” Trasformare la religiosità tradizionale delle nostre popolazioni in vera vita religiosa “. In questa chiara enunciazione, uno dei più illustri Vescovi di Monopoli, Mons. Monterisi, alcuni decenni or sono riassumeva il significato e il programma del suo ministero pastorale, tra noi.
Evidentemente una simile opera di trasformazione è tale da non poter essere risolta e perciò chiusa entro i limiti, sempre angusti, di un qualsiasi pontificato. Fin dai primi contatti con la diocesi di Monopoli, Monsignor Ferrari ha avuto modo di constatare quanto la diagnosi del suo insigne Predecessore rimanesse vera e di quale attualità e fondamentale importanza fosse tuttora il suo programma di azione. La sola differenza, semmai, era nel fatto che le mutate circostanze storiche e, d’altra parte, il progresso nello studio delle nuove esigenze pastorali, facevano sentire più urgente e indifferibile la necessità di portare innanzi l’opera intrapresa e di tendere a realizzarla in profondità.
Un cristianesimo autentico, il cristianesimo di Gesù, del Vangelo, della Chiesa, della primitiva tradizione cristiana anzitutto sul piano della mentalità e degli atteggiamenti interiori, poi su quello delle manifestazioni religiose e profane di esso, sul piano della coerenza della vita: è questo il fine a cui si protende, dai suoi sicuri inizi e nelle sue molteplici espressioni, tutta l’attività pastorale di Mons. Ferrari, che dunque, già per queste ragioni, è ancorata alla migliore tradizione e aperta ai bisogni spirituali del tempo presente.
Di tale autentico cristianesimo, il nostro Vescovo ha dato una puntuale presentazione, che nel corso degli anni è andata acquistando contorni sempre più nitidi, rilevati, completi; ha indicato, nella cultura religiosa fondata sulla Bibbia e nella vita liturgica, le grandi vie che vi conducono; ha predisposto condizioni, metodi e mezzi.
Questo Egli ha fatto e continua a fare sollecitando anzitutto la collaborazione dei suoi sacerdoti e su di essa contando (com’è detto e documentato in altra parte di questo fascicolo), ma non meno rivolgendosi direttamente ai fedeli, organizzati e non, delle nostre parrocchie, in occasione dei continui contatti che il ritmo intenso del suo lavoro pastorale lo porta ad avere con questa o quella parte del gregge. In altri termini, Mons. Ferrari non ci è parso mai uno di quelli che pretendono di far tutto da soli o di quegli altri che si accontentano di mettersi a tavolino per stilare programmi e impartire direttive dall’alto; maestro e suscitatore di energie, Egli per primo ama scendere in campo, non per sostituirsi ad altri ma per unire al suo insegnamento la dimostrazione pratica dell’esempio, che è sempre la più chiara e la più stimolante.
Per chi conosce la sua vita, tale aspetto e così evidente da sembrare superfluo sottolinearlo; ma lo indichiamo nella persuasione che questo, precisamente, gli meriti la più larga parte di quella stima e fiducia e volontà di collaborazione che umanamente spiegano e condizionano la costruttività del suo, come di ogni apostolato.
La Parrocchia
Abbiamo accennato sopra alla Parrocchia; non sarà sfuggito, nemmeno a chi vive un po’ lontano dalla Chiesa, l’importanza crescente che negli ultimi anni le nostre parrocchie hanno via via acquistato nella organizzazione della vita religiosa, con evidenti vantaggi per la loro efficienza e funzionalità, che è quanto dire: per la verità e il decoro del culto di Dio, per l’accostamento e la cura delle anime. Tutto questo,- occorre dirlo?- non è frutto di evoluzione spontanea, ma il risultato consolante, se pure solo iniziale, di un preciso indirizzo e di un costante impulso dati da Mons. Ferrari all’impegno apostolico dei suoi collaboratori, laici e sacerdoti.
