incontro con i sacerdoti
Loano 15 – 19 Febbraio 1971
Ciò che decide è il fatto che Dio ci ama. Non è il fatto che noi amiamo Dio.
La conversione dell’uomo in stato di peccato passa per la via della croce.
La conversione è una decisione in favore di Dio, è una scelta definitiva di Dio, come persona che nella nostra vita deve avere il primo posto, deve contare come persona decisiva per tutte le nostre scelte, deve essere il punto d’appoggio di tutta la nostra esistenza, deve essere il motivo di ispirazione di tutti i nostri atti. E questo in un modo continuato e progressivo anche se la conversione non ci stabilisce in uno stato permanente di grazia, perché rimane sempre la triste facoltà di venire meno o con degli atti singoli o con un allentamento di questo impegno, di questa decisione di fondo o con un rinnegamento di questa opzione fondamentale, che viene sostituita da qualche altra opzione.
E perciò noi abbiamo bisogno di mantenerci in una continua tensione nel senso della conversione, che è quello che ci fa seguire nostro Signore Gesù Cristo penitente ed è la penitenza. Non si può concepire vita cristiana senza la penitenza, perché l’uomo è peccatore, l’uomo è nella necessità ininterrotta di rinnegare il peccato, di rinnegare se stesso in quanto è concepito nel peccato ed è tutto nel peccato.
Noi per questo dobbiamo entrare nel mistero della passione morte di nostro Signore Gesù Cristo per arrivare alla sua Risurrezione. Partecipare al suo mistero è entrare in un movimento di vita che passa da Lui a noi, è entrare nella conformità con nostro Signore Gesù Cristo: “Hoc enim sentite in vobis, quod et in Christo Jesu”. Ma non è soltanto questione di sentimenti, di disposizioni, di propositi, è qualche cosa di più radicale che è costitutivo del nostro essere cristiano. L’essere cristiano è l’essere nella passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo stesso.
La Passione di Gesù.
Diamo un pensiero a Gesù che soffre per il peccato, perché nel mondo c’è il peccato ….
….e non dobbiamo avere il timore del realismo di Gesù sofferente, soffermandoci agli episodi registrati dagli evangelisti, per evidenziare come è concreta la passione di Gesù nel suo corpo flagellato, coronato di spine, percosso, sputacchiato, caricato della croce, spogliato delle sue vesti, inchiodato e sospeso al patibolo della croce fino al momento in cui spira.
Ma c’è una passione interiore di Gesù, che si manifesta nella sua solitudine, nella sua paura, nella sua ripugnanza durante le ore passate nell’Orto del Getsemani. C’è la passione interiore di Gesù, quando è fatto oggetto di ironia e di scherno, quando è posto a confronto con i malfattori, quando è posto a confronto con Barabba e muore come uno schiavo in mezzo a due ladri.
Adorare Gesù che soffre nel suo corpo e nel suo spirito è un atto di fede con cui ci mettiamo a contatto, attraverso un’azione soprannaturale dello Spirito Santo, con il suo essere di Figlio di Dio che risponde all’amore del Padre per i suoi fratelli e in nome dei propri fratelli. Di qui noi possiamo misurare l’amore del Padre per noi e la gravità del peccato, se la risposta di Gesù ha raggiunto queste dimensioni, oltre le quali nessuno può andare “Totum dilexisset in finem dilexit”. Gesù raggiunge gli ultimi limiti fino al punto di pregare il Padre: “si possibile est, transeat a me calix iste”. Sono delle parole ben gravi, ben misteriose. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Il mistero della solitudine di Gesù che ha la sensazione di essere abbandonato dal Padre. Questa è la risposta di Gesù all’amore del Padre offeso dai nostri peccati.
Se noi siamo cristiani e quindi conformi al senso dei misteri della vita di Cristo, dobbiamo entrare nel vivo del mistero della sua passione e morte con una penitenza interiore ed una penitenza esteriore. La penitenza interiore è quella che, i maestri di spirito, almeno classici, quelli di una volta, chiamano “compunzione del cuore”, “cor contritum et humiliatum” perché, se da una parte c’è la certezza dell’amore del Padre per noi, la certezza della fedeltà di questo suo amore, la certezza che questo amore non sarà mai bloccato da nessuna nostra incorrispondenza, dall’altra ci deve essere il sentimento di un cuore filiale che constata di non potere raggiungere a pieno la fede in questo amore, in questa fedeltà, nella potenza di questo amore.
