di avvicinare molta gente, gli ampi elogi, l’ammirata devozione per lui ed il suo lavoro da parte di ecclesiastici e di laici, che molte volte abbiamo colto sulla bocca di persone estranee al nostro ambiente, che in sostanza ci invidiavano la ventura di una guida come la sua: animosa e pronta.
La nostra appare ed é una piccola diocesi, ma tuttavia non può paragonarsi ad un latifondo vasto e scarsamente produttivo. E’ come un frutteto (lo é in verità anche al di fuori di un senso figurato) che anche in dimensioni ridotte, é ricco di vita e quindi premio di lunghe e grandi fatiche e bisognoso di vigilanza e di cura.
E’ innegabile che il nostro Vescovo, senza nulla trascurare, ha dato impulso nuovo, adeguato al crescere del nostro livello di vita e al processo evolutivo dei tempi che, va detto a chiare note, ci obbligano, e ci impegnano alla soluzione di esigenze prima latenti e non avvertite, non solo sul piano della vita civile ma anche, ed ancor più, sul piano della vita spirituale.
Quando venne tra noi il nostro Vescovo eravamo ancora con le piaghe della guerra e della miseria, della disfatta ma ora, grazie al cielo, molto é mutato in meglio.
C’é stata una promozione delle classi lavoratrici e bracciantili verso un tono di vita più decente e più giusto, ma ad un tempo non vi é chi non veda che tale crescita salutare debba trovare nella vita dello spirito, nella pratica religiosa una maggiore aderenza, una partecipazione più consapevole e razionale.
Il nostro Vescovo ha lavorato in questo senso, a dare cioè contenuto di concretezza alla nostra vita religiosa, fatto molto spesso e per lungo tempo di forme rispettabili certo, ma piuttosto effimere e fragili.
Egli ha voluto, al sentimento tradizionale, di devozione vaga e labile, sostituire nelle nostre coscienze una più sostanziosa partecipazione.
Se la religione deve diventare vita, non osservanza virtuale e consuetudinaria, se deve permeare i nostri pensieri, azioni, affetti, se deve sorreggere e illuminare il nostro lavoro, la condotta personale, familiare, e collettiva, non può non nutrirsi di più approfonditi ragionamenti, di più consapevoli conoscenze, di più sana e assimilata dottrina che valga, anche, e principalmente a chi dispone di cultura ed é animato di spirito critico, che sente di dover rispondere alle domande che emergono dal suo interno ed é impegnato a recare intorno a sè il raggio di una convinzione corroborata di argomenti a difesa della propria condotta.
Ha voluto che il tesoro inestimabile della fede, tramandataci dagli avi e succhiata con il latte materno avesse una nuova tempra come si addice a popoli evoluti e consapevoli: ha operato affinché la nostra non fosse una religione di santini, di ceri, di botti e luminarie, ma sorretta da ferma convinzione, non dispersiva, e quello che più importa impegnasse ahimè tutti noi a una vita più coerente con i principi accolti e professati.
Ha voluto, per usare una felice sintesi di un maestro, ed alimentato in noi una fede che significasse incontro con Dio vivente; incontro di tutto l’uomo, con tutta la realtà che lo circonda e che agli attua intorno a sè. Un incontro con Dio che si rivela sensibilmente nel Cristo, nel Figlio fatto uomo per mezzo di Maria. Incontro gioioso, aperto, franco in armonia con la vita di oggi mediante l’insegnamento della chiesa, tramite il magistero dei pontefici. Incontro finalmente che si fa presente e vivo nel divino sacrificio, vertice culminante del mistero divino.
Bisogna riconoscere che in Italia (non parliamo dell’Italia meridionale) gli studi religiosi, anche se al presente, sotto l’influsso dello spirito conciliare presentano segni di risveglio, ebbero scarso interesse nella cultura nazionale.
