20 Aprile 1990 – Chiesa matrice di Fasano
Comincio col ricordare fraternamente e con immensa tenerezza don Salvatore Carbonara, che aveva organizzato questa celebrazione e che il Signore chiamò improvvisamente a sé l’ 11 Aprile scorso, mercoledì santo.
Mi aveva detto per telefono – e fu l’ultima telefonata- : “il 20 Aprile non devi mancare”.
A lui che viveva la sua spiritualità radicata nella risurrezione di Cristo rivolgiamo la preghiera che ricordi al Signore questa santa Chiesa e ottenga dal buon Dio sante vocazioni sacerdotali e religiose.
Giovani amici del Cristo, dico a voi: don Salvatore deve essere sostituito. Spetta a voi sostituirlo. Pensate seriamente che il Signore forse proprio stasera sta bussando alla porta del cuore di qualcuno di voi per chiedervi la vita tutta quanta.
Se vi chiede la vita dategliela: il Signore é un amico che non delude e saprà ricompensarvi come sa fare lui.
Ma addentriamoci nella liturgia di stasera.
Il messaggio della risurrezione si pone da se steso come segno di contraddizione: mentre attira alla fede che esso stesso dona a chi si converte, nello stesso tempo provoca la reazione di chi si erige contro si esso, sordo al suo appello liberatore.
Proprio come per i sadducei di cui nella prima lettura, che erano irritati per il fatto che gli apostoli insegnavano al popolo e annunziavano in Gesù la risurrezione dai morti.
Davanti alla ricchezza della potenza terrena, e dell’intelligenza umana Pietro, la Chiesa, inerme e umanamente sprovveduta, ha solo il tesoro della sua povertà che attira su di lei l’unica e invincibile forza dello Spirito Santo.
La forza della risurrezione, agisce prima che su coloro a cui é diretto il messaggio di salvezza, su coloro che lo annunciano, convertendo la loro limitatezza umana in coraggiosa franchezza. Gesù di Nazareth, crocifisso dagli uomini e risuscitato da Dio, é vivo e agisce; non solo risana i malati ma trasforma la debolezza e l’ingenuità dei suoi in una sicurezza che si impone a tutti anche ai meno disposti a riceverla.
La pietra scartata e rigettata dai costruttori é diventata la pietra angolare che regge l’edificio della Chiesa e trasforma la sua fragilità in fermezza, la sua povertà in forza anche nei più piccoli dei suoi figli. “Questo é stato fatto dal Signore; é una meraviglia i nostri occhi”.
La Chiesa é sorretta, custodita, salvata da Cristo. Gesù di Nazareth é l’unica salvezza: “Non c’é sotto il cielo altro nome dato agli uomini in virtù del quale noi possiamo essere salvati”. Dobbiamo varcare anche noi , qui e adesso, la soglia del tribunale dove Pietro e Giovanni, cioè la Chiesa, al suo primo sorgere, sono di fronte alla massima autorità di allora; rivivere anche noi nella sua linearità la scena grandiosa in cui la Chiesa é per la prima volta accusata e tratta in giudizio. Dobbiamo attingere dalla fede dei discepoli il coraggio libero e franco del loro atteggiamento, dato dal messaggio che anche noi siamo chiamati a riascoltare e a fare nostro: il messaggio che Pietro ha rivolto alla più alta assemblea di Gerusalemme e a tutto il popolo di Israele.
Quante volte la nostra poca fede ci ha reso inermi e pavidi in situazioni meno difficili di quella in cui sono ora i discepoli! E non abbiamo trovato in noi le parole dello Spirito perché non abbiamo lascito agire il germe della risurrezione, non abbiamo avuto il coraggio della lealtà che nasce dalla convinzione che Cristo solo é la nostra forza, la pietra su cui riposa la Chiesa, cioè noi che siamo la Chiesa.
Per accorgersi che in nessun altro vi é salvezza non é necessario un lungo cammino, ma molta disponibilità e molto abbandono: una disponibilità che ci rende aperti alla grazia del risorto fino a che essa irrompa e ci riempia la vita, illuminando tutto il nostro essere e trasformando la piccolezza delle nostre persone nella grandezza che irradia dalla forza della verità.
Nella sua presenza discreta e luminosa così come appare ai discepoli sulle rive del lago di Tiberiade, la vicinanza di Cristo infonde forza alla Chiesa e la guida al di là di tutte le possibilità umane. La fatica dell’uomo sempre dura, spesso vana, diventa più leggera e fruttuosa; i mezzi umani fragili e deboli, diventano infrangibili e forti: la povertà della Chiesa é colmata dalla vivificante presenza del suo Signore. Non solo: essa rende anche gli uomini più uniti gli uni agli altri nell’unico legame a lui, diverse possono essere le loro risposte al suo appello – vibrante e delicata come la tenerezza intuitiva e penetrante di Giovanni; risoluta e impetuosa come l’amore ardito e generoso di Pietro – ma unica é la comunione nella intimità della Chiesa che vive di Cristo.
Qualcuno forse sta pensando: ma il vescovo Martino ha dimenticato lo scopo per cui siamo convenuti qui stasera, si é lasciato prendere la mano dalla liturgia del giorno.
No. Non ho dimenticato che siamo qui per ringraziare il Signore per gli ottanta anni di vita di Monsignore Ferrari e non ho dimenticato i suoi imminenti 55 anni di sacerdozio (29 giugno) e i suoi prossimi 40 anni di episcopato (15 giugno 1992). Mi é stato ingiunto di non abbandonarmi a facili elogi: Tutto dono di Dio – ha tenuto a precisarmi Mons. Ferrari – tutto é dono del Signore.
Ma se avete buona memoria vi sarete accorti che ho onorato questa fausta ricorrenza del compleanno, riproducendo nell’omelia -come ho saputo fare- i pensieri che gli erano più consueti e più chiari.
Vi ricordate come diventava vibrante quando ci parlava del mistero della Chiesa?
E vi ricordate quando ci diceva che essere figli di Dio non é una pia affermazione ma é la sostanza della vita cristiana?
E della festosa scoperta che andava facendo giorno per giorno della persona e della missione di nostro Signore Gesù Cristo?
E dello Spirito Santo presente nella Bibbia dalla prima pagina all’ultima?
E del nostro intimo rapporto con il Padre e con il Figlio e con lo Spirito Santo?
E, a proposito della comunione cui ho accennato nella omelia, vi ricordate come insisteva che per lui era molto più importante che ci fossimo voluti bene fra noi, che avessimo voluto bene a lui?
Ricordiamoli questi insegnamenti. E’ bello ricordare. Ricordare é pensare con amore; ricordare é far salire di nuovo dal cuore.
Ebbene, fratelli e sorelle, credo che tutti i nostri sentimenti si possono riassumere egregiamente nel salmo responsoriale di stasera
“Celebrate il Signore perché é buono:
perché eterna é la sua misericordia.
Ecco l’opera del Signore:
una meraviglia i nostri occhi.
Questo é il giorno fatto dal Signore:
rallegriamoci ed esultiamo in esso (Sl 127, 1-23-24).
A Mons. Ferrari che ha raggiunto questo bel traguardo come una quercia salda e annosa, auguriamo con le parole del profeta Isaia che per il restante della sua vita, che speriamo lunga lunga, possa essere “quercia di giustizia, piantagione del Signore, per manifestare la sua gloria” (Isaia 61,3).
Così sia.
Mons. Martino Scarafile sacerdote di Monopoli e vescovo di Castellaneta
(Archivio privato)