La semina di Monsignor Carlo Ferrari
nella stagione del dopo Concilio
4 Novembre: la diocesi mantovana festeggia il 40° di ordinazione episcopale del vescovo emerito. L’occasione é un invito a confermare e a rivedere i criteri che informano il cammino della nostra chiesa
“Ricordatevi dei vostri capi i quali vi hanno annunziato la Parola di Dio”. Il ricordo, a cui ci invita la lettera agli Ebrei, non è solo espressione di riconoscenza per i pastori che hanno speso la loro vita a servizio di una comunità, è anche una nota costitutiva della chiesa, che è “edificata sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù”.
La storia è costitutiva e normativa della chiesa, che vive di Gesù, “lo stesso ieri oggi sempre”, e della multiforme grazia che Egli ha distribuito “stabilendo alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero al fine di edificare il Corpo di Cristo”. In questa luce il quarantesimo anniversario della consacrazione episcopale di mons. Carlo Ferrari è un’occasione, da non lasciar perdere, non solo per dire grazie al Signore e a Lui, ma anche per riscoprire e valorizzare alcuni validi orientamenti del suo ministero pastorale, che ancora condizionano la vita della nostra chiesa.
Pertanto ritengo di fare cosa gradita e utile riconsegnando alla Cittadella la riflessione con cui nel 1985 accompagnai la celebrazione del cinquantesimo anniversario delI’ordinazione presbiterale di mons. Carlo Ferrari. Anche questo può essere un’esperienza di riconoscenza al Vescovo che ha guidato a Mantova la stagione del dopo-Concilio e una provocazione a confermare e a rivedere i criteri che informano il cammino della nostra chiesa.
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A me sembra che ci sia un motivo valido per riprendere alcuni punti del discorso pastorale del Vescovo Carlo Ferrari che oggi smette il suo ministero, un motivo che va al di là dell’omaggio doveroso e riconoscente da parte di una comunità, cui egli ha dato per diciotto anni il dono ricevuto dallo Spirito Santo.
Mi sembra che questo motivo consista non solo nel mettere in luce le ispirazioni profonde del magistero di un Vescovo, ma nel fornire criteri perenni di discernimento spirituale e pastorale per tutti gli operatori del popolo di Dio, siano essi presbiteri, religiosi, laici.
L’insegnamento magisteriale di mons. Ferrari precisa e approfondisce le ragioni e le corrette modalità di attuazione di questo rapporto tra pastorale e spiritualità, in cui sono coinvolti il quotidiano della nostra vita e le dimensioni personali interiori ed esterne e che ci costituisce, nella concreta situazione storica, appartenenti a Gesù, il Signore, e sua comunità di salvati pastoralmente operanti per promuovere un’esperienza cristiana accanto a noi.
Mi pare che particolarmente, anche se non esclusivamente, nei documenti raccolti in questa pubblicazione emerga che i criteri per comprendere la realtà (criteri valutativi) e per intervenire su di essa (criteri operativi) hanno come riferimento i doni e i contenuti dell’azione pastorale non imposti dal di fuori ma emergenti dal cammino spirituale delle persone che, se autentico, non può che essere molto attento alla storia. Mons. Ferrari ha fatto un preciso lavoro educativo in tal senso idoneo a formare un’unica struttura di personalità nel credente-operatore pastorale: una persona riuscita nella linea dell’esperienza religiosa di Gesù e perciò delle scelte operative di fondo.
Il discernimento, che non è solo una parola di moda ma un dono e un compito insistentemente comandato dalla Parola di Dio, si rivela particolarmente urgente, a dimensione comunitaria e personale, in certe epoche, in cui il termine “pastorale”, che già di per se contiene un ‘ ambiguità semantica, assume a livelli di progetti e di azioni ecclesiali, una notevole incertezza di primati, di metodi, di scelta di strumenti. Il Concilio Vaticano II ha segnato per tutta la chiesa una “svolta pastorale”: è l’unico Concilio della storia che si sia attribuito esplicitamente il carattere di “pastorale”. Ne è nata una discussione vivace, che è tuttora in atto, nel rapporto “teoria-prassi”. Non è una discussione accademica e inutile, ma serve a far riscoprire la stretta relazione tra il pensiero e l’agire soprattutto dentro la fede cristiana. La “Veritas” cristiana non è una verità solo “contemplanda”, da contemplare; è una verità “facienda”, da realizzare; e facendo la verità non solo si attinge luce, ma si contribuisce ad accendere luce.