San Giovanni descrive il cristiano come colui che crede all’amore. L’amore deve essere la radice della compunzione, la radice del nostro pentimento, la radice della nostra penitenza, non soltanto la detestazione di tutti i peccati che possono esserci stati nella nostra vita, che possono esserci ancora presenti nella nostra vita e nei quali sappiamo di cadere ancora. Vedete questo è un aspetto negativo. Ma c’è un aspetto positivo della nostra penitenza interiore, che è questo: il tormento di non raggiungere, non tanto la capacità di amare Dio come meriterebbe di essere amato, ma di non raggiungere la fede in questo amore.
E’ più importante la fede nell’amore di Dio che il nostro amore per Dio, perché soltanto nella misura in cui noi crederemo all’amore, ameremo; soltanto nella misura in cui per la fede questo amore di Dio diventa operante in noi, noi diventeremo capaci di rispondere a questo amore. Quando san Paolo dice che né la morte, né il male, né altro potranno separarlo dalla carità di Cristo, non è che il male, la morte o altre potenze non ci possano separare. Non ci possano impedire di amare Gesù Cristo, non possono impedire a Gesù Cristo di amare noi. E’ l’amore di Gesù Cristo, è l’amore di Dio per noi che non può essere mai superato, non può essere mai bloccato. Non è tanto il nostro amore. Capisco di non essere chiaro.
E’ più importante la fede nell’amore di Dio per noi che il nostro amore per Dio perché, ciò che decide è il fatto che Dio ci ama. Non è il fatto che noi amiamo Dio. Questa è una conseguenza che nasce dalla prima: ” Diligamus Deum” -dice San Giovanni – quia prior ipse dilexit nos”. Noi siamo nella condizione di amare Dio, perché Dio in persona, per primo, ci ha amato. Allora la constatazione di non credere sufficientemente all’amore di Dio deve essere il punto di partenza per la compunzione del nostro cuore, per essere mortificati di “non farcela”.
Che lo Spirito Santo c’illumini a capire quello che c’è a questo punto e che io non so rendere, ma che è di una estrema importanza per la nostra vita spirituale. Come sarebbe diversa la nostra vita spirituale se noi fossimo animati da una fede sempre più travagliata -lasciatemi dire così – per raggiungere questa certezza: Dio mi ama.
Ricordo (due anni fa mi pare) di essermi trovato in una famiglia di giovani sposi, che avevano già quattro bambini e la mamma ammalata di un male fatale – ottimi cristiani – riflettevo col marito su com’è difficile, in queste condizioni, credere che Dio è Padre, credere che Dio per i tuoi bambini è più Padre di te. La sua preoccupazione non era soltanto di perdere la moglie; era lo strazio perdere la moglie, ma anche il pensare a quelle creature che rimanevano senza mamma.
Credere che Dio è Padre! Il fatto di non credere che Dio è Padre è il nostro peccato. E’ il fatto di non credere all’amore del nostro Padre che più dispiace al nostro Padre, che offende maggiormente il nostro Padre. Scusate ancora una volta questi balbettamenti.
Vi dicevo: gli esercizi non sono soltanto le prediche del predicatore, che gli esercizi sono il momento forte più evidente di Dio che ci viene incontro con la sua grazia, per darci la comprensione di questo fatto misterioso che è estremamente importante per la nostra vita spirituale ed è altrettanto estremamente importante per la vita spirituale dei nostri cristiani, che non sanno niente dell’amore di Dio. Noi predichiamo tante cose, ma l’amore di Dio non lo predichiamo o lo predichiamo così in qualche modo. All’amore di Dio si crede poco. Si é preoccupati di credere in Dio, di credere che Dio c’è, ma non “quia est”, che ci sia questo Dio per noi.
Si dice che ci sia una crisi di fede. Evidentemente non è una crisi di fede in Dio, ma è una crisi di fede nel Dio della Rivelazione. La nostra è una crisi di fede nell’amore di Dio. Andiamo a cercare altre soluzioni per la nostra esistenza, per il nostro ministero. Non ci basta di essere ministri dell’amore di Dio? Come se la gente non avesse bisogno che si annunci loro l’amore di Dio!
