Il Dio cristiano.
Un libro sapienziale del vescovo
Carlo Ferrari
Testamento -come dice il card. Martini o come piace all’autore – testimonianza che sia, è un libro puntuale e, finalmente, ingenuo. Che un vescovo, all’indomani del suo passar la mano nel ministero di pastore della diocesi, metta a nudo le radici della sua esistenza e contesti amabilmente non poche regole del gioco appare una ingenuità. Se lo è ha il timbro dell’autenticità, quella evangelica. Da qui il fascino di una scrittura (e di una lettura) rapida, essenziale, contagiosa che aiuta a arrivare sino alla fine con gioia e ricorrente gratitudine.
Ciò che da mons. Ferrari, vescovo di Mantova fino allo scorso anno e prima di Monopoli, viene annunciato – perché di vero annuncio si tratta – è il nucleo profondo e un po’ naif del cristianesimo, il suo cuore vivo. La «religione pura e senza macchia» non è un complesso di verità intellettuali, al contrario è una storia viva che narra l’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e porta ad adorare il mistero della divina Compagnia nel «frattempo», segnato dalla fatica e vivificato dalla speranza della«patria» in cui Dio sarà tutto in tutti.
Il tentativo di sistematizzare in categoria umane gli eventi mirabili che creano un rapporto vivo tra le Persone divine e le persone umane è «impossibile e irrazionale. Purtroppo, questo tentativo è durato per molti secoli e ha dimostrato largamente il suo fallimento il cristianesimo imbrigliato in queste strutture si è impoverito paurosamente. Il contenuto della divina Rivelazione espresso in termini intellettuali è un sistema di verità astratte lontane dalla vita e private della loro capacità salvifica» (p. 21).
Parole chiare e anche dure motivo dominante di una diagnosi severa – «la chiesa lungo i secoli non ha resistito alla tentazione di procurarsi delle sicurezze umane» (p. 22) – e di una terapia rigenerante. Ma a caro prezzo. Perché liberarsi di tante bardature e di mettere nella bisaccia del pellegrino solo ciò che conta, il Libro e il Pane necessario è possibile solo a coloro ché amano intensamente. Amano perché sanno di essere amati: «Io sono una persona amata» (p. 15). Persone, dunque, integralmente mature dove fede e vita sono in simbiosi.
Se l’amore unisce, tutta la vita è unificata e viene sottratta al rischio ambiguo della frammentazione. La conoscenza è soprattutto un’esperienza dove la dimensione affettiva risulta la componente più importante (p. 60) la mistica viene prima dell’ascetica e di questa è la forma matura (p. 84); il pregare è soprattutto un contemplare (p. 88) la libertà risulta un valore assoluto che praticamente va rispettato come si rispetta Dio (ps 91); la vita si risolve in perenne liturgia, un canto gioioso del «trisagio» unito a quello che cantano le schiere celesti (p. 98). L’A., vescovo attivamente partecipe dei lavori del Vaticano II, confessa che impressionante fu la più alta liturgia che sia mai stata celebrata- il «sanctus» cantato da tutti i vescovi del mondo all’unisono con il canto dei salvati, quello di Ap. 4,8 (p. 13)
Si potrebbe osservare che qui manca lo spazio dovuto alla complessità, all’evoluzione dell’esistenza storica, con la facile conseguenza di svicolare verso formule radicali. Anche il giusto rifiuto dell’intellettualismo non può significare privarsi della razionalità che ha pur bisogno dell’intelligenza e delle sue elaborazioni. Ma sorge subito il dubbio che anche questa sia un’operazione di intellettualizzati. Non piccolo pregio del libro è di demitizzare le proprie sicurezze.
E’ qui che le regole del gioco vengono scompigliate. Non sta bene che i vescovi vengano reclamati per impegni che nulla hanno a che fare con il loro compito specifico, il mistero della parola (pp. 69-70). Non ha senso che i preti continuino a identificarsi con coloro che esigono «cose pratiche» (p. 14) quasi a conferma di una drammatica povertà – così la definisce lo storico A. Riccardi – della formazione avuta in alcuni seminari pre-conciliari. Non è credibile l’amore di un uomo e di una donna che separano il loro dall’amore di Cristo e al posto di un figlio comprano la macchina o il salotto più moderni (p. 77). È sconcertante che i cristiani, compresi religiosi e religiose, ignorino che il culmine della conoscenza di Dio sta nell’intimità d’amore che implica di essere persone amabili (p. 75). Non sono la verginità, la coniugalità o la ministerialità che generano l’amore ma è l’amore che genera l’una e le altre (p. 82).
Il lettore non mancherà di segnarsi l’una o l’altra frase o di scegliersi i capitoletti che vanno dritti a toccare la sua sensibilità, come accade quando si leggono i libri sapienziali. Non conta la rigorosità dell’apparato intellettuale e, meno ancora, va ricercato un puntiglioso ordine schematico che si vuole logico. La logica della sapienza è diversa imprevedibile. Come imprevedibile è l’invito dell’A. ai vescovi: siano, senza restrizioni, dei veri contemplativi.
Ecco, un po’ più di vescovi, e non solo loro, del disimpegno (verso un’attivismo frenetico) e della Trinità, come da sempre, con affettuosa ironia, è descritto mons. Ferrari.
Monsignor Pino Scabini
CARLO FERRARI, Il Dio cristiano.
Testimonianza di un vescovo emerito,
Schena editore, 1987, pp. 102. Si trova presso l’editore, Fasano di Puglia (Bari).
“Segno Sette”nel mondo” Settimanale dell’ACI. Anno 5- N.28- 24 Luglio 1987 Pag 15