Martina Franca 1967 – Incontro con i sacerdoti – 13 –
Siamo un Corpo organico dove ciascuno deve tenere il proprio posto, dove ciascuno esprime l’azione di tutto il Corpo.
In questo ultimo giorno dell’incontro di grazia che il Signore nel suo amore infinito ci ha concesso, dispieghiamo un supplemento di impegno perché, facilmente, verso la fine di un corso di preghiera si può essere presi dalla stanchezza e può subentrare un po’ di distrazione e la tentazione di scambiare qualche impressione più o meno salvifica.
Vi do’ atto del vostro impegno dimostrato finora e della vostra serietà. Sia davvero benedetto dal Signore!
Terminiamo questo incontro dicendo qualche cosa del nostro ufficio sacerdotale di guidare il popolo di Dio: il nostro ufficio di pastori e di padri del gregge che a noi è affidato.
Leggiamo queste cose precise e chiare che il concilio ci propone e che valgono più di qualsiasi altra parola.
La Lumen Gentium 27 fa la solenne affermazione sull’ufficio di governare del vescovo che sviluppa l’altra del numero 21 sulla sacramentalità dell’episcopato, che mette fine – per dire così- alle discussioni e mette in chiaro alcuni punti della dottrina.
Lumen Gentium n. 19
” Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli voleva, e ne costituì dodici perché stessero con Lui e mandarli a predicare il Regno di Dio; e questi apostoli li costituì a modo di collegio”
Perciò in virtù della consacrazione e della comunione del Capo con le Membra del collegio episcopale!
Lumen Gentius n. 27
– A – I Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e legati di Cristo col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è il capo, come il servente.
Questa potestà, che personalmente esercitano in nome di Cristo, è propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in ultima istanza sottoposto alla suprema autorità della Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell’utilità della Chiesa o dei fedeli, possa essere circoscritto.
In virtù di questa potestà i Vescovi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all’apostolato.
-B- Ad essi è pienamente affidato l’ufficio pastorale ossia l’abituale e quotidiana cura del loro gregge, né devono essere considerati vicari dei Romani Pontefici, perché sono rivestiti di autorità propria e con tutta verità sono detti sovrintendenti dei popoli che governano.
La loro potestà quindi non è annullata dalla potestà suprema e universale, ma anzi è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché lo Spirito Santo conserva invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita nella sua Chiesa.
-C- Il Vescovo, mandato dal Padre di famiglia a governare la sua famiglia, tenga innanzi agli occhi l’esempio del Buon Pastore che, è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per le pecore.
Assunto di mezzo agli uomini e soggetto a debolezze, può benignamente compatire a quelli che peccano, per ignoranza o errore. Non rifugga dall’ascoltare i sudditi che cura come veri figli suoi ed esorta a cooperare alacremente con lui.
Dovendo render conto a Dio delle loro anime, con la preghiera, la predicazione e ogni opera di carità abbia cura di loro, e anche di quelli che non sono ancora dell’unico gregge, e li consideri a sé raccomandati nel Signore.
Essendo egli, come l’Apostolo Paolo, debitore a tutti, sia pronto ad annunziare il Vangelo a tutti e ad esortare i suoi fedeli all’attività apostolica e missionaria. I fedeli poi devono aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano d’accordo nella unità e crescano per la gloria di Dio”.
Presbyterorum Ordinis n. 7
– A – ” Tutti i Presbiteri, assieme ai Vescovi, partecipano in tal grado dello stesso ed unico sacerdozio e ministero di Cristo, che la stessa unità di consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei Presbiteri con l’Ordine dei Vescovi, che viene a volte ottimamente espressa nella concelebrazione liturgica; ed uniti ai quali, professano di celebrare la Sinassi eucaristica.
– B – I Vescovi pertanto, grazie al dono dello Spirito Santo che e concesso ai Presbiteri nella Sacra Ordinazione, hanno in essi dei necessari collaboratori e consiglieri nel ministero e nella funzione di istruire, santificare e governare il Popolo di Dio.
Il che è vigorosamente affermato fin dai primi tempi della Chiesa nei documenti liturgici, lì dove essi implorano solennemente a Dio sull’ordinando Presbitero l’infusione dello “spirito della grazia e del consiglio, affinché aiuti e governi il popolo con cuore puro”, proprio come lo spirito di Mosè nel deserto fu trasmesso a settanta uomini prudenti, con l’aiuto dei quali egli poté governare agevolmente la massa innumerevole del popolo.
