incontro con i sacerdoti
Loano 15 – 19 Febbraio 1971
nella vita della Trinità Dio è nostro Padre e noi siamo i suoi figli.
Questa seconda meditazione vuole essere un approfondimento della prima.
Il Concilio che ha come tema fondamentale la Chiesa, il suo mistero, la sua natura, la sua esistenza, la sua missione, ha messo in evidenza l’unità della Chiesa. Il motivo di questa prima nota dominante della Chiesa, il Concilio lo trova nel mistero della Santissima Trinità ed esplicitamente, nel decreto sull’ecumenismo, al n.2, fa questa affermazione: “La sorgente e il modello dell’unità della Chiesa è la stessa unità di Dio in tre Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo.
Mi pare che siamo di fronte ad una grande novità, almeno, sempre riferita al “nostro” modo di concepire le cose. Abbiamo cercato i modelli nei santi. Abbiamo cercato il modello dei modelli in nostro Signore Gesù Cristo. E’ tutto vero anche questo, naturalmente, ma il modello della nostra esistenza, il modello della nostra vita e non soltanto il nostro modello ma la sorgente da cui deriva questo modello e da cui deriva la possibilità di vivere secondo questo modello è il mistero trinitario, è il mistero di un Dio solo in tre Persone: Padre Figliolo e Spirito Santo.
Qui il concilio ci aggiorna, ci fa compiere un passo in avanti, ci porta verso la sorgente. E’ significativo che tutti i documenti del Concilio, adeguandosi ad una teologia biblica e quindi anche ad un linguaggio biblico, mostrino sempre l’opera delle Divine Persone nella realizzazione della salvezza dell’uomo e di questo dobbiamo tenere conto e molto conto. Dico di più: sono queste le cose che decidono delle sorti del Concilio e non il latino o l’italiano nella messa o nell’Ufficio oppure la chitarra nell’accompagnamento della musica. Il rinnovamento del Concilio sta nel portarci nel vivo della storia della salvezza e quindi all’incontro con il Dio vero, che è Padre, Figlio, Spirito Santo.
Se vogliamo essere sinceri, noi, del mistero della Santissima Trinità ne abbiamo fatto un mistero e l’abbiamo lasciato in pace tranquillamente e raramente, difficilmente, solo quasi eccezionalmente l’abbiamo indotto nella nostra vita spirituale, l’abbiamo indotto nella nostra catechesi, l’abbiamo indotto come elemento di formazione della vita cristiana. La realtà è questa, Dio è questo e non è un altro: è Padre, Figlio e Spirito Santo. Noi ce la siamo cavata in un modo molto sbrigativo: ciò che è “ad extra, omnia sunt communia” e allora sia il Padre, sia il Figlio, sia lo Spirito Santo si arrangino un po’ loro. I nostri rapporti con Dio sono rapporti personali e terminano alla persona. La fede termina alla persona; la speranza si fonda sull’elemento personale; la carità, il “tu a tu” nell’amore è essenzialmente personale.
Che cos’è la Persona in Dio, che cosa c’è (esprimendoci in un modo improprio) di personale in Dio? Noi l’abbiamo studiato in un certo modo. Ci sono le relazioni, “relatio ad”. Il fatto costitutivo della persona divina è la propria relazione rispetto alle altre persone, è il proprio rapporto rispetto alle altre persone, è il modo di essere nei confronti delle altre persone. Noi non ci soffermiamo su questo punto anche se sarebbe di una certa utilità, per non dilungare le cose. Ritorniamo perciò alla meditazione di questa mattina.
Noi nei confronti di Dio siamo figli, perché Dio ci è Padre, ma siamo figli nel Figlio, sotto l’azione dello Spirito Santo.
