Monopoli, 30-31 Gennaio 1966 – 1 febbraio n.2
Il decreto sul ministero e la vita dei presbiteri ci richiama a quei principi, che definiscono lo stato o la condizione di una persona, come le sue azioni, le sue funzioni.
Ieri abbiamo visto quanto il decreto insista sul mettere in evidenza che il nostro sacerdozio ministeriale ha lo scopo preciso:
– di edificare la Chiesa,
– di edificare i fedeli nell’unità della carità,
– di edificare i fedeli nella fraternità dell’unità
– mediante l’educazione al primato della virtù della carità
– tenendo presente che nella vita cristiana, tutto ha ragione di mezzo mentre la carità ha ragione di fine.
Abbiamo terminato con una constatazione: é dalla nostra carità vicendevole, quella che lega il vescovo ai sacerdoti e i sacerdoti al vescovo e i sacerdoti tra loro, che sorge il motivo e in certo qual senso viene esercitato qualche cosa di istituzionale, quasi un sacramento da cui nasce più facilmente la carità in mezzo ai nostri fedeli.
Si é detto con molto realismo, con molta umiltà e sincerità delle difficoltà che ci sono per realizzare la carità fra di noi, e la ragione l’abbiamo trovata nel fatto che nella Chiesa si é accentuato molto l’aspetto giuridico a danno dell’aspetto teologico; che l’aspetto giuridico é quello che ha rimarcato le distinzioni tra di noi, mentre invece, l’aspetto teologico é quello che mette in evidenza ciò che ci accomuna, e cioè la nostra comunione all’unico sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo.
Quindi, quanto più nelle nostre cose andremo in fondo al dato rivelato e quindi all’aspetto teologico, tanto più troveremo come sia uguale per tutti noi la dignità di figli di Dio – prima questo e vale per tutti i membri del popolo di Dio – e poi la nostra stessa dignità che nasce dall’unico sacramento dell’ordine, dall’unico sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo. Quindi la stessa meditazione della parola di Dio, attraverso particolarmente la Sacra Scrittura che ci mette a contatto diretto dei documenti della Rivelazione, favorirà lo stabilirsi di quei rapporti più fraterni di vera uguaglianza davanti a nostro Signore Gesù Cristo, che renderà più facile anche l’esercizio della carità.
Adesso dobbiamo parlare, secondo il decreto, della triplice funzione per mezzo della quale i presbiteri edificano la Chiesa. Teniamo bene in mente che il predicare, il santificare e il reggere ha questo scopo preciso. Non ha lo scopo individualistico di curare un’anima o di curare le anime separatamente le une dalle altre, ma di edificare invece la comunità per arrivare ad edificare la Chiesa. Teniamo presente un altro principio che é messo in evidenza con insistenza notevole proprio dal Concilio in diversi documenti. Il perno dell’unità nella comunità locale, nella Chiesa locale, nella comunità cristiana e quindi, colui che presiede alla carità nella Chiesa locale, come il Papa presiede alla carità nella Chiesa universale, é il vescovo. Non dico allo stesso titolo del papa, ma a titolo sacramentale.
Vedete come il Concilio insiste a questo proposito. Parlando dei presbiteri, già nel documento sulla liturgia dice che ogni pastore di fedeli fa le veci del vescovo. Nel Presbiterorum Ordinis al numero 5: “i presbiteri sono gerarchicamente collegati sotto molti aspetti al vescovo, e così lo rendono in certo senso presente in ciascuna adunanza dei fedeli”
Al numero 6: “I presbiteri, in nome del Vescovo, riuniscono la famiglia di Dio come fraternità animata nell’unità” Non lo fanno per loro conto. Separatamente!
Lumen Gentium 25-26: “Le legittime comunità dei fedeli, le quali aderendo ai loro pastori sono anche esse chiamate chiese del nuovo testamento in quanto aderenti ai loro pastori.” Questo numero 26 é quello che tratta dei vescovi, dei loro poteri che derivano dalla consacrazione, la collegialità e il triplice ufficio dei vescovi.
