Sapeva di essere nelle mani del Padre
che voleva la sua salvezza e
attraverso la sua salvezza
la redenzione dei suoi fratelli
4 marzo 1977 per don Marchesini
Miei cari tutti, ci raccogliamo ancora una volta intorno alle spoglie mortali di un nostro fratello sacerdote.
Egli per tutto il tempo della sua vita, ma particolarmente da quando è stato segnato col segno del Signore, col segno della Croce e della sofferenza, ha attirato la nostra attenzione e noi siamo andati più volte da lui non semplicemente come si va a visitare un ammalato che soffre, ma oserei quasi dire, come si va ad un pellegrinaggio, dove la presenza di Dio, proprio nel mistero della sofferenza, si fa sempre più chiara, più limpida, più trasparente, come si faceva più trasparente la figura fisica e soprattutto lo sguardo del nostro don Gino.
Siamo nello svolgimento di una celebrazione liturgica: non c’è posto per fare degli elogi a delle persone;
stiamo celebrando la Parola del Signore e la Parola del Signore, mentre illumina quello che è avvenuto in questo nostro fratello, ci si rivela come il Verbum Crucis, la parola della Croce, la parola della salvezza, quindi la parola della remissione dei peccati, la parola della penitenza, la parola del granello di senape o del chicco di frumento, il quale muore per dare luogo ad una vita nuova.
Questa Parola si è manifestata in don Gino, ne siamo sicuri.
Intanto la lunga malattia di don Gino, che è Parola di Dio, che è un avvenimento di salvezza che si è compiuto nella sua persona, per lui e per noi, lo ha maturato; oh, in quanti sensi lo ha maturato!
Una sua certa ingenuità è diventata autentica semplicità evangelica.
La sua umiltà non si riferiva più ad un ripiegamento su se stesso per considerare le proprie miserie, ma alla santità, alla grandezza, all’amore del suo Dio, di cui si sentiva fatto oggetto per un singolare privilegio della sua misericordia.
La sua maturazione si è compiuta anche nel senso che la sua vita di preghiera, che era così caratteristica, che lo distingueva fra molti e che colpiva variamente quelli di cui aveva la responsabilità pastorale, è diventata una preghiera che ha preso le dimensioni giuste: rivolgersi a Dio per i fratelli, interessarsi ai fratelli, io penso senza esagerare, in un modo eroico.
Chi ha visitato don Gino può averlo trovato in momenti di atroce sofferenza, ma c’era in lui evidente lo sforzo di non farlo pesare, d’illuminare il suo sguardo di serenità, di pace, di gioia, per essere segno dell’amore di Dio per chiunque lo avvicinasse. L’amore per gli altri: non dimenticava nessuno anche se al primo posto ci stavano i sacerdoti, i suoi confratelli, erano i sacerdoti della sua sofferenza, della sua croce, del dono della sua esistenza.
Viene alla memoria, a proposito di questo stato di sofferenza, che in molte circostanze e per lunga durata essa ha avuto le caratteristiche della atrocità tanto era lancinante, insopportabile, prendeva tutto quel povero e misero organismo; eppure quella presenza del Signore che era in lui, gli dava la forza di dire, come ho avuto la grazia di sentir io con le mie orecchie: « per nessuna cosa al mondo io ritornerei indietro e non cambierei la mia condizione di sofferenza con nessuna altra condizione».
E pregava il Padre come nostro Signore Gesù Cristo di accorciare quel calice, di aprirgli le porte del Paradiso, di dire basta perché lui non ne poteva più, ma si riprendeva e diceva di poterne ancora fin tanto che il Signore voleva.
Viene da chiederci donde può nascere per una persona così modesta, e credo che non l’offendiamo con questa parola, come quella di don Gino, tanta forza, tanto coraggio, tanto amore, tanta lucidità di fede da scegliere, da preferire quella croce insopportabile su cui era inchiodato al posto di qualsiasi altra cosa.
Una scelta lucida, libera, volontaria, una scelta gioiosa perché, come ho già fatto rilevare, don Gino sprigionava gioia dalla sua sofferenza.
Il suo segreto, per chi crede e per chi conosceva la sua persona, il suo spirito è facile da scoprire: era il suo amore per Dio.