Questo rapporto diventa più evidente nei momenti in cui la chiesa è chiamata ad aggiornare la sua azione pastorale perché mutano le situazioni e i tempi. Nel momento stesso in cui ci si accorge di trovarsi in situazione nuova, è già messa in atto una interpretazione nuova della fede e il “ripensare la fede” va di pari passo, e in mutua stretta correlazione, col “rinnovare l’azione”.
Il magistero del Vescovo Ferrari si è collocato con insistenza in questa dialettica contemplazione – azione sottolineandone, fino a sembrare eccessivamente ripetitivo, la primaria necessità per la vita della chiesa e per la sua missione salvifica, anche a costo di sembrare impacciato a riconoscere e a dare criteri normativi per istituire le scelte i comportamenti che costituiscono la pastorale. Il Vescovo non ha mai cessato dall’inculcare la vigilanza perché si evitasse l’equivoco di identificare la “pastorale” con l’agire “ecclesiastico” di fatto attuato senza rifarsi all’iniziativa di Dio in Gesù, unico insostituibile soggetto attivo sempre presente della salvezza. Non ha mai cessato di ammonire perché la pastorale non si identifichi con una mentalità efficientistica o peggio burocratica, ben consapevole che è lo Spirito che opera in modo imprevedibile e al di là di ogni progetto umano, anche se vero che Egli non ci esonera da una responsabilità di collaborazione programmatica con mete, metodi e verifiche che attestino la nostra docilità generosa disponibilità ai doni di Dio.
Una ermeneutica del Vaticano II
Sarei incline a pensare che il Vescovo, in questa sua insistenza, ha tentato di fare un’ermeneutica del Vaticano II, che non è un’operazione facile. La linea centrale, il culmine, il fastigio di tutto il Concilio Vaticano II è stata, a detta degli esperti, la Costituzione sulla Parola di Dio. Con essa i Concilio ha avuto la intuizione più grande e ha rinnovato, per la chiesa, tutta una linea operativa, davvero fondamentale: è la Parola di Dio che convoca la chiesa, è la Parola di Dio che nutre la chiesa; è la Parola di Dio che realizza la presenza del Signore Gesù in mezzo ai suoi fedeli. Di qui la convinzione di fondo per l’operatore pastorale che non si tratta di cominciare da capo, ma che la chiesa e la sua missione sono semplicemente in funzione dell’iniziativa prioritaria e antecedente di Dio, che precede e avvolge tutto nel suo mistero di salvezza. Altrimenti si aiuterebbe l’uomo a convincersi ancora di più che è l’uomo che salva e si salva. Tutto l’annuncio di mons. Ferrari è percorso da questo allarme, aiutandoci così a mettere in evidenza lo “specifico cristiano”, problema essenziale di una chiesa che vive, in un mondo che crea e sostiene sempre di più numerosi “luoghi di salvezza” in risposta ai vari bisogni delI’uomo, in un mondo in cui la chiesa deve accettare sempre di più come normale il “limite” di offrire il proprio dono, quello ricevuto da Cristo.
Mai come oggi la pastorale ha bisogno e urgenza di tornare al “Vangelo” perché oggi siamo più che mai chiamati a puntare su ciò che è ”specificatamente cristiano”.
Concentrarsi sull’essenziale
Mons. Ferrari ci ha insegnato che la pastorale deve oggi riconcentrarsi sull’essenziale per poter affrontare l’impresa dell’incarnazione nelle forme del passato, se sono ancora capaci di esprimere il dono di Dio, e in forme nuove se sono necessarie. La scelta pastorale da Lui fatta appare contrassegnata, qualcuno dice ridotta, a una insistente promozione di un cambio di mentalità: tale scelta ha imposto esigenze di freno agli impazienti e ha chiesto accelerazione ai pigri, e perciò appare incerta, lacunosa, poco concludente, ma contiene orientamenti di fondo verso traguardi di profonda novità. La preoccupazione del Vescovo è tesa a non creare rotture nei confronti della pastorale del passato nella consapevolezza che ciò comporterebbe l’emarginazione di una grande parte di operatori pastorali. Non è evangelico sopprimere persone e la pastorale non è un’impresa che prescinda dalle persone come protagonisti attivi. Senza passare attraverso il cammino lento delle convinzioni, della maturazione delle coscienze, si corre il rischio di perdere tutto annullando quello che resta senza avere già a disposizione concrete nuove possibilità.