Nel numero 28 quando si parla espressamente dei presbiteri: “Nelle singole comunità locali i presbiteri rendono presente per così dire, il vescovo”. E’ un elemento che non bisogna dimenticare. Mi pare di doverlo dire per motivi teologici e non personali perché questi non fanno niente, anzi diventano un ostacolo alla realizzazione di questa realtà voluta da nostro Signore Gesù Cristo, di questa condizione stabilita da nostro Signore Gesù Cristo per la edificazione della sua Chiesa.
Storicamente noi possiamo ricordare che nelle comunità primitive, la predicazione, la celebrazione eucaristica – specialmente queste due funzioni – erano praticamente riservate al vescovo. Questo in oriente ed anche in occidente. A Roma, a principio, c’erano i diversi titoli presso i quali c’erano dei presbiteri particolarmente distinti, ma o concelebravano con il vescovo, oppure ricevevano un permesso e la celebrazione avveniva simultaneamente, alla stessa ora quindi, con il vescovo di Roma.
In quanto poi alla predicazione, veniva esercitata abitualmente dal vescovo. Le comunità, possiamo dire erano più ristrette, si prestavano a questo ministero più frequente del vescovo, ma è un dato di fatto che il Concilio insiste su questa triplice funzione del vescovo che non corrisponde evidentemente allo stato attuale delle cose. Se il vescovo é insignito dell’eccelso ministero della parola e poi si riduce a fare l’omelia in quattro o cinque pontificali all’anno e scrive la lettera pastorale durante la quaresima – questa era una certa prassi -dove va a finire il suo eccelso ministero? I fedeli che hanno il diritto – “verso cui ognuno é debitore” – di ricevere questo dono di Dio attraverso questa prima funzione del vescovo, sono evidentemente depauperati.
Se il vescovo ha la somma del supremo sacerdozio – questa é un’altra espressione del Concilio – e poi praticamente, di fatto tutti i giorni e quasi tutte le domeniche dice la Messa nella sua cappella privata – con l’autista o senza l’autista, con le monache o senza le monache – dove va a finire la somma del supremo sacerdozio per cui é economo della grazia di Dio? Facilmente lo si può concepire come economo dell’ufficio amministrativo! Così stanno le cose.
Ma il Concilio insiste in un modo del tutto straordinario così: il vescovo deve essere pastore del suo gregge, che deve conoscere le sue pecorelle, ma non in qualche modo perché correlativamente afferma che le pecorelle devono conosce lui. Questo significa che deve avere un certo qual contatto con le popolazioni, un contatto di conoscenza. Questo non è possibile quando va per le cresime e ascolta il bambino che recita le poesie e legge sul muro “viva il vescovo”. Sono cose che non realizzavano certamente questa conoscenza reciproca.
E’ avvenuto che non soltanto i presbiteri hanno partecipato ai poteri sacerdotali del vescovo. E’ sul piano sacramentale e su questo c’è niente da dire, ma sul piano pratico sono diventati… Non é certamente colpa di nessuno di noi perché quando noi siamo entrati a fare la nostra parte i preti e le cose stavano già così. Possiamo dire anche più di così. Di fatto le nostre popolazioni conoscono il prete, vedono il prete, sentono il prete, si rivolgono al prete perché il vescovo é quel tal personaggio che sta nel palazzo. Non é detto che, sia già uscito. Il Concilio lo fa uscire.
Collegate queste riflessioni al problema del ridimensionamento delle diocesi. Quante conseguenze ne verrebbero fuori. Non sono le conseguenze che correntemente si pensa. Di fatto si cerca di rimediare. Così, almeno, é stato dichiarato, ma come andranno le cose non lo sappiamo. Per mezzo di ausiliari? Per mezzo di correi-episcopi perché si é avvertito che la presenza del vescovo deve essere qualche cosa di più evidente? Comunque siano i futuri confini delle diocesi e le future diocesi, è un fatto che il presbitero, cioè il sacerdote nell’esercizio del suo ministero, deve avere l’avvertenza di rendere presente il vescovo non semplicemente tenendo la fotografia in archivio oppure in sacrestia e tanto meno nel coro, come capitava da qualche parte dove la fotografia del prelato era affiancata alla fotografia di sua maestà. Certamente nelle prelature, nel primo stallo, c’era il ritratto del Re!