Per questa comune partecipazione nel medesimo sacerdozio e ministero, i Vescovi abbiano dunque i Presbiteri come fratelli e amici, e stia loro a cuore, in tutto ciò che possono, il loro benessere materiale e soprattutto spirituale.
E’ ai Vescovi, infatti, che incombe in primo luogo la grave responsabilità della santità dei loro sacerdoti: devono pertanto prendersi cura con la massima serietà della continua formazione del proprio Presbiterio.
Siano pronti ad ascoltarne il parere, anzi, siano loro stessi a consultarlo e a esaminare assieme i problemi riguardanti le necessità del lavoro pastorale e il bene della diocesi. E perché ciò sia possibile nella pratica, è bene che esista nel modo più confacente alle circostanze e ai bisogni di oggi, nella forma e secondo norme giuridiche da stabilite – una commissione o senato di sacerdoti in rappresentanza del Presbiterio, il quale con i suoi consigli possa aiutare efficacemente il Vescovo nel governo della diocesi.
– C – I Presbiteri, dal canto loro, avendo presente la pienezza del Sacramento dell’Ordine di cui godono i Vescovi, venerino in essi l’autorità di Cristo supremo Pastore. Siano dunque uniti al loro Vescovo con sincera carità e obbedienza. Questa obbedienza sacerdotale, pervasa dallo spirito di collaborazione, si fonda sulla partecipazione stessa del ministero episcopale, conferita ai Presbiteri attraverso il sacramento dell’Ordine e la missione canonica.
L’unione tra i Presbiteri e i Vescovi è particolarmente necessaria ai nostri giorni, dato che oggi, per diversi motivi, le imprese apostoliche debbono non solo rivestire forme molteplici, ma anche trascendere i limiti di una parrocchia o di una diocesi.
Nessun presbitero è quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unir ele proprie forze a quelle degli altri Presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa”
Presbyterorum Ordinis n.6 I Presbiteri, educatori del Popolo di Dio
esercitando la funzione di Cristo Capo e Pastore per la parte di autorità che spetta loro, i Presbiteri, in nome del Vescovo, riuniscono la famiglia di Dio come fraternità animata nell’unità, e la conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo.
Per questo ministero, come per le altre funzioni del Presbitero, viene conferita una potestà spirituale, che é appunto concessa ai fini dell’edificazione.
Ma nell’edificare la Chiesa, i Presbiteri devono avere con tutti dei rapporti improntati alla più delicata bontà, seguendo l’esempio del Signore.
E nel trattare gli uomini non devono regolarsi in base ai loro gusti, bensì in base alle esigenze della dottrina e della vita cristiana, istruendoli e anche ammonendoli come figli carissimi, secondo le parole dell’Apostolo: « Insisti a tempo e fuor di tempo: rimprovera, supplica, accusa con ogni pazienza e dottrina»(2 Tim. 4, 2).
– B – Perciò spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori nella fede, di curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica secondo il Vangelo, a praticare una carità sincera e operativa, ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati.
Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se non sono volte ad educare gli uomini alla maturità cristiana .
E per promuovere tale maturità, i Presbiteri potranno contribuire efficacemente a far sì che ciascuno sappia scorgere negli avvenimenti stessi – siano essi di grande o di minore portata -quali siano le esigenze naturali e la volontà di Dio.
I cristiani inoltre devono essere educati a non vivere egoisticamente, ma secondo le esigenze della nuova legge della carità, la quale vuole che ciascuno amministri in favore del prossimo la misura di grazia che ha ricevuto, e che in tal modo tutti assolvano cristianamente i propri compiti nella comunità umana.
Ma, anche se sono tenuti a servire tutti, ai Presbiteri sono affidati in modo speciale i poveri e i più deboli, ai quali lo stesso Signore volle dimostrarsi particolarmente unito, e la cui evangelizzazione è mostrata come segno dell’opera messianica. Anche i giovani vanno seguiti con cura particolare, e così pure i coniugi e i genitori; è auspicabile che tali persone si riuniscano amichevolmente in gruppo, per potersi aiutare a vicenda a vivere più pienamente come cristiani nelle circostanze spesso difficili in cui si trovano.
