incontro con i sacerdoti
Loano 15-19 Febbraio 1971
concretizzazione nel tempo, nel luogo e nello spazio
di tutto il mistero della Chiesa
Questa mattina siamo arrivati davanti ad uno dei nostri impegni pastorali più seri, in questo momento del rinnovamento liturgico e quindi della parte più vitale del rinnovamento che dobbiamo operare in conseguenza del Concilio.
Abbiamo detto che noi sacerdoti oltre che presiedere l’assemblea liturgica dobbiamo diventare gli educatori dell’assemblea liturgica, allora diciamo qualche cosa sulle tappe di questa educazione alla assemblea liturgica.
Prima di tutto l’assemblea liturgica bisogna prepararla e bisogna prepararla con una catechesi adeguata. La nostra gente che partecipa alle azioni liturgiche deve prendere coscienza del mistero della Chiesa e quindi della dottrina sulla Chiesa, così come ce la presenta il Concilio. Non possiamo preparare un’assemblea liturgica, senza possedere bene, con chiarezza, speditamente, direi, senza avere sulle punta delle dita la dottrina del Concilio a riguardo della Chiesa.
Questa dottrina del Concilio deve entrare nel modo più profondo che sia possibile e quindi in un tempo adeguato, nella coscienza del cristiano, perché sia un cristiano secondo Cristo, secondo il piano di Dio che lo vuole membro del suo popolo, membro del corpo del suo Cristo, pietra del tempio vivo che egli edifica nello Spirito.
Dobbiamo fare intendere come l’assemblea liturgica è un’espressione, una concretizzazione nel tempo, nel luogo e nello spazio di tutto il mistero della Chiesa, di tutta la realtà della Chiesa, facendo rilevare, cioè mettendo in risalto, come tra noi che celebriamo il memoriale del Signore c’è il Padre, il figlio e lo Spirito Santo. Dobbiamo fare intendere che tra noi, che celebriamo il memoriale, c’è il Padre che ci convoca, c’è Gesù Cristo che ci redime, ci salva e ci fa, di tante membra sparse, un solo corpo, c’è lo Spirito Santo che ci unifica mediante l’azione della carità che diffonde nei nostri cuori. Dobbiamo fare intendere che in quel momento noi siamo chiesa, in particolare noi siamo un’espressione viva della Chiesa e siamo un’espressione efficace della Chiesa, operante in modo incisivo nel senso della salvezza, proprio in quanto siamo costituiti “Hic et nunc” “Ecclesia Dei”: la Chiesa che è a Loano, che è a Cinisello, che è da qualsiasi altra parte, nella cappella di un Istituto e dovunque sia.
Naturalmente questa catechesi dovrebbe essere una catechesi che, per diventare pane quotidiano, per diventare un pane assimilato deve prolungarsi, deve essere ripresa di quando in quando, deve essere presentata “hic et nunc”, nel momento in cui l’assemblea si costituisce, almeno come richiamo di tanto in tanto. Ci sono delle formule che non devono diventare delle formule stereotipate che poi non dicono più niente, ma preparandoci adeguatamente possiamo ripetere questi concetti in tanti modi. E’ questione anche di fantasia.
Poi, secondo compito sempre in ordine alla educazione della assemblea, noi dobbiamo animare l’assemblea. E l’assemblea la si anima, come qualsiasi realtà, dall’interno. Rifacciamoci alle parabole di Gesù del piccolo grano di senape, del lievito e così via dicendo, cioè dei piccoli gruppi. Ci vuole in mezzo alle grandi assemblee, specialmente alle assemblee festive, il piccolo gruppo che sia il gruppo animatore di tutta l’assemblea.
Se il pubblico della messa quotidiana sono le quattro pensionate o i due pensionati che vengono in chiesa perché non sanno come passare il tempo, non sarà l’animatore ideale dell’assemblea liturgica parrocchiale, sempre, naturalmente, ai fini dell’educazione. Le messe quotidiane sono frequentate anche da qualche giovane. E’ proprio attraverso l’esperienza viva, attraverso una partecipazione attiva, dettagliata anche nei richiami durante la celebrazione, che noi possiamo preparare dei gruppi animatori.
Possiamo fare delle celebrazioni apposite per gruppi qualificati -possono essere gruppi di giovani – e fare delle liturgie celebrate appositamente per loro, a tempo opportuno, magari di sera o in giorni particolari non festivi, proprio perché facciano l’esperienza di assemblea liturgica e approfondiscano la loro esperienza fino a diventare capaci – non soltanto su un piano tecnico – di animare un’assemblea e sul piano spirituale di essere l’anima che dà impulso dal di dentro, che fa leva in mezzo a coloro, tra i quali si stabiliscono, con il preciso compito di animare l’assemblea che è un compito voluto da nostro Signore Gesù Cristo.