E’ un particolare da tenere presente nell’esercizio delle nostre funzioni sacerdotali, per arrivare ad edificare la Chiesa. Le funzioni con cui si edifica la Chiesa, secondo il decreto, sono i mezzi specifici del nostro perfezionamento e della nostra santificazione sacerdotale. Tenere presente anche questa seconda affermazione: edificare la Chiesa intorno al vescovo e nell’esercizio delle funzioni con cui edifichiamo la Chiesa, noi troviamo i mezzi di santificare noi stessi.
Funzione profetica.
Leggo soltanto alcune affermazioni e riflettiamo insieme, o ciascuno per proprio conto, o anche per quanto il tempo lo consente discutendone insieme.
Al numero 4: “il popolo di Dio viene adunato anzitutto per mezzo della parola del Dio vivente” Ecco la preminenza della funzione profetica. “I presbiteri hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il vangelo di Dio” due volte in due periodi diversi si usa questo avverbio “anzitutto” “possano costituire e incrementare il popolo di Dio” Sono due affermazioni che all’incirca si equivalgono: la preminenza della funzione profetica della predicazione, della evangelizzazione, della catechesi, dell’insegnamento religioso, eccetera, nell’esercizio del nostro ministero.Prima delle funzioni, prima della Messa, prima dell’amministrazione dei sacramenti! Questa funzione é stata rivalutata enormemente dal Concilio. Cioè, il Concilio ha riportato le cose -non possiamo dire in modo perfetto perché nessuna opera nella quale centrano gli uomini é perfetta – alle giuste proporzioni come si trovano nella rivelazione.
Non é necessario ricordare il comando di nostro Signore Gesù Cristo “Andate e predicate”. Non è necessario ricordare qui San Paolo che si ribella a dovere amministrare i sacramenti perché vuole anzitutto annunziare il Signore e cioè a predicare la parola di Dio. Non è necessario ricordare gli apostoli che costituiscono i diaconi perché essi devono attendere all’orazione e alla predicazione della parola del Signore. Perché? Perché la vita cristiana e la Chiesa incominciano dalla radice, dal seme della fede.
Nello stesso numero 4 si dice: “con la Parola di Dio la fede si accende nel cuore del non credenti e si alimenta nel cuore dei credenti, e con la fede ha inizio e cresce la comunità” Noi, storicamente, cronologicamente incominciamo la vita cristiana con il Battesimo. La famosa questione del battesimo dato ai neonati! Ma, rimane sempre il sacramento della fede e la fede non nasce dal battesimo. La fede nasce dalla parola di Dio.
Altre volte abbiamo ricordato che dobbiamo stare attenti, nelle nostre popolazioni, a suscitare prima che altre virtù, la virtù della fede perché non basta la frequenza ai sacramenti. Guardate che, le nostre statistiche normalmente le abbiamo fatte sulla frequenza alla santa messa al precetto festivo e meno, per esempio, sulla frequenza al catechismo o alla istruzione religiosa. Le messe, i sacramenti, intanto portano frutto, in quanto c’è la disposizione della fede e quindi la preoccupazione di alimentare la fede. ll numero 4 del P.O.: ” La predicazione della parola é necessaria per lo stesso ministero dei sacramenti trattandosi dei sacramenti della fede, la quale nasce e si alimenta con la parola”.
Poi é da ricordare ciò che si dice nel Sacrosantum Concilium, la costituzione liturgica, a proposito della parola di Dio e dell’azione liturgica. Al n.9 nel Sacrosanctum Concilium: “La sacra liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa” Pensate che questa affermazione é fatta in un modo così categorico in un documento che riguarda la sacra liturgia, dopo aver esaltato e dopo che esalterà in un modo del tutto nuovo l’azione liturgica.
