“Eccellenza Reverendissima e Cari Confratelli, considero una grazia del Signore – ha esordito Mons. Amari – essere tra voi, come uno di voi, a concelebrare l’Eucaristia in questa Chiesa Cattedrale, per ricordare il 50.mo anniversario dell’ordinazione presbiterale del nostro amato Vescovo.
Il ritorno tra voi in questa Cattedrale suscita in me profonda risonanza di ricordi, ma soprattutto desta viva riconoscenza al Signore per gli innumerevoli doni ricevuti da questa Chiesa: tutto devo a questa madre generosa, al suo presbiterio, ai suoi eletti pastori: I’indimenticabile Vescovo Domenico Menna, padre del mio sacerdozio; il Card. Antonio Poma che mi riservò fiducia e paterne attenzioni, e il nostro Vescovo Carlo, dalle cui mani ricevetti, 12 anni or sono, la pienezza del sacerdozio.
Parlare di Lui in questa sua ricorrenza giubilare non è per me compito facile. Penso, tuttavia, di interpretare fedelmente i vostri sentimenti se prima di tutto gli esprimo la nostra gratitudine riconoscente; la nostra ammirazione e la gioia per il traguardo raggiunto e, con altrettanta schiettezza, anche il rammarico per non aver sempre compreso e adeguatamente ricambiato il suo costante e paziente amore.
Vorrei poi ripercorrere la storia di questo lungo viaggio sacerdotale che passa attraverso profonde trasformazioni e soprattutto attraverso quel grande avvenimento del Concilio Vaticano II° che, ha impresso una svolta decisiva nella sua vita di Pastore.
Inno di lode e di ringraziamento a Dio
Ma noi tutti, alunni assidui del suo insegnamento sappiamo che, in questa celebrazione, non potremo raggiungere il segreto della sua anima, né con l’espressione di sentimenti umani, pur doverosi e a lui graditi, né con il racconto di cinquant’anni della sua storia sacerdotale, pur evocatrice di incancellabili ricordi, ma solo facendo ricorso a quella Parola di Dio che dimora nella cella interiore del suo cuore e che splende sulla cattedra del suo magistero. Attingendo ad Essa, infatti, per 18 anni, con insistenza ci ha insegnato il primato assoluto della iniziativa di Dio, che ci chiama a partecipare al mistero della sua vita divina, comunicata a noi in Cristo mediante il suo Spirito.
“Queste sono state le linee portanti, quasi una sintesi del mio ministero tra voi” ci ha confidato recentemente. “Sono l’anima del magistero e del ministero di un Vescovo che può anche scomparire, ma il suo insegnamento deve rimanere, chiunque venga dopo di lui, perché è stato insegnamento fedele alla Chiesa, alla Parola e allo Spirito che vivono nella Chiesa, perché ha creduto e si è affidato, questo Vescovo, più alla forza dello Spirito che agli accorgimenti umani „
(cfr. Cittadella, 31/3/1985) .
Per questo mi e parso opportuno scegliere come prima lettura di questa liturgia il mirabile inno di S. Paolo che troviamo nel prologo della lettera agli Efesini, e che il nostro Vescovo ci ha commentato con tanta frequenza e predilezione.
In esso l’Apostolo dispiega il vasto movimento del piano di Dio scandito nelle sue tappe – le quali hanno il loro approdo finale nel mistero di Cristo – con un incalzare di immagini e di termini che sembrano premere e accumularsi e che solo si placano nell’adorazione finale: “a lode della sua gloria”. L’adorazione e la lode a Dio riempie, perciò, di riconoscenza e di gioia il nostro cuore, come ci ha suggerito il salmo responsoriale. Anche Gesù, tutte le volte che prega a voce alta, manifesta i suoi sentimenti di esultanza e di ringraziamento al Padre. È ciò che ci ha rivelato il breve brano di Luca, I’evangelista della gioia: “In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: ‘Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra’„ (Lc 10, 21) .
Pertanto, per essere in sintonia con i sentimenti del nostro Vescovo, la Chiesa mantovana eleva oggi assieme a Lui l’inno di lode a gloria di Dio. Questa è la Chiesa che ci ha presentato il Concilio: “un popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo „ (LG 4) , spazio nel quale Cristo, nell’azione incessante dello Spirito continua ad adorare e glorificare il Padre. Tema questo che il nostro Vescovo non si è stancato di proporci con calore in quei discorsi che erano da noi talora ritenuti astratti e naviganti nel mare dei misteri lontani dalla concretezza della vita.