– Qual è nel mistero trinitario la relazione del Figlio? E’ tutta riferita al Padre, perché la relazione è questa:
– il Padre totalmente del Figlio, – il Padre totalmente per il Figlio – il Padre talmente nel Figlio;
– il Figlio totalmente del Padre; – il Figlio totalmente per il Padre; – il Figlio totalmente nel Padre;
– lo Spirito Santo è totalmente del Padre e del Figlio – lo Spirito Santo é totalmente nel Padre e nel Figlio, – lo Spirito Santo é totalmente per il Padre e per il Figlio.
– Noi siamo figli nel Figlio. -Quindi: – il Padre è totalmente per noi, – il Padre è totalmente con noi, – il Padre è totalmente in noi.
Queste non sono delle affermazioni speculative. La storia ci dice questo: tutta la storia è totalmente per noi, “propter nos, et propter nostram salutem”, in un atto infinito di amore. Tutto si spiega, tutto esiste, tutto ha ragione di essere, tutto ha movimento, tutto ha vita, tutto ha finalità.
Il Padre è nostro, ci appartiene. Il segno della sua appartenenza è il Figlio totalmente donato a noi.
Il Padre si dona a noi nel Figlio, perché Lui, nel Figlio, è donato.
Nella vita trinitaria il Padre è tutto donato nel Figlio. Così il Padre è tutto in noi.
Il termine ultimo di tutto ciò che esiste è che Dio sia tutto in tutti.
L’attuazione del piano di Dio, l’attuazione del Regno di Dio è che cresca, per dire così, l’attuazione di Dio in tutti e in tutto.
Non escludiamo mai il resto della creazione nella quale siamo e viviamo.
Questo è il rapporto del Padre nei confronti del Figlio, questa è la “relatio ad” nello Spirito, naturalmente nell’amore.
Dio è tutto questo per noi.
La relazione del Figlio nei confronti del Padre: è di essere tutto del Padre, di non appartenere a sé. Il minimo atto – se così si potessero esprimere queste cose – di appartenere a se stesso, lo priverebbe del suo essere costitutivo. Riferite questo a noi in un atto di egoismo, di indipendenza da Dio. Il Figlio è tutto per il Padre, riporta tutto al Padre in un movimento infinito, interiore, universale, totale, esteriore.
Il Primogenito di tutta la creazione, il Capo del Corpo che è la Chiesa, coinvolge tutto e tutti in questo movimento ascensionale verso il Padre e per il Padre.
Egli non è per se stesso; Egli è tutto per il Padre; Egli è tutto nel Padre; e tutto e tutti hanno la loro consistenza in Cristo, “In eo omnia constant”,… “per quem omnia facta sunt”, e niente di ciò che esiste è stato fatto senza di Lui, tutto ha la sua consistenza intima in Lui.
Ma”consistere” vuol dire stare in, stare dentro nel modo in cui sta nelle persone viventi, vuole dire che sta nell’intimità dell’amore, nell’intimità della vita e nella unità della natura.
Tenete presente la distinzione tra il Verbo Figlio vero e noi figli per partecipazione nell’unità della natura. Il rapporto di Gesù Cristo, “relatio ad”, col Padre trasferito nel mondo, nel tempo, nello spazio, nella creazione diventa “relatio” nei confronti di tutte le creature.
Allora qual è la relazione del Primogenito verso le creature? In lui si incentra il duplice movimento: del Padre che va verso il Figlio e termina alle creature; del Figlio verso le creature che termina al Padre.
Gesù Cristo si ritrova in questo punto nodale dei rapporti tra Dio e gli uomini, è il pontefice di Dio che va verso gli uomini come Padre, e degli uomini che vanno verso Dio come figli.
Noi dobbiamo inserirci in questa relazione trinitaria: nel Figlio, inseriti nel Figlio, innestati nel Figlio, come tralci della vite che è il Figlio.
Noi andiamo a Dio come Padre, entriamo nella comunione di vita con il Padre, perché quella di Dio è una comunione di vita, è una partecipazione ad un’unica natura, “omnia sunt communia”, non ci sono prepoteri, tutto è comune.