“La Parrocchia – scriveva Egli nel gennaio 1955, annunciando la prima visita Pastorale – è il vaso capillare che porta i frutti della Redenzione a ciascuna cellula di cui si costituisce il Corpo Mistico di Notro Signore Gesù Cristo; quando i vasi capillari si ostruiscono o si rompono è la morte dell’Organismo”. E più avanti: “E’ troppo evidente che nessuna istituzione compresa nell’ambito della Diocesi può esimersi dal lavorare per la Parrocchia o almeno dal collaborare con essa: i Capitoli, gli Istituti Religiosi, le Confraternite, i Terz’Ordini, le Associazioni Pie e di Azione Cattolica… “E un anno dopo, a conclusione della Visita, poteva dire: …mi pare di aver dato sufficiente risalto all’importanza della Parrocchia e di aver fatto intendere che ogni attività di ministero e di apostolato deve avere come centro propulsore e coordinatore la Parrocchia”.
In questa luce deve essere considerato anche il notevole ridimensionamento dei confini delle parrocchie cittadine di Monopoli, felicemente concordato all’inizio di quest’anno, dopo che la Visita pastorale ne aveva fatto constatare meglio l’urgente necessità.
Può darsi che, nonostante tutto, le nostre parrocchie, così come sono, sembrano ancora lontane dal soddisfarci; il volto che offrono può non piacere, anzi deludere e disgustare… La reazione tuttavia non sarà quella cui alcuni, troppo superficiali e frettolosi, in questi ultimi tempi hanno ceduto: di dire che anche la Parrocchia e da mettere tra i ferri vecchi, perché incapace di rispondere ai nuovi bisogni, alla moderna organizzazione della vita…
La reazione di tutti quelli che credono nella saggezza e nella santità della Chiesa, sarà invece d’impegnarsi, ciascuno secondo le proprie forze e la propria vocazione, perché la Parrocchia divenga uno strumento sempre meno inadeguato della funzione altissima che tutt’oggi è chiamata a svolgere nella Chiesa.
Tale funzione, spesso misconosciuta e fraintesa, è stata messa in piena luce dal magistero di Mons. Ferrari, che rivolgendosi al clero e al popolo ne ha delineato a più riprese tutti gli aspetti. Alcune frasi che troviamo in una sua recente lettera indirizzata ai sacerdoti costituiscono per se sole una presentazione concisa e completa di questo ideale parrocchiale. Desideriamo trascriverle e brevemente illustrarle perché racchiudono in sintesi il significato di tutta l’attività pastorale del nostro Vescovo e pertanto è doveroso che il loro contenuto sia fatto conoscere a tutti.
Dopo aver ribadito che la Parrocchia è ” cellula insostituibile della vita della Chiesa ” incaricata di svolgere ” il ministero della salvezza ” in posizione di mediatrice tra Dio e l’uomo, il Vescovo così continua:
” La comunità parrocchiale che testimoni, nel senso completo della parola, una fede personale, vitale, progrediente, essenziale; la comunità parrocchiale, vero popolo eletto, plebe santa di Dio, che intorno all’altare risponde alla chiamata di Dio con un culto perfetto che si appoggia all’unico mediatore, Gesù Cristo, e si offre con Lui nell’anelito di essere da Lui ricapitolata e divenire senza macchia e senza ruga, ma santa e immacolata; la comunità parrocchiale infine che attua la preghiera sacerdotale di Gesù: “Che tutti siano una cosa sola “. (Bollettino Diocesano, Febbraio 1960).
Ogni affermazione, in questa sintesi, ha un valore e una portata che non è possibile afferrare a una prima lettura.
La Fede
Il pensiero del Vescovo, aperto in questo agli indirizzi più aggiornati e sicuri in materia di pastorale, è anzitutto che la Parrocchia debba tendere a costituire una comunità di veri credenti, e come tale presentarsi a coloro che oggi dubitano o non credono più o ci sono in qualche modo ” lontani “.
Una comunità dunque, non un luogo, un ente, un’organizzazione anonima, un semplice agglomerato di persone riunite da motivi di convergenza esteriori, saltuari, convenzionali; una comunità di credenti raccolta e cementata dalla realtà vivente e soprannaturale della fede, che dimora nelle anime e le trasforma.
Ma la fede è spesso intesa in un senso troppo limitato, parziale o anche del tutto improprio; la sua vera natura tuttavia non può essere determinata alla luce di un qualsiasi criterio umano, per quanto nobile e perspicace, bensì soltanto ricavandola dalla Parola divina, contenuta nei Libri Sacri e interpretata e proposta dalla Chiesa.