Il Mistico
Per lui, invece, contemplare l’esistenza umana proiettata nel mistero dell’amore trinitario, era motivo di felicità. E di tale felicità ha voluto far partecipi i suoi sacerdoti e soprattutto i giovani che si preparavano al sacerdozio. A tale riguardo è ancora vivo in me il ricordo dei due corsi diesercizi spirituali da lui tenuti ai chierici di teologia del nostro seminario nel 1969 a Genova, e nel 1972 presso il convento dei Padri Carmelitani. Ma non di meno si può dire delle sue omelie in Cattedrale e delle meditazioni dettate nei giorni di ritiro o nelle svariate circostanze in cui si incontrava con i sacerdoti, le religiose e i laici: anche sotto una parola talvolta disadorna abbiamo sempre avvertito un cuore che diceva solo cose che erano frutto di esperienza vissuta.
Ma forse vi è una pagina che fra tutte racchiude, come in compendio, questa sua esperienza di Dio e l’ha voluta consegnare ai suoi futuri presbiteri durante il corso degli esercizi spirituali a Genova: vibra in essa un lirismo che sorprende in un vescovo sempre così sorvegliato, ma che ha radici in quella sua connaturale propensione alla vita spirituale, della quale è stato sempre maestro fin dai suoi primi anni di ministero sacerdotale. Ascoltiamolo.
“lo non esistevo: il Padre in atto infinito della fecondità del suo amore mi crea e fa di me un essere meraviglioso, mi ricrea e fa di me un essere più stupendo. Io mi vengo a trovare nella corrente e nel prolungamento dell’atto d’amore infinito con cui il Padre genera il Figlio da tutta l’eternità e per sempre; la mia sorte è indissolubilmente legata al disegno nel quale Cristo è il primogenito di tutta la creazione, di tutti i fratelli e capo del Corpo che è la Chiesa… Quando io prego, a poco a poco, in Cristo e per l’adesione dello Spirito Santo, io prendo coscienza, io acquisto la certezza, io sono preso dallo stupore e dalla incredibile gioia che Dio è il mio Padre; che tutto ciò che esiste, il mio Padre l ‘ha fatto per me… Mi accolgo dalle mani del Padre che mi crea ininterrottamente e mi fa nuovo ad ogni istante; accolgo con gratitudine che Dio sia mio Padre; accolgo il dono del Figlio consegnato per me alla morte e risuscitato; accolgo il dono dello Spirito, luce, forza, fuoco della mia esistenza; accolgo il dono della sua Parola con cui mi crea, con cui si intrattiene con me e come un amico, con cui mi introduce nei suoi segreti…”, (Giorni di Preghiera, p. 58 ss.) .
In questa pagina si scorge la sua anima di Vescovo mistico che cerca di raggiungere le alte vette per respirare negli spazi di Dio, non tuttavia da solitario rocciatore, bensì come guida di una lunga cordata, al fine di farla partecipe della ineffabile esperienza. Tale visione contemplativa però non è disgiunta in lui dalla dimensione ascetica, dalla condivisione cioè al mistero della sofferenza e della croce di Cristo.
« Essere con Cristo – precisa il Vescovo ai suoi futuri presbiteri è essere con lui nell’annientamento. Di Gesù si dice: ‘Annientò se stesso’. Annientamento del nostro io, edificato dal peccato, per edificare al suo posto ‘I’uomo nuovo’, ‘vivo’. È necessario che si compia questa distruzione, e perché ci sia in noi pienezza di vita è indispensabile non solo accettare, ma abbracciare la croce: fare della crocifissione di noi stessi uno stile di vita. Crocifissione è allora l’obbedienza: crocifissione è la castità; crocifissione è la carità che per il prete, si fa sotto ogni forma sempre donazione agli altri » (cfr. ibid., p. 88 ss.)
Il Pastore
Si avverte così che il cuore del Vescovo è sì talmente posseduto da Dio da essere orientato a Lui, ma non lascia alle sue spalle i fratelli che il Signore gli ha affidato come buon Pastore. Se è vero, infatti, che quasi con istintiva naturalezza si affaccia sulla finestra del trascendente per contemplare il mistero di Dio infinito e ineffabile, non dimentica di affacciarsi pure alla finestra di un altro mistero, più esiguo certamente, ma pur esso mistero inesauribile, quello dell’uomo, e vi si affaccia con tutta la ricchezza della sua umanità, pur avvolto da tanta discrezione e pur nei limiti di temperamento che ogni persona porta con se. Venendo tra noi così si e presentato: “Sono uno come voi, e come in tutte le persone, particolarmente nella mia, c’è la scorza e il legno. Vi prego di non impressionarvi della mia scorza. So che è ruvida, so che è piuttosto dura, però il legno è discreto”. (Da Dio a Dio, p. 224)
Alla scorza, Eccellenza, ci siamo abituati; la bontà del legno si e andata rivelando giorno dopo giorno, in occasioni le più varie, in episodi noti e segreti. La sua delicata sensibilità umana ce l’ha rivelata soprattutto nel paziente ascolto e nella fiducia che inesauribilmente concedeva: “Preferisco sbagliare nel dare fiducia, piuttosto che pentirmi per non averla data ” disse all’inizio del suo episcopato.