Noi comunichiamo attraverso il Figlio con la vita del Padre. La nostra è una vita di comunione, allora è una partecipazione alla perfetta natura di Dio, “divinae naturae consortes”.
Qui siamo di fronte al mistero. Qui è inutile che ci arrovelliamo per andare a cercare delle definizioni. E’ un fatto che partecipiamo alla natura di Dio, che si compie un balzo nel nostro essere proprio di natura ontologica, che non siamo più noi -“dii estis”, perché partecipiamo alla natura di Dio, perché partecipiamo all’esistenza di Dio, perché partecipiamo al dinamismo della esistenza di Dio, che va dall’uno all’altro, dall’altro all’uno, nella vita, nell’amore, nell’azione al di là di tutto quello che noi possiamo pensare, al di là di quello che noi possiamo desiderare, totalmente al di là di ogni nostra capacità immaginativa. Entriamo in Dio, entriamo “in un tutt’altro”, nell’indicibile, nell’ineffabile, quindi nell’inesprimibile, nell’oscurità di una luce infinita, nel mistero.
Miei cari, stiamo attenti, noi, a furia di definizioni, di distinzioni e di tanti altri ammennicoli scolastici, abbiamo perduto il senso del mistero, dell’ineffabile, dell’inesprimibile, perché abbiamo voluto rinchiudere il tutto nei limiti angustissimi dei nostri concetti, delle nostre idee.
Le stesse definizioni dogmatiche sono vere, certissimamente vere, ma di una verità limitata. Le definizioni dicono un minimo della totalità del mistero, della totalità della verità dicono un aspetto soltanto, è molto di più quello che non dicono di quello che dicono. E’ molto di più quello che non affermano di quello che affermano, anche se quello che affermano è certissimamente vero.
Abbiamo impoverito Dio! Abbiamo impoverito la nostra religione. E guardate che, la nostra teologia – quando dico nostra dico sempre quella che ho studiato io sul Genicot – è un limite di povertà a cui è giunta tutta la nostra predicazione, quindi è un limite di povertà a cui è giunta la nostra teologia che non dice più niente di Dio e non dice più niente alla gente. Noi si usciva dagli studi di teologia con la presunzione di sapere tutto su Dio e invece avremmo dovuto prendere coscienza, al termine dei nostri studi, di teologia, di non sapere proprio niente, non niente di quello che avevamo studiato sui nostri manuali, ma niente di ciò che è Dio.
Quindi abbiamo perduto il senso dell’ammirazione, il senso dello stupore. Ma è più importante stupirci del mistero di Dio che essere santi! Bestemmio, ma voi siete intelligenti, capitemi, è più importante stupirci, meravigliarci, smarrirci nel mistero di Dio! Tutto questo noi l’abbiamo perduto, perché abbiamo ristretto Dio nell’angustia delle nostre definizioni e distinzioni.
Dicevo della partecipazione all’esistenza di Dio dove c’è tutta una comunione dell’armonia infinita, della maestà infinita, dello splendore infinito, della potenza infinita, della grandezza infinita, della bontà infinita, dell’amore infinito, della tenerezza infinita, della misericordia infinita. E noi ci siamo dentro. Dio con il suo linguaggio che è la creazione si rivela e noi, aprendo gli occhi in questi giorni al sole, provenendo dalla nostra nebbia, abbiamo la possibilità di ammirarne la ricchezza, la varietà, la grandiosità, la bellezza.
Tutta la nostra teologia riguardo alla creazione è stata uno sforzo per dimostrare che il mondo è creato, ma non ci ha detto che cosa è questo creato, che parola è questo creato, che cosa sono l’aria, l’acqua, i colori, per i nostri sensi e per la nostra sensibilità, di conseguenza per il nostro equilibrio psichico, interiore e umano.