“La sacra liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa” – il pensiero di Pio XII in un famoso congresso liturgico!-Infatti prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia bisogna che siano chiamati alla fede e si convertano. “Come potrebbero invocare colui nel quale non credono e come potrebbero credere in colui che non hanno udito e come potrebbero udire senza chi predichi?. Ma come predicherebbero se non sono mandati?” Il famoso passo di san Paolo ai romani (19,14-15) “Per questo motivo la Chiesa annunzia il messaggio della salvezza a coloro che ancora non credono affinché tutti gli uomini conoscano l’unico vero Dio e il suo inviato Gesù Cristo e si convertano dalle loro vie facendo penitenza” Cronologicamente viene prima degli altri ministeri ed é cronologicamente importante perché da inizio alla vita cristiana, alla vita spirituale.
Quanto sia importante trasformare questo ministero in un mezzo di santificazione per mezzo dello studio, della lettura spirituale, della meditazione della parola del Signore che troviamo specialmente nella scrittura e nei padri! Anche i padri! Ormai si incomincia. Si erano fatti dei tentativi che non sono riusciti. C’è stato il tentativo della editrice SEI con la collana aurea “Patrum” latini e greci arrivata a qualche volume. Poi ha tralasciato. C’è stato il tentativo della editrice San Paolo. Anche questa ha tralasciato. Ora ha ripreso. Cantagalli ha fatto qualche cosa con dei volumetti di un pregio discutibile, ma non sono diventati popolari. E’ un ritorno perché, se noi andiamo a vedere il pensiero dei Padri, lì troviamo una ricchezza davvero inaspettata. Siamo arrivati al fenomeno, tante volte denunciato, dei così detti “predicabili” che erano un impoverimento proprio meschino della ricchezza della parola del Signore.
Funzione sacerdotale
Al numero 5: ” I presbiteri sono consacrati da Dio, mediante il vescovo, in modo che, resi partecipi in modo speciale del sacerdozio di Cristo nelle sacre celebrazioni agiscano come ministri di colui che ininterrottamente esercita la sua funzione sacerdotale in favore nostro nella liturgia, per mezzo del suo Spirito” Qui é il punto culminante del nostro sacerdozio, dove il sacerdozio diventa più specifico nella sua funzione di glorificare Dio mediante la santificazione degli uomini. E’ il punto a cui porta la funzione profetica. Tutti i sacramenti sono strettamente uniti alla Eucaristia e ad essa orientati. Noi siamo ordinati ai sacramenti. I sacramenti sono ordinati e derivano dalla Eucaristia. La sinossi eucaristica è, dunque, il centro della comunità dei cristiani presieduta dal presbitero.
Ecco il vostro sacerdozio in questo punto. Il prete che presiede unisce intorno a se la comunità dei fedeli nella celebrazione eucaristica. Questo lo fanno tutti i sacerdoti indistintamente a titolo proprio, salvo i legami sacramentali che hanno con colui che li ha consacrati, vivo o successore. I sacerdoti quando dicono Messa non sono né curati né prelati né parroci o vice parroci. Sono sacerdoti e in quel momento presiedono la comunità e diventano il centro della comunità perché rendono presente Gesù Cristo nella Eucaristia. Allora, alcune conclusioni. Non sono le più pertinenti da un punto di vista sacramentale, ma da un punto di vista immediato e pratico. “Abbiano cura i presbiteri di coltivare adeguatamente la scienza liturgica”
Noi la liturgia l’abbiamo studiata come materia secondaria e della liturgia noi abbiamo studiato gli aspetti rubricistici del diritto, ma non gli aspetti teologici e dottrinali. Non é facile farsi una scienza in una determinata materia soltanto per sentito dire e neppure semplicemente perché si compiono certe cose. Le funzioni le abbiamo sempre compiute bene, alle volte anche in modo splendido, ma noi veramente presiedevamo quelle celebrazioni nel senso che vuole la dottrina sui sacramenti? Noi siamo sempre stati i ministri dei sacramenti: il battesimo, la penitenza, l’Eucaristia, il matrimonio, l’estrema unzione, ma abbiamo una scienza della liturgia di ognuno dei sacramenti? Ne abbiamo amministrati tanti, magari più che si poteva. In questo, senso dobbiamo riconoscere che c’era e c’è uno zelo.