L’indirizzo laicizzante delle nostre università disposero le nostre classi dirigenti all’assoluta ignoranza di problemi vitali, quando ci posero, (gli anziani ricorderanno) in una posizione di diffidenza e di ostilità donde uno stato di anemia di una sana spiritualità.
Il popolo era tenuto nella ignoranza e nell’analfabetismo al limite dello sfruttamento e della degradazione.
Ha ragione da vendere il nostro Vescovo nell’ esigere, tante volte che ognuno, secondo le possibilità proprie, senta il bisogno di dedicare qualche momento alla meditazione e allo studio delle cose che riguardano l’anima ed il destino finale e che possono migliorare la vita e i rapporti col prossimo.
Ritengo che moltissimo ci sia da fare su questo settore. Restiamo indietro col fanalino di coda, anche nei confronti di nazioni europee, vedi ad esempio la Francia, in uno stato di arretratezza di studi religiosi, di cultura religiosa, di dottrina religiosa che pure é così ricca di fermenti e di problemi interessanti.
Egli non si é risparmiato; per questo ci ha richiamati tutti con la sua parola con le sue istruzioni, con i suoi corsi.
Ha aperto il dialogo con diversi strati sociali, ma ha preferito colloquiare con i giovani, su cui si nutrono tante apprensioni, ma che invece, a veder bene, sono ricchi di interessi e di vitalità, e sanno corrispondere con deferenza e viva partecipazione a chi con spirito di rispetto e competenza ne sa interpretare esigenze, problemi ed attese.
Intensa, direi a tappeto, l’opera sua per l’insegnamento del catechismo ai piccoli per cui mobilitò ogni energia ed ogni possibile coordinamento, ma non meno interessante l’intesa con i giovani spesso trascurati per malintese riserve, dando ad essi incitamenti e risposte per la loro riuscita nella vita, sostegno contro le battaglie e le passioni ribollenti dell’età.
Ad essi ha dato tutta la sua simpatia, solidarietà, incoraggiamento ed aiuti, comprensione per i loro bisogni di aria aperta, di franchezza, di vita sana e di sport.
Dotato di particolare comunicativa, fornito di eloquenza priva di effetti e di fronzoli, ma ricca di spunti originali e di scorci critici, egli ci ha nutriti come meglio ha potuto e saputo, desideroso di renderci come esseri razionali e pensanti, più convinti e preparati nella fede.
Non so. Non so quanto abbiamo saputo corrispondere.
La sua parola ha nutrito il clero, i suoi chierici, le religiose; si é e profuso in giornate e ritiri sempre riusciti in diocesi e fuori.
La sua parola é stata profusa ampiamente come un seme buono ed é sperabile che, con l’aiuto della grazia e con la nostra partecipazione, produca frutti di bene.
Se solo ci avesse convinti del nostro stato di inadeguatezza di cultura, se avesse creato in noi la convinzione che dobbiamo nutrirci poco più e meglio, più razionalmente di dottrina, che il nostro ossequio di fede deve essere più razionale, per usare la espressione paolina, avrebbe già ottenuto abbastanza perché non bastano decenni a sormontare secoli di abbandono e di vuoto.
Certo sarebbe di grande conforto per chi ha lavorato e sperato, sapere che Monopoli, tutta la diocesi, sotto l’impulso del concilio, con la riforma liturgica, si siano posti dentro il flusso rinnovatore della chiesa, si siano immersi nel tesoro dei testi scritturali, abbiano reso dignitosa, ordinata, composta la nostra preghiera personale e collettiva.
Dove non poteva la sua voce, il Vescovo ha sopperito con gli scritti e non é stato senza peso quanto egli ha pubblicato su importanti riviste, specializzate.
Ed allora siano lecite queste domande senza risposta immediata. Perché perdurare nello scarso interesse per quanto può nutrire il nostro spirito e dare contenuti ai pensieri e alle azioni; perché non provvedere in forma concreta virile ai nostri interessi che vanno al di là del contingente e toccano il nostro eterno destino e perseguono il nostro vero bene; perché non corrispondere meglio al suo invito che é poi quello della chiesa, di sostituire con una fede adulta la nostra fede di fanciulli?
