incontro con le religiose della diocesi in tempo di quaresima
Gesù vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte e gli disse: “seguimi”. Egli lasciò tutto, si alzò e lo seguì. Noi che celebriamo questa parola, diventiamo il luogo e il tempo nei quali questa Parola si compie. Diventiamo le persone per le quali Gesù dice le stesse parole con la stessa autorità, con la stessa grazia, con lo stesso amore.
“Seguimi” é la parola che, di fatto, ha segnato il destino della nostra esistenza. Ci troviamo qui, perché un giorno questa parola si è fatta sentire in qualche modo al nostro orecchio e conseguentemente, sempre per la grazia di cui ci ha circondato il Signore, abbiamo lasciato tutto, ci siamo spostati dal luogo dove Gesù ci ha incontrato e lo abbiamo seguito. Ho detto: questo noi lo celebriamo.
Lo celebriamo in questo momento perché la vocazione non é un fatto che si compie una volta per sempre. Lasciare tutto e seguire Gesù non è un avvenimento che si compie una volta per sempre. Tutti i giorni Gesù, nel suo amore, nella sua fedeltà, nella sua pazienza, nel suo “non pentimento” ci ripete “seguimi”, “vieni”. E’ sempre attuale questa parola, esprime sempre lo stesso amore, contiene sempre la stessa grazia. Di questo ci dobbiamo convincere.
Ci sono delle espressioni nella vita della chiesa che legalizzano, canonizzano certi stati di vita come lo stato di vita religiosa, ma non c’è nessuna staticità nella vita. Ieri non era come oggi. Questo pomeriggio non è come questa mattina. La vita é movimento. La vita è crescita. La vita é maturazione e noi maturiamo in tutto il nostro essere. Se c’è una parte del nostro essere, che è la caratteristica della nostra persona perché è caratteristico il segno di amore con cui Gesù Cristo ci ama, questa non deve avere qualche cosa di statico. Deve essere stabile nel senso che non viene meno, ma non statica. Deve essere un continuo svolgimento in continua progressione.
I momenti della vita religiosa che normalmente si scandiscono nel noviziato, nella prima professione, nella professione temporanea, nella professione perpetua, sono momenti che hanno un valore esteriore davanti alla chiesa. I rapporti con nostro Signore Gesù Cristo sono rapporti di vita, sono rapporti di amicizia, sono rapporti di amore che non possono essere legati a dei fatti puramente esteriori. Sono rapporti legati al fatto incredibile, interiore, dell’amore singolare di Dio per ciascheduno di noi e devono essere viventi e palpitanti come é palpitante l’amore di nostro Signore Gesù Cristo, in cui non c’e nessuna staticità. Se il nostro cuore cessasse di orientarsi nostro Signore Gesù Cristo e andasse in una direzione diversa noi verremmo meno alla fedeltà della vocazione.
Veniamo meno qualche volta alla fedeltà alla nostra vocazione? Questo é il punto del quale dobbiamo prendere coscienza. Non dobbiamo avere pretese razionali, che non sono giuste. La storia del popolo di Israele è in figura la storia di ogni persona. Gesù ammette che si deve perdonare settanta volte sette perché pecchiamo più di settanta volte sette al giorno, quindi, c’è niente di straordinario, niente di speciale!
In noi ci può essere la constatazione di infedeltà che può esprimersi in tantissimi modi: come un venire meno ad un impegno, ad un dovere, al lavoro, alla preparazione che dobbiamo portare al lavoro per adeguarci alle esigenze che si presentano giorno per giorno. Queste sono infedeltà nel senso di non impegnare tutti i nostri talenti. Che siano uno o cinque non importa. Importa impegnarli tutti secondo la volontà del Signore, secondo la natura del talento stesso. Dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere queste nostre infedeltà come fatti naturali, perché questa é la nostra natura nella quale é entrato il peccato e nella quale tutti i giorni, proprio attraverso le nostre infedeltà, entra la misericordia.
Davanti a questa nostra condizione sta la fedeltà di nostro Signore Gesù Cristo. Quante volte mi è capitato di dirvi che il Signore ci vuole bene perché siamo buoni? Che il Signore ci vuole bene nella misura della nostra fedeltà? Questo lo dicono alcuni predicatori. Il Signore ci vuole bene in misura del suo amore, secondo la misura della sua misericordia. Non sono venuto per i sani che non hanno bisogno del medico, ma per gli ammalati. Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori perché si convertano.
Dobbiamo avere il coraggio di metterci nella schiera dei peccatori. I santi si reputavano dei grandi peccatori e si meravigliavano che il Signore avesse ancora misericordia per loro. Non é una finzione. Se non abbiamo la coscienza che la misericordia di Dio compie le sue meraviglie nella nostra debolezza e nella nostra infedeltà, non siamo in un rapporto buono con il Signore nostro salvatore.
Se non abbiamo la coscienza che c’è una distanza infinita tra la fedeltà dell’amore di nostro Signore Gesù Cristo e l’infedeltà della nostra ignavia, non siamo in un rapporto buono con il Signore nostro salvatore. Di conseguenza, non abbiamo neppure coscienza delle cose straordinarie che il Signore può compiere in noi. Può esserci anche una certa stabilità nella fedeltà, ma non è opera nostra della quale ci possiamo gloriare. Tutto è grazia, direbbe san Paolo, e tutto proviene dalla grazia misericordiosa di Dio senza della quale non ci sarebbe neppure la nostra fedeltà.
Non siamo noi, da noi stessi, che ci salviamo. Ci salviamo perché c’é Uno che ci salva. E noi dobbiamo portare nell’intimo del nostro animo la convinzione, la coscienza, la grazia di essere dei salvati. Dobbiamo avere la coscienza di procurare l’occasione di una grande gioia, quando nostro Signore Gesù Cristo ci può perdonare. Ricordate la festa del Padre del figliolo prodigo. Non prendiamo l’atteggiamento del primogenito che ha sempre fatto tutto bene. Prendiamo l’atteggiamento di colui che sa di essere stato lontano dal suo Signore. E noi sappiamo che è per la sua bontà infinita, inspiegabile e misericordiosa, che ci troviamo ancora nella sua casa.
Questi pensieri devono essere dominanti sempre,ma devono essere approfonditi in questo tempo della Quaresima.
Il tempo della Quaresima è il tempo della meditazione della nostra vocazione cristiana, é il tempo della meditazione del significato del nostro battesimo, é il tempo del passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia.
Deve essere il tempo della meditazione del significato del Battesimo che ci inserisce nel mistero della passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo per il peccato e poi risorgere ‘nuova creatura’ per fare di noi ‘nuove creature’.
Deve essere il tempo della meditazione del Battesimo per prepararci alla Pasqua, rinnovati dalla grazia di Dio, perché, finalmente, non crediamo a noi stessi, ma a nostro Signore Gesù Cristo e lo accogliamo come nostro salvatore. Poi potremo presentarci ai nostri fratelli per dire con estrema umiltà: – come é grande la misericordia di Dio!
Stiamo attenti alle tentazioni dei pubblicani e dei farisei che dicevano di nostro Signore Gesù Cristo “Mangia con i peccatori ” Mettiamoci nella truppa dei peccatori per essere salvati dalla misericordia del Padre che manifesta il suo amore attraverso la croce di nostro Signore Gesù Cristo.
OM 541 Suore 77
tempo di Quaresima