E qui c’è un’altra osservazione concreta da fare. Le nostre confessioni non sono di gente convinta di andare a confessare dei peccati, non è di gente che convinta di andare a confessarsi del peccato contro l’amore: “ho peccato contro il cielo e contro la terra” perché non ti ho amato.
Evidentemente questa penitenza interiore per essere umana, per essere di tutta la nostra persona, deve comprendere tutto il nostro essere e di conseguenza portarci ad una penitenza esteriore: la mortificazione, cioè dare la morte, fare morire in noi ciò che non è dei figli di Dio, oppure, in un modo positivo, realizzarci secondo l’economia del piano di Dio. In questa economia c’è la possibilità della nostra realizzazione di persone in rapporto con Dio e con i fratelli nell’amore più alto ma che passa -questo rapporto- attraverso il mistero della croce, perché nelle nostre persone e nella nostra vita esiste il peccato.
La mortificazione non è soffocare la nostra personalità, non è soffocare le esigenze che Dio stesso ha posto in noi, nella nostra natura, è realizzare tutto noi stessi secondo tutte le nostre possibilità, secondo tutti i doni di natura e di grazia, per raggiungere l’uomo perfetto in Cristo Gesù, secondo la misura della donazione della sua grazia.
Questa misura della donazione della grazia, non è un limite per la libertà di Dio naturalmente, e non è un limite nella quantità – diciamo così- perché è caratteristica di ciascheduno.Ciascheduno è se stesso. Ciascheduno è irripetibile. Ciascheduno ha una personalità unica. Dio creatore non è senza fantasia. Non é come noi che facciamo tutte cose tutte uguali e vorremmo fare tutte le persone uguali e molte volte abbiamo fatto dei tentativi per modellare le persone su noi stessi, invece che sulla multiforme ricchezza della vita di nostro Signore Gesù Cristo.
Questa nostra realizzazione secondo l’economia della salvezza, che passa per il mistero della croce, è quella che si attua attraverso tutti i mezzi disposti da Dio per la nostra salvezza, ma in particolare attraverso i sacramenti, in particolare ancora attraverso i sacramenti della iniziazione cristiana: – sacramento del Battesimo, che ci conforma alla Morte e Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo; – il sacramento della Cresima che è un complemento del Battesimo e ci inserisce più profondamente nell’azione dello Spirito, che opera la Morte e Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo nelle nostre persone; – il sacramento dell’eucaristia, il sacramento della Pasqua è il sacramento del passaggio dalla morte alla vita che deve essere il passaggio attraverso la morte, per risorgere ad una vita nuova.
Ogni volta che noi celebriamo il memoriale del Signore – qualcheduno è rimasto turbato che la Messa sia stata definita “memoriale del Signore”- celebriamo la sua morte, la sua risurrezione e la sua ascensione al cielo. La celebrazione eucaristica è la celebrazione sacramentale di tutto questo, ed è una celebrazione efficace che rende attuale e operante, nel contesto della nostra fede, il mistero della Pasqua cui noi partecipiamo sacramentalmente, nutrendoci del corpo e del sangue di nostro Signore Gesù Cristo, che è un corpo glorioso, risuscitato da morte e che ormai “vivit vero”.
Questa è la nostra nuova costituzione che ci deriva da un’azione sacramentale e che ci configura, quindi, a Cristo morto e risorto, e che perciò esige da noi le opere della mortificazione, le opere del rinnegamento di noi stessi.
” Proposito sibi gaudio sustinuit crucem”:
la croce di ogni giorno, che ci porta, – direi- d’istinto, ad accogliere la croce che ci viene incontro: la croce della fatica, la croce di una certa disciplina nella distribuzione del tempo, la croce di una gerarchia nella scelta delle nostre attività, la croce “alter alterius onera portate” del prossimo, la croce di prendere la gente così com’è senza mai dire “ai miei tempi! “. Se la gente è questa, se la gente di oggi è fatta così, questo è il nostro prossimo, questi sono figli di Dio, questi si debbono salvare.