Tutta la diocesi ha conosciuto lo spirito animatore del nostro Vescovo.
Polignano dopo il restauro della Matrice é risorta a nuova vita con l’opera del Parroco che le volle assegnare, continuatore della fatica di chi lo aveva preceduto, organizzatore e stimolatore di vitali energie nei suoi parrocchiani e confratelli.
Il rinnovamento della chiesa dei Santi Medici, ornata di prezioso altare marmoreo, un artistico crocefisso.
La rinnovata chiesa di Sant’Antonio e di San Vito provano un più intenso polso di attività
Fasano vede assicurata la vita spirituale nella Selva, zona di grande turismo, insidiata da distrazioni e mondanità.
Quando, e Dio voglia presto, la chiesa superiore delineata con molto decoro e proprietà sarà conclusa, sarà evidente un bel balzo in avanti.
Anche Laureto comincia a sentire il bisogno di una chiesa idonea e non mancano le prime premesse per la soluzione di un problema così importante.
Fasano città, sotto l’impulso del Vescovo, vede il rinnovamento nella Matrice, nella parrocchia di San Francesco, in Sant’Antonio che, sento dire si accinge a dar vita organizzata ad un opera sociale a vantaggio dei fanciulli per cui é già pronto, frutto di ingegnosi e continui sforzi, uno stabile di cospicue dimensioni e disponibilità.
Cisternino con il restauro della nobile Chiesa Matrice rivelasti di alto decoro artistico, simboleggia la ventata di aria nuova che vuole rinnovare quella nobile cittadina.
Della nostra Monopoli tutti sappiamo qualche cosa, sempre che sia vinta la tendenza a dimenticare quanto attuato.
Nella Cattedrale, per fare un esempio, il rimaneggiamento di questa balaustra come nella Matrice di Fasano, costituisce una infrastruttura opportuna per una più congrua e ordinata vita liturgica ed eucaristica.
Egli voleva, a parte tanti altri non trascurabili particolari, porre mano al restauro radicale di questo nostro massimo tempio la cui copertura ha bisogno di rapidi e sostanziali interventi. Il compianto primicerio don Onofrio Ostuni, gli aveva offerto per questo la più viva collaborazione.
Come ai tempi di Romualdo, le travi per la protezione della volta e delle cupole danno preoccupazione al cuore del Pastore e a quanti amano questa stupenda e cara chiesa.
Dopo aver predisposto studi accurati di carattere tecnico, era in procinto di lanciare un appello a tutta la cittadinanza per trovare i mezzi finanziari occorrenti alla non trascurabile impresa.
Il problema resta aperto ed attende soluzione.
Per sua volontà ed impulso ebbe sistemazione il sagrato della Cattedrale; fu chiusa una indecorosa breccia che deturpava la muraglia e venne praticato un accesso razionale, felicemente intonato al complesso, che dà a piazza Manzoni con la cessione dell’area occorrente che il Vescovo sottrasse al suo piccolo giardino che é un polmone del palazzo vescovile.
Le opere sono tante e c’é il rischio di infastidire con un elenco che non esclude gravi dimenticanze ed omissioni.
IL campanile della Cattedrale fu risanato nella parte terminale, altrettanto e con maggiore diligenza fu praticato l’altro monumentale campanile delle Monacelle avrebbero qualche cosa da raccontare.
Compiuto il restauro dell’ Amalfitana, gioiello romanico, che forma il vanto e l’ornamento della nostra città, ci auguriamo che, quanto prima abbia tregua il vandalismo dei monelli, e che possa ricevere nuova vita, nuova in virtù dell’opera che le sta sorgendo accanto per la preparazione dei fidanzati al matrimonio.
San Francesco é risorta a nuovo decoro per l’impulso del nostro Vescovo. Così la chiesa del Carmine.