Si può ritenere che mons. Ferrari abbia guardato lontano, senza fretta, perchè, come qualcuno ha detto, il Concilio è stato voluto da Dio più per “altri” che per noi. La scelta del Vescovo di Mantova in questo quasi ventennio si colloca dentro l’ermeneutica del Concilio prospettata da Papa Giovanni Paolo II specialmente nella sua enciclica “Redemptor hominis” col suo riferimento al 3° millennio, come approdo di un “avvento” in atto espresso efficacemente dal Vaticano II. «Le facili e affrettate rivoluzioni sarebbero delle pericolose infedeltà al Concilio, proprio perché lo ridurrebbero a provvisorio progetto di breve scadenza, mentre tutto porta a pensare che la fase attuale delI’umanità rappresenti una svolta storica di proporzioni inedite, eccezionali, e la fede cristiana sia chiamata a porsi in atteggiamento di umile prolungata attenzione in vista di un profetismo a caro prezzo e dai larghi orizzonti».
La scelta del “resto” fedele
In questa scelta pastorale in cui più che il no prevale il tentativo del sì, si colloca e si comprende la scelta del “resto”, cui il Vescovo ha scongiurato – «con il cuore in mano, da fratello, e con la grazia che lo sostiene» di dedicare «il meglio delle nostre energie, delle nostre capacità, della dedizione di noi stessi, per amore di nostro Signore Gesù Cristo», allo scopo di «cercare, suscitare, lievitare, curare seriamente, in un modo qualificato, costante, questo “resto” che c ‘è dovunque». «il cristianesimo – aggiunge il Vescovo – si propaga per “contagio” e il nostro ministero, a tutti i livelli, è una azione contagiante che deriva da una pienezza che trabocca e si comunica agli altri, si irradia negli altri».
In questa scelta pastorale della novità nella continuità attraverso il “resto” si collocano e si comprendono le scelte che sono state fatte con decisione così illuminata da precorrere i documenti della Cei o da avvertirne subito I ‘urgenza e attuarne le indicazioni con richiami così martellanti da sembrare il ritornello di uno che non ha più niente da dire: la scelta della catechesi, la scelta della catechesi degli adulti, la scelta della famiglia. In queste scelte il Vescovo Ferrari ha manifestato quella preparazione e quella competenza che I ‘ hanno indicato alla CEI come atto a portare il suo contributo alla Commissione CEI per la fede, di cui fa parte dal 1979. Egli ha insegnato a parole e per scritto senza incertezze ciò che Giovanni Paolo II ha scritto in seguito nella Catechesi tradendae: «La chiesa in questo ventesimo secolo che volge al termine… è invitata a consacrare alla catechesi le sue migliori risorse di uomini e di energie, senza risparmiare sforzi, fatiche e mezzi materiali, per meglio organizzarla e per formare un personale qualificato».
Catechesi esperienziale
Alle parole e agli scritti ha aggiunto la costante esortazione ai sacerdoti perché, superando lo smarrimento determinato dalla nuova presentazione del messaggio cristiano fatta dai catechismi Cei, entrino nella comprensione di questi nuovi strumenti e su di essi preparino i catechisti, la cui formazione ha sempre promosso “come compito primario e di massima importanza” nella chiesa locale. E ha sempre accolto con grande disponibilità I’invito a tenere incontri di catechesi nelle parrocchie e nei gruppi per sostenere con i fatti quanto insegnava come maestro. Una catechesi che non è un semplice conoscere di più, ma un vivere di più: un aprirsi alla presenza di Dio, presenza operante che «immerge il cristiano nell’abissale realtà del mistero della profondità della concreta vita di Dio. .. La vita cristiana è graduale coscientizzazione e libera e impegnata accettazione di questa sconvolgente vocazione».
Tutti ricordiamo l’espressione ricorrente sulle labbra del Vescovo: «catechesi esperienziale».