Per me è un principio che corrisponde a me stesso questo e, mi pare, soprattutto al vangelo. So che è rischioso e può preparare a delusioni. Ma accendere una scintilla di fiducia in una persona e alimentarla è il più grande aiuto che le si può dare „. (ibid., p. 25)
E tanta fiducia ha dato ai suoi collaboratori, riservando a se soprattutto il ministero dell’annuncio. Convinto, infatti che il Vescovo non può fare tutto, deve fare una scelta in favore dell’aspetto prioritario della missione della Chiesa, quella cioè della predicazione del Vangelo. (cfr. ibid., p. 223)
L’annunciatore della Parola di Dio
Mons. Ferrari pur non essendo un « teologo », è un appassionato della teologia; pur non essendo un « esegeta », è un documentato e attento lettore del Libro Sacro, e, per inclinazione d’animo, un finissimo cultore dei classici della spiritualità cristiana, come traspariva dalla sua predicazione, alla quale si preparava con cura diligente e con studio assiduo di cui sentiva l’esigenza. Ricordiamo tutti la sua richiesta espressa in una battuta di spirito: “lasciatemi il tempo di studiare”. E’ questa una convinzione radicata in lui; e la espresse con tono di paterna bonarietà, ma anche con calore in occasione della mia consacrazione episcopale: “E non fategli perdere tempo” – si rivolgeva ai fedeli e sacerdoti cremonesi presenti al rito – perché figuri nelle cerimonie ufficiali, perché benedica il campanile o il nuovo impianto di elettrificazione delle campane. Chiamatelo perché da buon pastore vi possa conoscere, perché possa ascoltare tutti. Liberatelo da tante altre incombenze, dategli il tempo di pregare perché attinga e si carichi della luce e della forza del vangelo, dategli il tempo di studiare »[1] . (cfr. ibid., p. 283)
Annunciatore instancabile della parola di Dio lo è stato in ogni parrocchia, e in varie circostanze; lo e stato soprattutto nella Chiesa Cattedrale ove, quando il Vescovo celebra, risplende “la più fulgida immagine di Chiesa” (cfr. SC 41) . L’ha annunciata da questa cattedra che fu quella di S. Pio X.
Fra poche ore, nel pomeriggio, mi troverò a Riese ad accogliere con i Vescovi del Triveneto il Successore di Pietro che viene pellegrino ad onorare S. Pio X nei luoghi che gli dettero i natali 150 anni fa. Ma a Papa Sarto non è meno legata la nostra Chiesa di Mantova che lo accoglieva pastore 100 anni or sono. Questa cattedra risuona ancora dei suoi insegnamenti; questo Duomo raccoglie e trattiene – per così dire – il respiro vivo della sua presenza.
Celebrando la sua festa il 21 agosto 1976 il nostro Vescovo diceva che giunge sempre, come per i Papi, anche per i Vescovi, il momento dell’esame. Non è un esame sulla scienza – precisava – sulle capacità umane, sul prestigio o su qualche altra dote che deriva – come si esprime il vangelo -dalla carne o dal sangue. E’ un esame sull’amore di Dio: “Simone di Giovanni mi ami tu?” E la risposta del nostro Vescovo Carlo è in consonanza con quella del suo predecessore S. Pio X: “Si, Signore, Tu sai che io ti amo’”.
Caro Padre, per questo oggi, in un’ora di grazia e di gioia comune, a noi pare di poterLe dire che tale esame è stato da Lei felicemente superato, perché noi sappiamo bene quanto Lei ama il Signore Gesù e quanto ha amato in questi 18 anni il gregge che Le è stato affidato. E noi affidiamo questi nostri sentimenti alla Madonna Incoronata Patrona di Mantova.
Mons. Giuseppe Amari, Vescovo di Verona
“La Cittadella” del 23 Giugno 1985
“La Gazzetta di Mantova” 15 e 16 Giugno 1985