Credeva veramente, sapeva di essere nelle mani del Padre, di un Padre che voleva la sua salvezza e attraverso la sua salvezza la redenzione dei suoi fratelli; credeva nella passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo, e il mistero della passione e morte del Signore l’ ha sempre celebrato nel mistero eucaristico dinanzi a cui sostava per ore e ore e notti intere (qualcheduno, non solo dei sacerdoti ma anche dei laici, lo sa bene che don Gino stava davanti al Tabernacolo anche per delle notti intere).
E poi la devozione alla Madonna che con accenti filiali, ma non infantili, accenti filiali di un bambino che è reso così perché diventa sempre più adatto e maturo per entrare nel Regno dei Cieli, chiamava con il nome comune di Mamma.
Non era semplicemente una espressione verbale, ma la sua unione con Maria Madre di Dio che esprimeva per lui la tenerezza, la misericordia, la protezione, la cura del Padre suo che sta nei Cieli.
Era un suo modo di dire, era un suo sentimento abituale che pervadeva tutto il suo essere, tutta la sua persona.
Ecco il segreto che spiega anche l’amore per la sua vocazione, per il suo sacerdozio!
Lo venerava, si può dire, nelle sue mani e nella sua persona che dovevano sempre essere rivestite di modestia, di povertà e di decoro, e nella coscienza che ricoprivano un grande dono.
Lui capiva quello che può avvenire, quello che avveniva nella Chiesa anche in mezzo ai sacerdoti perché aveva il cuore intonato alla misericordia di Dio.
E come di nessuno, tanto meno di qualsiasi suo confratello, penso che non abbia mai pronunciato una parola di riprovazione, mentre, invece aveva sempre la parola buona, la parola che scopre i lati buoni, la parola dell’amore.
Che gioia era per lui aver notizie di un sacerdote, ricevere i saluti di un sacerdote, ricevere la visita di un sacerdote!
Io non voglio esagerare niente, ma vorrei leggere le cose con molto realismo, con molta semplicità, umiltà, come si leggono le cose che avvengono in una creatura ma che sono meravigliose quando c’è il segno, il sigillo che sono frutto della salvezza che compie il nostro Dio nei nostri fratelli e perciò anche in noi.
Concludo questi cenni con le sue parole, che egli ha avuto la bontà di far mettere per iscritto e di firmare di suo pugno fin dal lontano novembre 1975:
Il desiderio grande di raggiungere la Casa del Padre mi fa sentire che non posso non esprimere qualche cosa di ciò che sento per la mia diocesi, i fratelli sacerdoti e le anime che in qualunque modo hanno avuto con me rapporto.
Sempre mi sono sentito legato al mio Vescovo in tutto. Sempre ho amato i Sacerdoti anche se non l’ho fatto sentire, ed ho cercato nonostante tutte le mie debolezze di amare così come ero capace le anime affidate alle mie cure o in qualunque maniera accostate.
L’esame poi della mia vita me lo farà il Signore, ed ho fiducia con tutta quella Misericordia che solo Lui sa usare.
Spero di essere perdonato da tutti mentre mi sento di non aver nulla da perdonare a nessuno. Sento di amare tutti di quell’Amore che neppure il passaggio da questa vita riuscirà a menomare, ma spero anzi l’aumenterà purificandolo.
La mia malattia l’ho offerta da piccolo e da povero per i miei amatissimi sacerdoti e spero che il mio ingresso nella Casa del Padre vorrà moltiplicare senza confini quell’Amore che sento per tutti e che la malattia ha purificato e che vorrei continuare senza più alcun egoismo lassù in Cielo. Desiderio che tanto forte sento nella mia anima.
La Madonna che mi è sempre stata mamma sono certo, mi otterrà da Gesù che il Sacerdozio, quaggiù sempre tanto amato, anche se poveramente, mi otterrà di viverlo intensissimamente per tutta l’eternità. Filialmente con tutta l’unità in Gesù e Maria suo devotissimo don Gino Marchesini
Ospedale Civile di Negrar, 9 novembre 1977
Omelia nella Chiesa parrocchiale di Guidizzolo, 4 marzo ’77
ST 380 Marchesini 77
Stampa “da Dio a Dio un cammino di popolo e di persone” Mantova 1985 pag 321-325