Partendo da queste assolute premesse, il Vescovo elabora il suo insegnamento sulla fede, affermando che essa deve essere ” personale “: un incontro, cioè, che si svolge tra la mia persona e Dio, scoperto come Persona; un fatto che investe tutta la mia persona, intelligenza, cuore, volontà, atteggiamenti pratici, e la prostra dinanzi a Dio, la fa aderire a Lui, confidare in Lui, la spinge ad abbracciare per amore la sua Volontà.
Una fede personale è “vitale”, non ha nulla di formalistico, esteriore, passivamente accettato; s’innesta profondamente nella vita naturale dell’uomo, ne assume e riproduce il dinamismo, ne orienta integralmente il libero slancio della volontà. Di conseguenza, la fede è ” progrediente “, tende a crescere, a svilupparsi verso l’età adulta, fino a quel grado di pienezza che per ciascuno è previsto nel disegno di Dio.
Infine, oggi specialmente, la fede deve essere “essenziale “, e significa: ancorata alle grandi, fondamentali rivelazioni cristiane, conosciute nella loro armoniosa e vitale organicità, rivissute personalmente attraverso la collaborazione all’opera della Grazia.
Tutto questo, insistiamo, non è l’enunciazione di un punto di vista, sia pure autorevole, non è una ” bella teoria “, è semplicemente ” la fede” e ciò che essa comporta: la fede che Gesù ha chiesto agli Apostoli, la fede che gli Apostoli hanno chiesto ai primi cristiani, la fede che la Chiesa, erede legittima di quella tradizione, nella persona del Vescovo, chiede tutt’oggi a ciascuno di noi.
Sarà facile riconoscere come a ciascuno degli aspetti illustrati corrispondano: modi d’intendere e praticare la fede che ne sono a volte l’immagine deformata, a volte il capovolgimento e la negazione.
Anziché fede personale, troviamo spesso un’esteriore, passiva e non motivata accettazione delle idee e consuetudini religiose del proprio ambiente o di una qualsiasi tradizione ricevuta; anziché fede vitale, monotona ripetizione di formule e atti, da cui la vera vita è assente; anziché vita di fede in continuo progresso, penosa sopravvivenza di atteggiamenti religiosi infantili; al posto di una fede essenziale, poche nozioni confuse e disorganiche e devozioni dispersive.
Un quadro piuttosto sconfortante! Di fronte a simile situazione, qual’è l’atteggiamento da prendere? Rifiutare in blocco e condannare senza discernimento sarebbe stato errore gravissimo oltre che atto di ingiustizia. D’altra parte, accettare lo stato di fatto, accontentarsene, consolandosi con il pensiero che altrove si faceva anche peggio, sarebbe stato un favorire l’equivoco e con ciò tradire l’originalità e la ricchezza più vere del cristianesimo.
Possiamo dire che, anche in questo e nonostante contrarie impressioni e interpretazioni, Mons. Ferrari è stato ed è fedele alla linea di condotta seguita sempre dalla Chiesa, che è non di estirpare e recidere drasticamente ma d’illuminare, orientare, correggere, ora arginando ora stimolando, in attesa paziente e operosa che la verità si manifesti nella luce e si faccia strada nel cuore degli uomini.
Di tale evoluzione da una religiosità tradizionale verso forme più personali e più pure, autenticamente cristiane, Mons. Ferrari è stato in questi anni il Maestro autorevole e sicuro, l’apostolo appassionato, specialmente attraverso il ministero della Parola.
Con un’assidua predicazione, spoglia nella forma di ogni vezzo di retorica, sobria, chiara e fervida, ricca di contenuto, imbevuta di spirito soprannaturale, costantemente ispirata ai Libri sacri e alla liturgia della Chiesa, e tuttavia aderente alla psicologia dell’uomo d’oggi e attenta ai suoi problemi, il Vescovo ha continuato fiduciosamente a proporre le grandi Realtà della fede cristiana, nello sforzo costante di risvegliare e convogliare verso di Esse le aspirazioni e le energie migliori del nostro popolo. Dobbiamo aggiungere che le sue chiare doti di sensibilità e d’intuizione messe a servizio dell’amore per le anime, hanno reso accessibile e gradito il contenuto di questa predicazione agli uditori più disparati.