La scelta degli adulti
Di una catechesi, qualificata così, i destinatari principali, non esclusivi, non possono essere che gli adulti. Il Vescovo, rilevato che l’azione pastorale nelle parrocchie, alquanto attenta alle nuove generazioni, è inadeguata alla situazione e alle esigenze degli adulti, ha visto con chiarezza quanto sia vero ciò che scriveva nel 1970 il Rinnovamento della catechesi: «Gli adulti sono in senso più pieno i destinatari del messaggio cristiano perché essi possono conoscere meglio la ricchezza della fede, rimasta implicita o non approfondita nell’insegnamento anteriore. Essi poi sono gli educatori e i catechisti delle nuove generazioni cristiane. Nel mondo contemporaneo, pluralista e secolarizzato la chiesa può dare ragione della sua speranza, in proporzione della maturità di fede degli adulti».
Siamo tutti testimoni delle innumerevoli espressioni di questa scelta pastorale uscita dalla bocca e dalla penna di mons. Ferrari che non ha esitato a dire ai suoi collaboratori pastorali, in primis ai sacerdoti: «Non è giusto impegnare tutte le nostre energie per catechizzare una età che è transitoria, che è soltanto preparatoria e di approccio, e lontana dal momento della responsabilità piena che esige la fede e la vita di fede. Motivato dunque risulta il nostro sguardo al mondo degli adulti, motivata la nostra preoccupazione per il mondo degli adulti, come motivati sono i primi tentativi di rivolgere la nostra azione, di dirigere il nostro ministero verso gli adulti».
La famiglia
La scelta degli adulti era già presente con chiarezza negli orientamenti pastorali di mons. Ferrari fin da quando all’inizio del suo servizio episcopale a Mantova ha guardato con particolare attenzione alla famiglia sia nella preparazione al matrimonio sia nella vita degli sposi e dei genitori. «La famiglia – insegnava mons. Ferrari – in comunione con Cristo e col popolo di Dio ha una capacità unica e un ruolo singolare per l’edificazione della comunità, per la sua esemplarità di comunione e la fecondità della sua grazia sacramentale. La famiglia nasce nella chiesa, si sviluppa con la chiesa, è finalizzata alla vita della chiesa e alla sua missione . La pastorale della famiglia è essenzialmente pastorale di chiesa ed è diretta a fare della famiglia un soggetto privilegiato di azione pastorale. La famiglia nella misura in cui matura secondo le dimensioni della fede e secondo la dimensione umana è il soggetto privilegiato dell’azione pastorale, perché è costituita da un sacramento specifico e dotata di una grazia unica sacramentale. La famiglia matura assume in proprio i problemi e i compiti della comunità ecclesiale».
E nel 1978 riprendeva con vigore e con l’urgenza di chi, prevedendo prossima la fine del proprio servizio, vuole portare più avanti possibile il solco già avviato: «Ora non sto a ripetervi chi e quando dobbiamo catechizzare. Vorrei che diventassero perentorie tutte le indicazioni che da anni abbiamo giudicate valide: vera catechesi dei genitori dei comunicandi e dei cresimandi, vera catechesi in preparazione del matrimonio, vera catechesi tra i gruppi familiari. Gli anni che mi rimangono da esercitare tra voi sono pochi (e potrebbero essere anche meno se Dio così dispone), ma vi assicuro che il meglio delle mie energie e il più delle mie insistenze le dedicherò a questo scopo. Se qualcuno si lamenterà non avrò che da rispondergli: questo è il dovere della chiesa, oggi».
Il centro e la periferia
Il Concilio ci ha educato a distinguere “centro da periferia” in tutta la realtà: quella trasmessaci dalla Bibbia, quella della chiesa in ciò che essa è stata lungo la storia ed è oggi, quella della storia religiosa dell’umanità e anche quella della cosiddetta storia profana. Il Concilio ci ha educato a ricondurre tutto e sempre al nucleo centrale, non livellando mai i valori cristiani con un procedimento di pura numerazione quantitativa senza valutazioni qualitative. Questa grande preziosa indicazione conciliare è stata intelligentemente raccolta dal Vescovo Carlo Ferrari e riproposta in tutte le variazioni possibili come maestro di vita spirituale e di azione pastorale. Soprattutto di questo, anche se non solo di questo, gli dobbiamo essere grati.
Mons. Osvaldo Mantovani
Dal settimanale “La Cittadella” 1 Novembre 1992
In occasione del 40° anniversario di Episcopato