Se abbiamo gli occhi, se abbiamo il gusto, se abbiamo i sensi e Dio ci ha creati così è perché ha voluto crearci così; se Dio ha creato tutte queste cose, le ha create perché trovassero il punto di coscienza, il punto in cui diventare intelligenti, il punto in cui diventare libere.
La creazione geme fino al giorno della liberazione dei figli di Dio, per esprimersi anche lei. Di questo la teologia non ci ha detto niente.
Abbiamo tirato fuori san Francesco, il cantico delle Creature e ne abbiamo fatto un fenomeno.
Il linguaggio attraverso cui si esprime Dio nei libri rivelati, nel Cristo, il più bello tra i figli dell’uomo, che cos’ è?
Le donne, quando vedono il Cristo, esclamano “Beato il seno che ti ha portato e il petto che ti ha nutrito”
Adesso vi faccio ridere. Quando ho fatto la mia entrata laggiù, perché sono stato 15 anni nell’Italia meridionale, quando mi sono presentato scendendo da una certa scala, vestito dei paramenti, la gente esclamava con un linguaggio proprio del luogo: “madonna, quant’è bello!” La persona nuova rivestita di paramenti solenni faceva dire queste esclmazioni.
Che cosa sarà stato Gesù Cristo? Abbiamo elencato: natura divina, natura umana, unione ipostatica, ed abbiamo esaurito qui Gesù Cristo, i Vangeli, il suo modo di presentarsi il suo modo di comportarsi! Questo linguaggio diventa intelligibile per l’azione dello Spirito in noi, che approfondisce, mette in moto tutte le nostre facoltà di creature nuove per intendere, per avere l’intelligenza delle cose di Dio. Paolo piega le ginocchia dinanzi al Padre del Signore nostro Gesù Cristo perché ci dia l’intelligenza del mistero.
Gesù Cristo ci manda lo Spirito perché ci introduca nella verità, per farci prendere coscienza di questo nostro essere, della nostra personalità che è “relatio”. Gli stessi psicologi moderni dicono che in un uomo e in una donna c’è tanto di personalità, quanto c’è di capacità di stabilire rapporti con gli altri. Addirittura Severino Boezio o qualcun altro ha detto ” è un essere incomunicabile” “incomunicabilis naturae” E’ vero: ognuno è se stesso, ma noi acquistiamo una capacità nuova di realizzare noi stessi attraverso l’attuazione di rapporti nuovi con Dio e con i nostri fratelli, con Dio e con le creature di Dio.
Noi siamo nuove creature. La nostra persona è una persona nuova. Le nostre facoltà sono rinnovate dal di dentro, intrinsecamente. Il nostro modo di porci è tutto nuovo, è a livello di figli di Dio in Cristo, quindi la nostra personalità si sviluppa nella misura in cui si sviluppano i nostri rapporti con il Padre, in cui si sviluppano i nostri rapporti con i fratelli, per quella possibilità che ci viene dalla redenzione, per l’esercizio di quella libertà di cui siamo stati dotati perché, se i nostri rapporti non fossero liberi, non sarebbero rapporti di persone.
Ma che senso ha questa libertà? Ha il senso di liberazione. Siamo stati liberati da tutti i condizionamenti del peccato, dai limiti della semplice creatura e abbiamo la forza di superare tutti i condizionamenti che il mondo può porre. Siamo in questa nuova situazione.
Non dico che noi non siamo degli esseri condizionati, che non abbiamo bisogno di lottare tutti i giorni per uscire dal condizionamento, dalla prigione del condizionamento, ma dico che in noi c’è una nuova forza, c’è una capacità nuova. A mano a mano che realizziamo la nostra personalità, a mano a mano che diventiamo figli di Dio, a mano a mano che attuiamo i nostri rapporti con il Padre nel Figlio e nello Spirito, diventiamo capaci di attuare i nostri rapporti con i fratelli: rapporti, evidentemente, di fratelli, di figli di un unico Padre, che non possono essere nient’altro che rapporti di amore.
OM 345 Loano 71