E’ in atto un lavoro di notevole dimensione per dare lustro alla monumentale chiesa di San Domenico che alimenta il culto dei Santi Medici, e tutto é predisposto affinché si giunga a felice compimento.
Le nostre parrocchie, nessuna esclusa, sono pulsanti di vita e modernamente organizzate. Assolvono in modo egregio ai loro compiti né facili né semplici.
Da un rinnovato ritmo di vita parrocchiale in particolare possiamo attendere risultati succosi e promettenti per il futuro.
Nè ha trascurato, il nostro Vescovo, di assicurare alla nostra città, laddove é più evidente lo sviluppo edilizio un più agevole servizio religioso. Egli per questo dispone già di un’area per l’erezione di una nuova chiesa che valga a riempire il vuoto esistente tra la chiesa dei Passionisti, Sant’Antonio e San Francesco.
Su questa strada bisognerà necessariamente proseguire; Egli ha aperto un solco e ad altri riuscirà meno difficile proseguire sulla strada indicata.
Non posso tacere una realizzazione da tanti anni attesa ed auspicata. Mi riferisco alla erezione della nuova parrocchia del Rosario nella vicina Cozzana per munificenza della famiglia Palmieri. Una chiesa parrocchiale destinata a svolgere un rinnovamento in una delle più belle e popolose contrade del nostro agro. A questa parrocchia si é dedicato con slancio mons. Tartarella che ha preferito la dignità di parroco e di pastore di anime alla alta carica di arcidiacono del Capitolo della Cattedrale.
Cure particolare ha dedicato, il nostro Vescovo, alla gente rurale. Tutte le nostre contrade da Polignano a Cisternino sono fittamente e stabilmente abitate. Ci sono frazioni che hanno dimensioni di centri autosufficienti; vedi ad esempio i cospicui di Pezze di Greco, di Speziale, Montalbano, Casalini, Torre Canne.
Il fenomeno interessa ancora Cisternino che ha in Casalini un centro al cui risveglio contribuisce in particolare il lavoro della parrocchia che ha già posto mano alla costruzione di opere parrocchiali idonee che preludono alla costruzione di una chiesa proporzionata ai bisogni presenti e futuri di quella gente.
La chiesa parrocchiale di Pezze, anche se non ultimata nelle parti decorative, é di tali dimensioni, di armonico equilibrio novità di impostazione da imporsi all’ammirazione di chi l’ha vista.
La Parrocchia di Santa Lucia ai monti é un cantiere di progetti che vanno al di là di soluzioni provvisorie e meschine vede sorgere una nuova chiesa con impegno di carattere tecnico e artistico.
La chiesa parrocchiale di Sicarico é una evidente prova di vitalità religiosa. Come una sposa si adorna incessantemente, curando tutto con proprietà e decoro dentro e fuori la chiesa, fino alla costruzione di un battistero distaccato come nelle antiche basiliche e adorno di nobili linee architettoniche.
Un ritmo di vita così intenso, diffuso e generale, non può che recare prova di alacrità che è certo dei sacerdoti e dei fedeli, ma che senza l’opera ravvivante, lungimirante, stimolante del Pastore non può facilmente sussistere.
Il nostro Vescovo ha energicamente operato nella difesa del rigore liturgico e ne fanno fede le nostre chiese, i riti, le processioni e le feste.
Quanto poteva nuocere al senso religioso delle manifestazioni é stato rimosso con tenacia, migliorando ciò che dona al decoro del culto. Se tale revisione può creare malintesi di primo gusto finisce con l’imporsi in virtù dei risultati che ne derivano.
Non dimenticheremo l’interesse discreto per i problemi cittadini, sempre che avessero un riflesso sulla vita dello spirito, ha dimostrato il nostro Vescovo specialmente quando erano in gioco le attese della povera gente.
Si é compiaciuto con chi operava rettamente, si é rattristato per eventi meno lieti, tutte le volte che ne potesse soffrire danno il nome dei cristiani.