Non è possibile qui rievocare nemmeno gli episodi più salienti di tale apostolato, ma ci piace ricordare alla rinfusa: le riuscitissime ” settimane ” per i giovani e le giovani, svoltesi ripetute volte in tutti i centri della diocesi, la predicazione quotidiana del Mese di Maggio del 1954 e ’55 in Cattedrale, quella delle Novene dell’Immacolata e di Natale pure in Cattedrale, in S. Francesco di Monopoli ecc., e quella quaresimale in tutti i centri della diocesi, i corsi di Esercizi Spirituali ai sacerdoti, alle religiose, agli universitari, ai giovani, ai coniugi… e gli innumerevoli corsi di conferenze ancora a sacerdoti, giovani, studenti, catechiste, fidanzati, attivisti di Azione Cattolica e di Comitato Civico, e specialmente ai professionisti della nostra e di varie altre diocesi. La riconosciuta competenza in materia di pastorale gli ha valso per due anni consecutivi l’invito a presiedere e collaborare con relazioni di studio a corsi di aggiornamento a raggio internazionale, promossi dall’Università Cattolica del S. Cuore al Passo della Mendola.
A queste forme personali di ministero, è da aggiungere la predicazione delle Ss. Missioni che si tenne in quasi tutte le nostre parrocchie in occasione dell’Anno Mariano (1954) e che il Vescovo volle e ispirò, assegnando per tutte l’unico scopo di promuovere ” la santificazione della festa, con particolare riguardo per l’istruzione religiosa “.
Tale mole di lavoro non può essere stata prodotta invano – e i segni di un fruttuoso accoglimento infatti non mancano – specialmente se si riflette che un’unica, essenziale preoccupazione l’ha ispirata costantemente, comunicandole incisività e forza: quella appunto di far meglio conoscere, anzi “scoprire” la ” salvezza ” inaugurata dal Figlio di Dio, di farla desiderare, volere e testimoniare in una consapevole e coerente vita di fede.
Al punto – ci permettiamo di osservare – che l’annunciato programma di cultura religiosa per il prossimo anno sociale dell’Azione Cattolica, su ” il Messaggio della Salvezza “ è per noi una lieta ma solo parziale sorpresa: l’ argomento ci è già familiare, e l’impegno che comporta per la nostra vita di fede ci è additato dal Vescovo come una meta e un programma di sempre.
La Liturgia
La stessa affermazione possiamo fare per la liturgia, incentrata nel Sacrificio eucaristico. ” La comunità parrocchiale – continua il Vescovo nel passo citato – che intorno all’altare risponde alla chiamata di Dio, con un culto perfetto… “. ” La salvezza” cui il cristiano aspira è opera di Dio, non dell’uomo, e non può essergli data che da Dio. La stessa predicazione della fede, da un lato, e dall’altro la vita di fede confluiscono verso la liturgia, nella quale il Salvatore Gesù ricostruisce per tutti noi gli originali rapporti di amicizia con Dio e rende possibile tra Dio e noi quello scambio meraviglioso di preghiera e di Grazia in virtù del quale siamo salvi. Perciò la liturgia – e nella liturgia la Messa – è il cuore della vita cristiana, che tutta deve convergervi per trovare in essa il suo alimento, la sua espressione, il suo sviluppo.
Purtroppo dobbiamo osservare che nelle nostre popolazioni il senso liturgico era molto scaduto: la liturgia era considerata spesso una specie di formalità, misteriosa e inespressiva a cui si preferiva sostituire tutta una serie disordinata di pratiche e devozioni particolari. Le statue dei santi e le feste in loro onore, con tanto di processioni, luminarie, bande e spari e, come contorno, i tridui, le novene, i voti in onore dei medesimi, sembravano a non pochi il non plus ultra della religione e, ciò ch’è peggio, il suo tutto. Pertanto nessuna cosa al mondo è ritenuta più di queste sacra e intangibile; a chi muove obbiezioni, si risponde che ” si è sempre fatto così “.