Questi, oggi, sono in difficoltà maggiori di quanto non fossimo noi, per credere e per salvarsi, per essere animati dallo spirito di penitenza interiore e per praticare una penitenza esteriore. Era facile essere mortificati e penitenti, quando si mangiava polenta e stoccafisso. E’ più difficile in una situazione di benessere. Guardate che tutte la crisi di fede nel mondo ecclesiastico, nel mondo religioso, nel mondo cristiano in genere, sono più di attualità nei paesi di maggior benessere e sono ignorate nei paesi dove il benessere non è ancora arrivato.
Noi non dobbiamo dire: allora impediamo il benessere? Noi dobbiamo avere una fede totale, per affrontare questa situazione di benessere in cui viviamo. La nostra, non deve essere la fede del sottosviluppo, ma è certo che in proporzione di una fede più adulta deve aumentare la partecipazione al mistero della passione morte risurrezione e ascensione di nostro Signore Gesù Cristo.
Questo detto molto crudamente. Se in un mondo più progredito culturalmente, socialmente, economicamente, dominato dalla civiltà dei consumi, la fede deve essere adeguata e deve potersi imporre, avere il suo senso, avere la sua funzione positiva di giudizio su tutte le situazioni in cui l’uomo oggi si viene a trovare. Questo sarà possibile solo nella misura in cui noi partecipiamo, in un modo positivo, al mistero della Passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo. Non c’è altra via. Non è la cultura che ci salva. Non è il benessere che ci salva. Non è il comfort che ci salva. Non è la giustizia che ci salva. E’ la croce di nostro Signore Gesù Cristo che ci salva.
Leggete tutti i testi della rivelazione: noi siamo stati salvati per grazia e siamo stati salvati mediante il sangue di nostro Signore Gesù Cristo. O noi ci abbeveriamo a questo calice o noi siamo destinati ad essere sommersi da questo mondo che sotto certi aspetti certamente progredisce.
Se la penitenza ha una struttura sacramentale, c’è anche un momento della celebrazione sacramentale della penitenza. Il sacramento della penitenza, rende attuale il mistero del Cristo paziente, di Cristo crocifisso, di Cristo morente, perché possa caricarsi dei nostri peccati personali e liberarci dal peccato, non solo nel senso di liberarci dai peccati ma nel senso di mettersi al nostro fianco, come Cireneo per portare la nostra croce, perché non cadiamo sotto la croce. Spero che abbiate compreso il mio pensiero.
Guardate che, c’è una crisi a proposito della confessione sacramentale, è una crisi dovuta alla pigrizia di chiudersi nel confessionale e amministrare questo sacramento. Si vanno a cercare tutte le ragioni della psicologia, della pedagogia e di non so cosa d’altro, per confessare poco, per non confessare specialmente i bambini. Io non dico che, non ci siano state delle deviazioni, degli inconvenienti nel modo con cui si amministrava la confessione però, se la vita del cristiano è una vita di penitenza, il cristiano ha bisogno di essere sostenuto da questo “segno” istituito da nostro Signore Gesù Cristo per farci partecipare, sul prolungamento dell’azione del Battesimo e della Cresima, al mistero della sua passione.
Poi c’è un problema che ci riguarda personalmente: di peccati grossi non ce ne sono. I peccati veniali li sappiamo a memoria e li ripetiamo e diciamo: mio Dio mi pento e mi dolgo con tutto il cuore. Di che cosa ti penti? Siamo pentiti di non amare Dio? Siamo pentiti di non amare il prossimo? Lascia stare anche se hai mormorato contro il Vescovo; non accusartene neppure, perché mormorerai ancora. Non sottovalutare qualche piccolo atto di ingiustizia ma, attenti ai soldi!
Pentiti di non avere amato Dio e i tuoi fratelli come avresti dovuto! C’è uno spazio per pentirci di questo? Che posto ha Dio nella nostra vita? Quanto tempo gli abbiamo dedicato a Dio? Come siamo stati preoccupati di Lui? Come siamo stati preoccupati dei suoi interessi? Come partecipiamo alla vita dei nostri fratelli? In che misura ci teniamo disponibili ai nostri fratelli?
Ecco dove c’è materia, – materia per modo di dire -, per “conficere sacramentum”, perché il sacramento sia davvero la presenza di Cristo, operante in noi per renderci conformi alla sua Passione e morte!
OM 349 Loano 71