Il nostro Vescovo, consapevole della sua dignità pari solo alla responsabilità, affrontò le situazioni del suo ministero, come dicevo dianzi, senza altra preoccupazione che di servire nel modo migliore la causa del bene delle anime e della gloria di Dio. Nulla lo ha mai fermato; le altre considerazioni di carattere umano, gli aspetti accessori riguardanti le persone, le ripercussioni immediate della opinione pubblica, non lo hanno intimidito. Ha mirato agli obbiettivi prefissi di cui doveva rendere conto nella sua coscienza, non agli uomini ma a Dio.
Egli sapeva che quando si opera per il bene, egli sapeva che anche quando si fa ricorso al bisturi, non contano i lamenti del primo intervento, ma la salute, la guarigione che ne consegue.
Nessun rispetto umano, nessuna indulgenza per il facile plauso e il favore popolare. Fu sempre sicuro, parve sempre ardimentoso, ma i fatti gli dettero ragione, dimostrarono che poteva appellarsi al futuro, confidare nel bene che é sempre prima o poi vittorioso.
Il popolo lo ha compreso e lo ha amato, ha creduto sempre alla sua buona fede, alle rette intenzioni ed ora si duole di perderlo.
Non lo rivedrà più dimessamente attraversare le strade, non potrà compiacersi di lui come di un pastore che irraggiava simpatia dalla sua persona e dal suo tratto. Era Pastore e Vescovo di alto prestigio, ma il popolo, se ho ben compreso, lo amava non solo come Pastore. Lo amava come un figlio eletto di cui poteva essere fiero, a cui doveva aprire il cuore, donde promanava luce e fascino particolare.
Gli uomini di azione cattolica ricorderanno i frequenti ritiri, le giornate trascorse accanto a lui al riverbero della sua luce, sotto l’influsso delle sue istruzioni concettose, originali , ricche di problemi e di spunti donde spirito e cuore ricevevano salutare nutrimento. Nessun settore dell’azione cattolica potrà dimenticarlo ,meno ancora le fitte schiere delle giovani e delle donne.
Si sa che i bambini sono i prediletti di Gesù e così godettero tutta la tenerezza del nostro Vescovo .Egli si consolò sempre nel suo non lieve compito, alla luce della loro innocenza, allo splendore dei loro occhi, guardò ad essi come al tesoro più prezioso documento delle sanità delle nostre famiglie cristiane.
Il carnevale dei bimbi, i carri fiabeschi hanno costituito una prova del suo amore per i nostri piccoli. Noi, é sperabile, continueremo anche nella sua assenza una tradizione di gioia composta educata e civile, che ci offre il modo di guardare al mondo fanciullo come da una aiuola fiorita e promettente.
Volle i suoi piccoli istruiti, educati, gioiosi e sani. Per questo creò una scuola materna per i bimbi di san Pietro nel cuore della città vecchia.
Ricordiamo quanta simpatia abbiano trovato in lui i lavoratori, i braccianti, i disoccupati, gli umili; come ha penato ed ammonito nei momenti più critici, perché il lavoro fosse equamente retribuito
Della cura per le vocazioni, problema fondamentale per tutti, non parlo. Il piccolo Seminario fu voluto da lui come una serra ariosa di piccole piante, curato amorevolmente perché non ricevessero danno dall’ambiente e non perdessero, i nostri piccoli, assai per tempo la luce della vocazione appena intravista nelle loro coscienze;
Egli ha amato la Madonna della Madia. ha sentito il fascino delle nostre tradizioni religiose e marinare e si recò sempre con gioia alla cerimonia dell’approdo nel dicembre e in agosto, quando rinnovando il rito plurisecolare sentiva tutta Monopoli accanto a sè per rendere onore a Colei che ci veniva dal mare.
Memorande le parole che ci ha detto nelle occasioni in cui poteva disporre di un uditorio di eccezione, che gli offriva modo di rivolgersi a tutti i suoi figli, anche a quelli che sentiva lontani.