Ma quale luce abbiamo proiettato su questi gesti che compivano i nostri fedeli, su questi gesti che appartenevano a tutta la comunità e non semplicemente a noi o a qualche persona interessata? Sul valore di questi gesti, non semplicemente in ordine alla vita individuale, ma in ordine alla edificazione della Chiesa, é tutta una scienza che dobbiamo acquistare e sempre più approfondire. La scienza liturgica ci deve portare poi al cuore della liturgia, cioè alla celebrazione del mistero pasquale. Di questo ne abbiamo parlato tante volte e quindi del modo di disporre i nostri fedeli a questa celebrazione del mistero pasquale L’attività liturgica o celebrazione liturgica deve diventare il mezzo dei mezzi della nostra santificazione.
Noi siamo dei battezzati. Il battesimo ha impresso un carattere, che é un segno permanente, un titolo esigitivo di grazie che ci ha costituito in uno stato sacramentale rispetto a tutto il creato, a tutto il mondo, a tutti gli uomini e ci ha inserito nella Chiesa. Abbiamo ricevuto la cresima, che ci congiunge più intimamente ai membri del corpo di nostro Signore Gesù Cristo, quindi ci rende più solidali ai destini della Chiesa. Ci accostiamo all’Eucaristia. Gesù Cristo è presente col mistero della sua passione, morte, risurrezione e ascensione al cielo. E noi siamo i ministri di questa presenza. Intorno a noi c’è tutta la Chiesa del cielo e della terra e c’è tutto il mondo che ha bisogno della salvezza che deriva proprio da quel mistero che noi rendiamo presente.
Ma sono fatti questi? Ci sono delle cose più importanti, più tremende? La tremenda, la formidabile dignità del sacerdote e soprattutto la formidabile responsabilità del sacerdote? Questo, cosa dice per la nostra vita spirituale? Come il Padre ha sacrificato il Figlio suo, come Gesù Cristo si é sacrificato per noi, così noi dobbiamo, come siamo conformati al suo sacerdozio, diventare conformi alla sua morte. Quindi la parola mortificazione per noi ha un senso del tutto particolare non semplicemente come virtù morale e come conseguenza di un esercizio ascetico a cui siamo più o meno abituati, ma come conseguenza di una celebrazione liturgica.E’ vero per essere un principio stabilito dallo Spirito Santo “sic compatitur, sic conglorificabitur” Se partecipiamo alla passione di Cristo, partecipiamo alla sua glorificazione.
Non é che la vita del sacerdote debba diventare una tristezza. La vita del sacerdote deve diventare una gioia, ma attraverso la passione, attraverso la partecipazione di questo mistero del Signore, attraverso quindi la pratica assidua della mortificazione che ha come suo postulato, come sua esigenza proprio una celebrazione liturgica e – tanto perché non sfugga- la celebrazione della penitenza. E’ una penitenza. Di fatto il Concilio nel decreto che ci riguarda dice: “i sacerdoti di questo sacramenti siano pronti, siano disponibili quando sono richiesti dai fedeli” Non é sempre facile essere pronti e disponibili perché é una vera penitenza. Per noi é una penitenza.
Ma, ritorniamo al sacramento della Eucaristia. E’ un’esigenza ma é anche una sorgente. La nostra vita diventa una vita faticosa, estenuante, logorante, molte volte solitaria. Oggi é denunziata largamente la solitudine del sacerdote. Ma, “dominus pose serenitatis meae, calicis mei” Tutti giulivi quando ci hanno messo la cotta, quando ci tagliavano i capelli! Ma quando questo fatto diventa una realtà quotidiana non siamo più tanto giulivi, naturalmente, ma dov’é l’amicus? Noi siamo l’amicus sponsi e fintanto che c’è lo sposo é giusto che l’amico dello sposo gioisca. – Se crediamo che c’è Gesù Cristo nella santa Eucaristia, – se crediamo che Gesù Cristo diventa la sorgente del nostro conforto, del nostro sollievo, – è il primo che ci deve strappare dalla nostra solitudine, – è il primo che ci deve fare entrare in una comunione di vita con Lui che é il pastore delle anime nostre.