Ricordino inoltre i Presbiteri che i religiosi tutti – sia uomini che donne – formano una parte di speciale dignità nella casa del Signore, e meritano quindi particolare attenzione, affinché progrediscano sempre nella perfezione spirituale per il bene di tutta la Chiesa.
Infine, abbiano cura specialmente dei malati e dei moribondi, visitandoli e confortandoli nel Signore.
– C – Ma la funzione di Pastore non si limita alla cura dei singoli fedeli: essa va estesa alla formazione dell’autentica comunità cristiana. E per fomentare opportunamente lo spirito comunitario, bisogna che esso miri non solo alla Chiesa locale ma anche alla Chiesa universale. D’altra parte, la comunità locale non deve limitarsi a prendersi cura dei propri fedeli, ma è tenuta anche a sentire lo zelo missionario di aprire a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo.
– D – Alla comunità, però, incombe il dovere di occuparsi in primo luogo dei catecumeni e dei neofiti, che vanno educati gradualmente alla conoscenza e alla pratica della vita cristiana.
D’altra parte, non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della Sacra Eucarestia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità. E la celebrazione eucaristica, a sua volta, per essere piena e sincera deve spingere sia alle diverse opere di carità e al reciproco aiuto, sia all’azione missionaria e alle varie forme di testimonianza cristiana.
– F – Inoltre, mediante la carità, la preghiera, l’esempio e le opere di penitenza, la comunità ecclesiale esercita una vera azione materna nei confronti delle anime da avvicinare a Cristo. Essa infatti viene ad essere, per chi ancora non crede, uno strumento efficace per indicare o per agevolare il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa; e per chi già crede è stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale.
– G – Ma nell’edificare la comunità cristiana i Presbiteri non si mettono mai al servizio di una ideologia o umana fazione bensì, come araldi del Vangelo e Pastori della Chiesa, si dedicano pienamente all’incremento spirituale del Corpo di Cristo.
Abbiamo davanti a noi un quadro, una struttura destinata al compito più difficile, più impegnativo nella edificazione della chiesa, perché ha le sue difficoltà l’annuncio del vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. Quando c’è da parte nostra la fedeltà alla parola di Dio, fedeltà al linguaggio e alla sensibilità e alle esigenze degli uomini, si direbbe che tutto è fatto.
E’ impegnativo l’esercizio del ministero sacramentale. Anche qui, quando c’è una determinata fedeltà ed un impegno di catechesi per introdurre nel significato dei sacramenti che si amministrano, si direbbe che tutto è fatto.
Quando si tratta, invece, di guidare le persone così come sono:
– a inserirsi nel gregge unico di nostro Signore Gesù Cristo,
– a formare la famiglia dei figli di Dio ed essere come fratelli che si vogliono bene, – a essere nell’unico Corpo di Cristo, le membra tra loro organicamente comunicanti,
le cose si fanno molto più difficili.
La prima considerazione a nostro conforto è questa: il potere di guidare gli uomini perché seguano nostro Signore Gesù Cristo ci viene dalla sacra ordinazione.
Noi abbiamo una potestà di ordine soprannaturale – e non solo noi vescovi – nel senso che, possiamo stabilire delle leggi ecclesiastiche canoniche, ma non è la legge che salva.
La legge è una indicazione.
Noi siamo investiti dalla virtù dello Spirito Santo per essere illuminati:
da una saggezza soprannaturale,
da un tratto soprannaturale e poi
da una grazia che accompagna la nostra azione e si riversa su quelli di cui noi abbiamo cura.
Si dice per i superiori in genere che hanno la grazia dello stato per governare le loro comunità.
Va a sapere che cos’è la grazio dello stato!
Comunque così si pensa, ed è vero che il Signore dà gli aiuti in proporzione degli impegni,
ma qui c’è una grazia sacramentale,
qui c’è una capacità che opera ex opere operato.
Io non solo consacro l’eucaristia ex opere operato, ma guido il popolo santo di Dio ex opere operato.
Io sono padre e pastore per una grazia legata in modo sacramentale, e quindi certo, alla mia azione di padre e di pastore.
Quando io faccio il padre e il pastore in nome di nostro Signore Gesù Cristo,
Gesù Cristo è presente in me con la sua azione salvifica,
per aiutare me e gli altri dei quali io mi curo,
perché abbiano la luce, la forza, la capacità, il conforto per seguire ciò che io propongo.