L’argomento, per certi ambienti di casa nostra, in qualche momento è diventato scottante, a motivo della chiara e coraggiosa posizione che il Vescovo ha creduto di dover prendere di fronte a certi sbagliati orientamenti e a certi inveterati abusi, detti, con quanta improprietà! ” tradizioni religiose “; posizione che alcuni, non sempre disinteressati, hanno tuttavia mal compresa e travisata.
” La Chiesa cattolica – ricorda il Vescovo nella sua prima lettera pastorale del Maggio 1953 – ha sempre favorito il culto delle sacre immagini, perché sono assai utili per aiutare la nostra mente a pensare a Dio, alla Madonna, a un determinato Santo e per stimolare gli stessi affetti del cuore… ” E continuando, precisa il senso vero del culto dei santi: ” i Cattolici si appoggiano agli esempi e alla intercessione dei Sant per diventare capaci di vivere una vita che glorifichi Iddio ” .
Più avanti, riferendosi alla pratica del culto, il Vescovo chiede di essere capito: – le sue osservazioni non toccano il culto come tale, ma un modo errato di intenderlo e di esprimerlo: ” Il fatto più doloroso é che mentre si lasciarono miseramente deperire dei veri capolavori, si sostituirono con statue di cartapesta o rivestite di stoffa e si collocarono un pò dovunque nei sacri edifici “. E conclude con l’incitamento ” a far rivivere quanto di prezioso, di bello, di umanamente buono e cristianamente religioso ci hanno tramandato i Padri…”
Ma l’aspetto più importante e che ci preme sottolineare è quello da cui abbiamo preso le mosse. Il culto dei santi e nettamente subordinato al culto di Dio e, come si è visto, in funzione di questo. E il cristiano è anzitutto un seguace e un imitatore di Cristo.
Di qui, la preoccupazione del Vescovo di convogliare tutte le espressioni religiose verso quelle propriamente liturgiche, e in particolare verso la santa Messa. Di qui, la premura vivissima, espressa specialmente nelle frequenti esortazioni e disposizioni ai sacerdoti, per la proprietà e il decoro delle sacre funzioni, dell’ambiente in cui si svolgono, la Chiesa, delle suppellettili sacre e di tutti gli elementi che concorrono alla dignità e insieme all’accessibilità dei riti, dal canto sacro cui tutto il popolo è invitato a unirsi, alla presenza del sacerdote commentatore che illustri il significato dei riti e solleciti e orienti la partecipazione spirituale dei fedeli. Di qui, tutta una serie di iniziative pastorali che vanno dalla catechesi liturgica, al piccolo clero, presente ormai in tutte le parrocchie, alle paraliturgie…
Fra tante, oltre la settimana liturgica per il clero, menzionata altrove, meritano un particolare ricordo le settimane liturgiche al popolo, potute attuare in tutti i centri della Diocesi grazie alla fiduciosa tenacia del Vescovo che le sostenne e le caldeggiò nonostante le difficoltà incontrate. Esse ebbero come tema centrale “la santa Messa” e come scopo precipuo di portare i nostri fedeli a una partecipazione più consapevole e attiva al Divino Sacrificio.
Tutto questo dice, insomma, che Mons. Ferrari non si è accontentato di reprimere gli abusi e correggere le deformazioni della pietà popolare ma positivamente l’ha orientata verso le sue vere sorgenti, scoprendo a tutto il popolo i tesori, troppo ignorati, della liturgia.
La quale, senza dubbio, è un alto punto di arrivo, ma anche un punto di partenza e una scuola, la più equilibrata ed efficace, di quella parte attiva e responsabile che i laici , come oggi si dice, cioè tutto il popolo, sono chiamati a prendere in seno alla Chiesa.
La carità
E conclude il Vescovo: « la comunità parrocchiale, infine, che attua la preghiera di Gesù: “Che essi siano una cosa sola”.
Fede e vita liturgica non sono autentiche, genuine, se si dimostrano incapaci di dar vita a una comunità fraterna, i cui membri si vogliano bene e si prestino a vicenda le opere dell’amore. Nell’amore di ciascuno per tutti e di tutti per ciascuno si conclude la missione della parrocchia e si compie la sua vocazione.