Il mistero eucaristico si prolunga con la presenza reale di nostro Signore Gesù Cristo nel tabernacolo. I nostri tabernacoli non sono solo dei luoghi di incontro a cui dobbiamo spingere gli altri magari come penitenza del sacramento della penitenza o come esortazione al fine che possano raggiungere una vita interiore. Noi dobbiamo essere gli amici di nostro Signore Gesù Cristo, i suoi compagni, i soci della sua solitudine nella sua passione e sul calvario. Questo soltanto per fare qualche accenno. Non é possibile dire di più.Mi pare che il tempo voli velocissimamente.
Per quello che riguarda l’attività sacerdotale, cioè l’attività liturgica, il decreto insiste: “abbiano cura i presbiteri di coltivare devotamente la scienza e l’arte liturgica, affinché, per mezzo del loro ministero liturgico, le comunità cristiane ad essi affidate elevino una lode sempre più perfetta a Dio, Padre e Figlio e Spirito santo”. E parla della Chiesa edifico sacro. Basti richiamare questo punto al termine del numero 5, che potete leggere per vostro conto, per capire come dobbiamo essere zelanti. Mi pare che fino ad un cero punto siamo zelanti del decoro della casa del Signore. Ma facciamo sì che, sia davvero un decoro, quanto più possibile artistico e prima di tutto liturgico!
Guardate come si introduce il decreto al numero 6.: ” I presbiteri in nome del vescovo riuniscono la famiglia di Dio come fraternità animata nell’unità” Notate questa insistenza di certi modi di dire sempre la stessa cosa “come fraternità animata nell’unità e la conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito santo” Quindi la nostra preoccupazione del governo, della cura delle anime deve essere: condurle al Padre per mezzo del Figlio e dello Spirito Santo perché siano una famiglia sola “fraternità animata nell’unità”. Per questo si deve sviluppare la vita cristiana nei fedeli affinché arrivino alla maturità cristiana perché, saranno membri attivi di una comunità ecclesiale quando saranno maturi dal punto di vita cristiano.
Si parla di fede matura, di maturità della fede ecc. E, il decreto che cosa sottolinea? “perché i membri del popolo di Dio arrivino alla maturità cristiana i presbiteri devono sviluppare in loro la vocazione specifica secondo il vangelo. I cristiani sono dei chiamati già di loro natura, ma non tutti hanno la stessa vocazione” E allora, cerchiamo di discernere le vocazioni man mano che crescono nell’età. Non dobbiamo pretendere che qui ci sia già la vocazione al sacerdozio, che là ci sia già la vocazione ad essere guanelliani o salesiani o altro, quando sono semplicemente dei bambini, degli adolescenti, dei giovanissimi. Ma devono essere aiutati. Tutti quelli che sono in seminario, nel convento, o in studentato ecc. sono come tutti quelli che hanno bisogno si scoprire la loro vocazione.
Il problema della vocazione é connesso all’edificazione della Chiesa. Ognuno deve essere la pietra collocata al posto giusto perché, se non é collocata al posto giusto mette in pericolo tutto l’edificio. Se uno fa il prete e non deve fare il prete, o fa il monaco che non deve fare il monaco, o fa il padre di famiglia che non deve fare il padre di famiglia è un guaio non soltanto per lui ma per tutto il popolo di Dio. Bisogna educarli all’edificazione della Chiesa. Bisogna educarli ad operare la carità sincera ed operativa. Il primato della carità deve entrare nell’educazione dei nostri fedeli.
C’era la preoccupazione di una formazione alla vita interiore. Ma, che cos’è questa vita interiore? Non é soltanto diventare riflessivi (dico: soltanto) non é soltanto pregare di più, non è soltanto frequentare i santi sacramenti , non è soltanto fare la così detta direzione spirituale, che poi é spersonalizzarsi per lasciare la responsabilità a colui che sta dietro, rispetto alla grata. No. Educare alla pratica della carità sincera, operativa e attiva. Attiva vuole dire che ognuno deve essere capace, dopo che ha scoperto quale é la volontà di Dio sopra di lui, ad interpretare tutte le iniziative che sono necessarie per attuare quella vocazione.