Non so se penso rettamente ma come esperienza sacerdotale ritengo che:
quando questa guida del popolo santo di Dio diventa anche guida personale
che deve tendere alla vita comunitaria,
che deve tendere alla edificazione della chiesa,
si esercita in un modo più strettamente connesso con una azione sacramentale.
Per esempio, nel sacramento della penitenza. C’è più efficacia proprio nella mia azione di consigliere, di guida, di formatore di coscienze, di rivelatore della vocazione di ciascheduno, più di quanto non avvenga in un colloquio privato in sacrestia o in salotto,non soltanto per un motivo psicologico garantito dall’ambiente che si crea, ma io ritengo, per una grazia legata più sicuramente alla mia azione, in quanto è fatta più evidentemente nel nome di nostro Signore Gesù Cristo.
Risolvere dei grandi problemi di vita spirituale seduti in salotto, fumando o bevendo un bicchierino, porta lontano dal “signum”, – l’elemento esteriore che riveste la virtù soprannaturale- che fa della nostra azione una azione sacramentale.
Ritengo che, sia ad una distanza infinita l’azione di un Vescovo, che ordina e guida la sua comunità in forza della virtù sacramentale episcopale, da quella di un abate che guida e governa la sua comunità solo in forza di una benedizione ecclesiastica. E’ una situazione istituzionalmente diversa.
Istituzionalmente significa che la sacra ordinazione l’ha costituita Gesù Cristo come ministero di salvezza a cui lega tutta la sua forza redentrice; dall’altra parte c’è l’istituzione ecclesiastica la quale impegna tutta la sua intercessione, tutta la sua preghiera, perché le cose vadano bene.
E’ una cosa ammirevole, degna di considerazione e di rispetto, ma su un piano a grande distanza.
Quindi anche a grande distanza come misura di efficacia, perché la saggezza umana, la sapienza, la perspicacia, il giudizio, eccetera, sono rivestiti ed investiti della grazia e dell’azione dello Spirito Santo.
Ma evidentemente in queste azioni, che sono così personali, non basta che lo credano i fedeli e si accostino a noi con spirito di fede, credendo che noi esercitiamo le veci di nostro Signore Gesù Cristo.
L’abate in mezzo alla sua comunità “vices Christi gerit”. Tanto più per il vescovo, tanto più per il sacerdote in forza del sacramento, ma non basta – ripeto- che questo lo credano i fedeli.
E’ una cosa tanto legata all’essere della nostra persona che, anche noi dobbiamo crederlo. Anche noi dobbiamo unirci più intimamente a nostro Signore Gesù Cristo, perché non siamo noi che apriamo i cuori ma Cristo.
La grazia non proviene da noi ma da Cristo.
Siamo noi che dobbiamo metterci, attualmente, per quanto possibile sotto l’azione dello Spirito Santo perché sia lui ad agire.
Siamo noi che dobbiamo metterci in atteggiamento di umiltà e di servizio ai fratelli ma principalmente in atteggiamento di servizio allo Spirito Santo. Mihi opertet minui, illum autem crescere.
Deve trovare più posto lo Spirito Santo, di quanto non lo trovi il mio io con tutta la sua scienza, la sua saggezza, la sua esperienza, eccetera.
Agli antichi è stato detto, ma io vi dico.
Lo Spirito Santo può dire così.
Non noi!
Noi dobbiamo essere nell’atteggiamento di chi crede che, più sarà evidente la debolezza dello strumento, più sarà efficace l’azione dello spirito santo. Gloria.. in me ut inabitet in me Christus..()
C’è un’altra cosa da mettere in evidenza: noi partecipiamo all’unico sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo e siamo in una comunione gerarchica: la comunione al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo secondo un determinato grado per i vescovi, per i Presbiteri e per i diaconi.
Siamo sulla stessa linea in posizioni diverse.
Quelli a cui nostro Signore Gesù Cristo ha affidato il gregge sono gli apostoli ed i loro successori, i quali si servono della necessaria collaborazione dei presbiteri e dei diaconi dove ci sono.
I documenti del concilio tante volte affermano che il presbitero rende in certo qual modo presente il vescovo nella comunità cristiana, in quella porzione della diocesi che è la comunità locale in particolare la parrocchia.
Il sacerdote a cui questa comunità è affidata, fa le veci del vescovo.
I presbiteri annunciano la parola di Dio, celebrano l’eucaristia, amministrano gli altri sacramenti e guidano il popolo di Dio nel nome del vescovo.