Nessun insegnamento è più di questo ispirato alla testimonianza della primitiva tradizione cristiana, quando le comunità dei credenti, come ci attestano gli Atti degli Apostoli, formavano veramente ” un cuore e un’anima sola “. E nessun insegnamento – lo sappiamo nostro malgrado – è più rispondente ai bisogni dell’ora.
Qui vogliamo osservare che Mons. Ferrari in questi anni è stato più che un simbolo o un semplice maestro di carità. Non alludiamo alla carità personale, che Egli pratica ogni giorno e nelle forme più diverse ma che ha tutto il diritto di rimanere, come desidera, nascosta; e in altra parte di questo fascicolo si parla delle forme di assistenza che il Vescovo esercita attraverso la Pontificia Opera Diocesana. Semplicemente diciamo, poiché crediamo di averne il dovere, che Mons. Ferrari, con gli atteggiamenti e le iniziative prese in ogni campo della sua attività, è stato e rimane un operatore di pace, un promotore di cristiana fraternità, un ” pacifico “, nel senso evangelico della parola, con l’avvertenza che pacifici non sono – ma deboli e insinceri – gli accomodanti, i ” politici “, i rinunciatari per amore di quieto vivere.
Basti un accenno a un settore dove gli animi sono più accesi e le passioni di parte oscurano il giudizio, rendendo più delicata e difficile l’opera di pacificazione. “Il Messaggio evangelico – scriveva il Vescovo, ancora nella sua prima lettera pastorale -non presenta il benché minimo pretesto per una lotta di classe. Oggi tutti accusano i ricchi. Li potrebbero accusare solo quelli che non lo vogliono diventare… la ricchezza non è un male, è un pericolo… quei beni che dite vostri, prima di servire ad aumentare i vostri patrimoni, devono garantire casa, pane e vestito a chi li rende fruttiferi con il proprio sudore “.
E rivolgendosi ai poveri: ” Non ignorate più ormai con quanta simpatia io vengo verso di voi… Come vorrei arrivare carico di tutto l’oro del mondo per togliervi dai vostri sotterranei, dall’unica stanza forse umida e senza sole – ma sempre pulita – dove vi pigiate in cinque o in nove; per dare lavoro a chi me lo cerca ogni giorno, per retribuire chi lavora in proporzione delle molte bocche cui non è giusto che debbano bastare pane e foglie d’insalata. Sapete che non ho mai taciuto o trascurato nulla perché chi ne ha il dovere e il compito provveda alle vostre più che legittime esigenze, non con la semplice assistenza ma dandovi la possibilità di lavorare, risparmiare e migliorare le vostre condizioni ” .
Belle parole? E sia pure, ma non sarà difficile a ogni persona onesta riconoscere che esse nascono da convinzioni e sentimenti sinceri e profondamente radicati, cui corrispondono tutti gli atteggiamenti di una vita che si è data come legge il discorso evangelico delle beatitudini e come unico scopo l’edificazione del Regno di Dio nelle anime.
Non insensibile all’esempio che le viene dal suo Pastore, con rinnovato impegno di fedeltà e docilità alle sue direttive, la diocesi va ora incontro a un avvenimento che sarà di grande importanza per la vita religiosa delle nostre popolazioni e interesserà successivamente tutte le nostre parrocchie: la celebrazione delle sante Missioni.
Esse saranno realizzate secondo criteri parzialmente nuovi, cioè diversi da quelli tradizionali, ma fedeli il più possibile alle idee e agli indirizzi che sopra abbiamo cercato di illustrare, e avranno lo scopo di avviare un lavoro più organico e metodico per la traduzione dei medesimi in termini di vera vita cristiana, personale e comunitaria. La preparazione, che sarà lunga e complessa, è già incominciata per i sacerdoti, ma nei prossimi mesi anche laici di ogni ambiente e categoria saranno invitati a collaborare.
Tanto comporta l’impresa di trasformare una religiosità tradizionale in vera vita cristiana. Chiunque ne abbia compreso il significato e la portata, chiunque sappia riconoscere l’impegno personale che ne deriva per Chi la sostiene e dirige, non riterrà piccolo merito l’averne fatto il programma di tutto un pontificato.
Numero unico dedicato al vescovo Ferrari per il suo XXV di sacerdozio, 1960 .