Fu vicino a chi soffre. Ascoltò pene e lamenti. Fu largo di consigli, di conforto e di aiuto. Quando fu necessario stette accanto agli ammalati, consolò le agonie, pacificò le coscienze.
Tante cose sono sconosciute a molti di noi e restano nel segreto perché é necessario che ciò avvenga; ma in quindici anni di vita episcopale sono tante le cose realizzate ed é ricca la messe raccolta.
Noi lo ringraziamo pubblicamente per quanto ha desiderato, per quanto ha sofferto, per frequenti incomprensioni e di inevitabili contrasti, per tutto quello che ha inteso fare e ha fatto per ridare alla nostra Diocesi un tono di maggiore aderenza, di più nutrita e coerente pratica cristiana.
Così gli chiediamo perdono per quanto non siamo riusciti a comprendere, per le pene che gli abbiamo arrecato, per le resistenze del nostro corto vedere.
Sono sicuro che, andando lontano, riversando tutte le sue cure sul gregge che lo attende con impazienza, ci ricorderà, porterà con sè la luce del nostro cielo, delle nostre campagne, del nostro mare che lei amava, il ricordo della semplicità e del calore umano della gente meridionale.
Così anche noi non potremo dimenticare il nostro Vescovo Carlo.
Ricordarlo sul piano degli affetti é poco e non faremo onore alle promesse che abbiamo fatte e che ora rinnoviamo, di conservare quanto abbiamo di positivo: la fedeltà alla chiesa, ed alla vita cristiana e diventare sempre più degni di tale attaccamento ad una fede che qui é antica, é radicata, se é vero e non c’é motivo per non crederlo, che fu proprio san Pietro il primo a portarci il sublime messaggio del Vangelo.
Valga questa precisazione in questo anno della fede che si ispira agli esempi luminosi degli apostoli.
Ciò che rende più patetico questo commiato é la sensazione che con Carlo Ferrari si conclude la serie dei vescovi di questa diocesi immediatamente soggetta alla Santa Sede.
Quando egli sarà disceso da quella sedia, difficilmente vi salirà un altro Pastore che sia Vescovo di Monopoli ed esclusivamente Vescovo di Monopoli.
Una sensazione non priva di fondati motivi trova un correttivo doveroso nella fiducia che dobbiamo nutrire nella saggezza materna di Roma che, attuando una necessaria riforma per cui si studia da molto tempo, saprà contemperare le diverse esigenze e non ci priverà di quanto é necessario, cioè dell’opera assidua, vicina, confortante di un Vescovo.
Sappiamo che tante cose mutano e sappiamo di dover camminare coi tempi.
Per amore di campanile e di tradizioni non intendiamo porci fuori della storia e dallo spirito rinnovatore della chiesa.
Eccellenza, tanto ci sarebbe da dire, ma ritengo di aver abusato della cortesia di tutti e più ancora della sua che, si sa bene apprezza la riservatezza e il silenzio.
Lei non tollera la retorica ed invero non la apprezzo neanche io. Ma per concludere faccio ricorso ad una reminiscenza di un antico autore che devo aver letto nei miei anni verdi.
Si usa offrire agli ospiti di riguardo le chiavi della città. Monopoli ogni anno per mano del sindaco le porge al patrono San Francesco di Paola.
Si sa che i doni ai personaggi di eccezione sono presentati su cuscini portati da valletti. Immagini di corti, visioni di mondo cavalleresco.
Si sa poi che ci sono altre chiavi che sono ancora più preziose di quelle delle città.
Lei va via e noi vogliamo che lei porti nel suo ricordo nella sua preghiera il ricordo di tutti noi, specialmente di coloro che le dettero più da fare. Non solo la copia della Madonna della Madia! Noi le porgiamo una simbolica chiave, la chiave dei nostri cuori.
Mi servo per concludere delle parole del vecchio oratore: accolga eccellenza la chiave del cuore di tutti sul guanciale del mio cuore.
Senatore Luigi Russo
monopolitano
Voce su bobina n. IV
manoscritto in archivio