Qui non si tratta di passare da un’epoca di papalismo a un’epoca di episcopalismo, ma di rispettare la natura sacramentale dell’istituzione voluta da nostro Signore Gesù Cristo per pascere il gregge di Dio.
Abbiamo detto e ripetuto ed insisto che:
il carattere della chiesa,
la nota fondamentale ed essenziale della chiesa,
la meta cui deve tendere con tutti gli sforzi
è l’unità.
Abbiamo anche accennato all’altra affermazione: tutto ciò che vi è nella chiesa ha una natura sacramentale analoga al mistero dell’incarnazione di Cristo, Figlio di Dio fatto uomo.
Il Figlio di Dio non si vede con gli occhi, ma ha voluto essere visto, udito e toccato. Perché gli uomini hanno occhi, orecchie e mani, hanno cioè una natura corporale sensibile, che non è soltanto strumento dell’anima ma fa parte integrale della natura umana.
Nel Credo diciamo: crediamo nella risurrezione della carne.
Anche per questo non c’è soltanto la salvezza dell’anima ma la salvezza dell’uomo. Il Verbo di Dio si è fatto uomo perciò le realtà della fede sono corporali, sensibili, vivificate attraverso i segni, e quindi di natura sacramentale.
L’unità della chiesa, la nota fondamentale dell’istituzione di nostro Signore Gesù Cristo, deve essere significata in modo visibile, constatabile, sperimentabile.
Il perno dell’unità della chiesa verso cui deve tendere tutta la nostra azione sacerdotale, dal ministero della predicazione a quello dei sacramenti e della direzione del popolo di Dio, deve essere espressa in modo sensibile.
Il perno dell’unità di tutta la chiesa è il sommo pontefice.
Il perno dell’unità della chiesa, particolare, è il vescovo.
Il perno dell’unità della chiesa universale è espresso dalla collegialità di vescovi: dalla comunione dei vescovi tra di loro e con il loro capo che è il sommo pontefice.
C’è una ragione sacramentale ecclesiale del vescovo reso presente nelle comunità, dalle azioni salvifiche che si compiono in nome del vescovo dai sacerdoti che fanno le veci del vescovo.
Non è episcopalismo! E’ ecclesiologia!
Questo è importantissimo ai fini dell’unità.
Questo è inscindibile dalla possibilità dell’edificazione della chiesa.
La chiesa si edifica nell’unità e ci deve essere questo termine visibile verso cui camminare, dal quale termine visibile si dispiegaquesta unità in senso discendente e in senso ascendente:
discendente nella forza della grazia sacramentale,
ascendente nello sforzo morale di corrispondere a questo disegno della volontà di Dio.
Qui non si tratta di recitare la poesia quando il vescovo viene nelle parrocchie.
Qui non si tratta di chiamarlo eccellenza.
Se vogliamo guardare il vangelo, come abbiamo accennato per altri appellativi, “nessuno vogliate chiamare padre qui sulla terra perché unus pater vester qui in coelis est.
Non è il trono, non è l’inginocchiatoio con i cuscini rossi!
Certo, qualche segno ci vuole, ma deve essere conformi al senso del mistero dell’incarnazione, che è un mistero di povertà, di umiltà, di servizio, ma è un mistero di realtà
Se la nota dell’umanità deve caratterizzare qualsiasi espressione di vita cristiana, come deve essere forte, chiara, decisa questa umanità nel vescovo!
Un certo apparato giuridico ha nascosto le realtà soprannaturali.
Non è detto che nella chiesa non ci voglia il diritto.
Ci vuole.
Ha la sua funzione però, a volte, l’apparato soffoca il contenuto.
Il concilio ha ridimensionato notevolmente le cose:
Sacrosanctum Concilium n. 42
“Poiché nella chiesa il vescovo non può presiedere personalmente sempre ed ovunque l’intero gregge”
è una situazione di fatto, non può, ma se potesse sarebbe l’ideale-”
deve perciò costituire delle assemblee di fedeli tra cui hanno un posto preminente – non esclusivo- le parrocchie organizzate localmente sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti rappresentano in certo qual modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra”
Qui il parroco sono io e qui sono tutto. E’ un atteggiamento più o meno cosciente, esplicito espresso…i confini… i diritti della parrocchia!
Sacrosanctum Concilium n. 41
“Il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del gregge: da lui deriva e dipende in certo qual modo la vita dei suoi fedeli in Cristo.