Aiutare i membri del popolo di Dio ad esercitare la libertà, con cui Cristo li ha liberati. Notiamo che la libertà che ci dona Cristo é quella di averci sottratto alla schiavitù del peccato e alle soggezioni del mondo. E’ una liberazione. In seguito a questa deriva un esercizio positivo di libertà che si esprime particolarmente nell’autonomia responsabile. – Diventare responsabili delle proprie azioni di figli di Dio, – – Diventare responsabili come membri di una comunità che non possono vivere egoisticamente delle proprie azioni, ma che debbono diventare una collaborazione con gli altri. – – Diventare responsabili non per andare ognuno per proprio conto, non per andare ognuno per la propria strada, ma per andare insieme. – – Diventare responsabili non solo stare insieme, ma andare insieme, operare insieme, vivere insieme. – Questo é un punto fondamentale dell’educazione che dovremmo dare ai nostri fedeli. – Questo dovrebbe diventare come i cardini della formazione che diamo a coloro che ci sono stati affidati.
La funzione di pastore, evidentemente, esige che si vada avanti, esige che prima si pratichino le cose che vogliamo insegnare agli altri, esige poi che si paghi di persona. Il pastore é colui che dà la vita per le proprie pecorelle, invece il mercenario é colui che prende la mercede e quando viene il lupo fugge. Sono parole molto abituali ma tremendamente serie. Si può anche finire in questo modo, senza l’esplorazione conclusiva.
Dialogo
Si sentono soltanto le risposte
Per il libretto in banca, ecc., da vescovo, secondo la lettera e lo spirito del Concilio io devo ammettere che ci sono dei sacerdoti in condizione di miseria invece che di semplice povertà; devo ammettere che c’è una sperequazione nel clero, devo ammettere che siamo ancora troppo restiì e, se venisse la proposta, credo che ci sarebbe una resistenza. E questo sarebbe l’indice evidente del nostro attaccamento al denaro.
La proposta di una cassa comune per cui non ci sarebbero più né poveri né ricchi e ci sarebbe ciò che conviene a ciascuno. Siamo lontani però! Sapete che nel mondo questo già esiste. In Francia é una cosa comune ormai in tutte le diocesi. Il clero francese é uno dei più attivi del mondo e intraprendenti anche se un po’ spumeggianti perché, sono in condizione di povertà. Dal governo non ricevono niente. Benefici non ne hanno. Contribuzioni obbligatorie da parte dei fedeli non ce ne sono. Quel poco che c’è, é raccolto da tutti, lo si mette in comune e il vescovo pensa a dare a ciascuno il proprio. Ci dobbiamo arrivare.
Ma se i fedeli dei primi giorni della Chiesa si distinguevano proprio in questo! Se erano arrivati a questo ideale di vita, di mettere tutto in comune! Direte: siamo sempre alla favola dei primi tempi del cristianesimo. Ma i tempi del cristianesimo sono sempre gli stessi tempi. I valori del cristianesimo sono sempre gli stessi valori. Se nel cristianesimo c’è un valore nella povertà, nel cristianesimo ci deve essere oggi come c’era ieri il valore della povertà. I primi cristiani mettevano tutto in comune. Oggi ci possono essere forme diverse da quelle, attraverso le quali possiamo esprimere oltre che la povertà, soprattutto la carità di cui la povertà deve essere espressione.
Non illudiamoci che ci possa essere carità verso il prossimo e perciò verso Dio quando c’è l’idolatria del denaro. San Paolo parlando di tutti i vizi, li riassume nella parola “idolatria”. Se mettiamo il denaro al posto di Dio noi siamo degli idolatri. Se siamo ricercatori affannosi di soldi non cerchiamo Dio, non cerchiamo la salvezza.
OM 64 Presbiteri_02 1967