Ricordate il giubileo indetto dal papa? Era significativo.
Perciò tutti devono dare grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale: convinti che c’è una speciale manifestazione di chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri”
Notate che queste sono affermazioni fatte da un concilio in una costituzione e non in un decreto.
A volte qualcuno dice: questa è teoria.
No.
Questa è istituzione divina.
Viene, di sua natura, una considerazione: allora i preti che cosa fanno?
L’obbedienza dei preti!
Questa obbedienza sacerdotale pervasa dallo spirito di collaborazione si fonda sulla partecipazione stessa del ministero episcopale, conferita ai presbiteri attraverso il sacramento dell’ordine e l’ammissione canonica.
Siamo un Corpo organico dove ciascuno deve tenere il proprio posto, dove ciascuno esprime l’azione di tutto il Corpo.
Io tocco, parlo, cammino,
L’io profondo, vero e reale, è Cristo.
E Cristo se non può essere diviso nelle chiese, tanto meno deve essere diviso nei padri e nei pastori delle chiese.
Si dice: l’obbedienza è una diminuzione della dignità personale, della libertà di azione.
Se voi rendete presente il vescovo,
se fate le sue veci nelle comunità locali
– sia o non sia la parrocchia –
rendetelo presente bene con tutte le vostre prerogative personali.
Il vescovo nella diocesi, naturalmente, deve mettersi in testa che non è il più intelligente, non è il più furbo. Se lo pensa, tutti glielo fanno capire che non è il più capace. E se voi siete intelligenti, se siete intraprendenti e capaci, rendete bello il vescovo presente.
Ne volete di più?
Fate le veci del vescovo, ma se predicate bene, fate bene le veci del vescovo!
Celebrate bene? fate bene le veci del vescovo.
Siete padri buoni e ottimi pastori? Adempite bene le veci del vescovo.
Chi vi mortifica?
Forse il vescovo che vi viene a dire: predicate bene altrimenti mi fate fare brutta figura?
Non c’è nessuna diminuzione o mortificazione della dignità personale di ciascuno, tanto più che per l’unità dell’organismo ecclesiale, costituito nella chiesa locale, il vescovo nei sacerdoti ha i naturali consiglieri e collaboratori.
Quante volte il concilio afferma che il vescovo deve ascoltare i sacerdoti e interpellarli e tenere conto di quanto propongono!
Io capisco i vostri sorrisi, però mi permetto di dirvi, mettetevi nelle condizioni di dare dei buoni consigli al vescovo, di proporre delle idee che abbiano un buon contenuto, di dare dei suggerimenti a ragion veduta e motivati.
C’è un atteggiamento diffuso di cui dobbiamo allarmarci.
I seminaristi della scuola media dicono che il seminario di Taranto va male. I ragazzi di filosofia non vogliono andare a Molfetta e quello di teologia dicono che i superiori non capiscono niente.
Voi interpellate questi ragazzi e questi giovani per sapere che cosa vogliono e vi accorgete che non lo sanno.
Il loro è solamente un atteggiamento di scontento, che io riconosco anche giustificato, perché non è detto che tutto va bene.
Però, quando uno dice che le cose non vanno bene dovrebbe essere in grado di dire anche in quale modo potrebbero essere migliorate o modificate.
Un rettore di seminario mi diceva che all’inizio dell’anno, “per smontare i ragazzi”, avrebbe dato a loro un foglio per mettere per iscritto come vorrebbero organizzare il loro seminario, naturalmente tenendo conto delle finalità del seminario. E diceva il suo grande timore che non avrebbero scritto niente.
Ma intanto si creano degli stati d’animo di malcontento e di insoddisfazione!
Noi italiani abbiamo la prerogativa di dire le nostre cose a tutti.
In ogni diocesi si sanno tutte le cose di ogni sacerdote e si stabilisce un diffondersi di stati d’animo non razionalizzati, che non hanno consistenza, ma intanto si propagano e creano situazioni di malcontento.
Non c’è una situazione più deleteria ai fini dell’apostolato di un senso di malcontento diffuso.
Non si ha più fiducia nel superiore e nelle iniziative. Ed è grave.
Il demonio è furbo e non ci prende per altre vie, perché siamo seriamente impegnati nella nostra vita religiosa e morale. Ci prende attraverso queste piccinerie di stati d’animo irrazionali.
Bisogna evitarlo.
OM 100 Martina Franca_13 1967