Devono essere delle persone, che hanno coscienza di essere oggetto della misericordia di Dio, hanno coscienza che Dio si serve della loro pochezza, del loro niente, ma della loro persona per compiere un’azione grande come è grande l’azione di animare l’assemblea liturgica: la chiesa che celebra il memoriale del Signore.
Perché l’assemblea liturgica sia animata, cioè sia qualche cosa di vivo, bisogna tener presente che ogni essere vivente non si esprime in un modo piatto, uniforme nel senso di tranquillo, ma si esprime ritmicamente. Tutto è ritmo nella vita. Oggi il ritmo che è aderente proprio alla natura, è qualcosa di molto valorizzato, di molto sentito. Ci sono i ritmi delle stagioni, del tempo bello e del tempo cattivo, della luna, eccetera. Ci sono i nostri ritmi vitali che non corrispondono semplicemente alle nostre diverse età, ma anche ai diversi momenti di una giornata e allora cosa significa il ritmo nell’assemblea?
Vuole dire che l’assemblea si deve muovere anche fisicamente. Questi movimenti sono stati chiamati la ginnastica liturgica, ma lo stare in piedi, seduti, o in ginocchio non deve essere semplicemente una ginnastica sia pure liturgica, deve essere un modo di stare che corrisponde all’esigenza di esprimere ciò che si fa. Se io sono in ascolto devo mettermi in un determinato atteggiamento, se sono nell’atto di offrire mi devo mettere in un altro atteggiamento, se sono nell’atto di accogliere, mi devo mettere in un atteggiamento adeguato.
Tutto questo crea ritmo anche dal punto di vista dell’andamento vocale. Ci sono quindi, il momento della recitazione, il momento della lettura, il momento della proclamazione, il momento del canto. Sono tutti momenti che debbono avere la loro distinzione. Non si deve arrivare a dire, adesso cantiamo per far passare il tempo, tanto per cantare.
Le letture: il modo di fare le letture. Noi in genere siamo delle persone che leggono male – io ve ne ho dato qualche prova in questi giorni – siamo delle persone che pronunciano male le parole, per cui non si capisce quello che leggiamo.
Vi racconto una piccola esperienza. Scusate se qualche volta parlo di me. Quand’ero laggiù – chissà perché vado a finire sempre laggiù- ! ho fatto venire per i giovani lettori, per diversi mesi, un insegnante di recitazione del teatro Piccinni di Bari. Ebbene, è stato frequentato da un numero sterminato di giovani che si sono interessati moltissimo ad imparare come si emette la voce, come si respira durante la lettura, come si fanno le pause e cose del genere. Si sono ricavati dei frutti pratici nelle celebrazioni, molto belli, e molto gradevoli. Una lettura fatta bene è una cosa che si gradisce che entra molto bene nella celebrazione.
Siamo nel momento di compiere il “sacrificium laudis” e noi dobbiamo lodare male il Signore? Noi dobbiamo dare il meglio di noi stessi. Quante volte Paolo VI° dice che il sacerdote deve avere l’anima di un artista! Tutte le espressioni delle nostre celebrazioni e non soltanto, ma anche quelle del nostro linguaggio, del nostro parlare devono avere qualche cosa che si avvicini alla bellezza di Dio.
Dio così ricco di bellezza che ha profuso la sua bellezza abbondantemente nella sua natura, si deve supporre che abbia profuso con maggiore abbondanza la sua bellezza nel mondo della grazia. Noi, invece, mettiamo nelle nostre chiese delle cose tanto brutte, facciamo delle cose tanto malfatte e compiamo azioni grandi, alle volte, molto sciatte. E di questo siamo poco preoccupati. Siamo invece preoccupati delle cosiddette cose spirituali, delle cosiddette virtù, della cosiddetta perfezione, e trascuriamo una vera ed autentica perfezione, una vera ed autentica virtù com’è l’espressione della bellezza, il culto della bellezza.
In un’animazione dell’assemblea ha molta importanza il tono della voce del presidente. Altro è il tono dell’orazione che deve essere un tono supplichevole, altro è il tono di un prefazio che preferibilmente andrebbe cantato ma cantato bene, cantato con garbo anche se uno ha una gran voce, altro è il tono della celebrazione del memoriale della Passione e Morte, Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.
Anche qui bisogna creare dei ritmi. Se diverso è il tono, già si crea un ritmo, quindi bisogna intercalare delle pause, bisogna mettere in evidenza che si fa un passaggio, per esempio, da una preghiera ad una lettura, da una lettura ad una recita di un salmo responsoriale, dalla conclusione delle preghiere dette segrete all’inizio del prefazio, sono tutti momenti distinti che noi dobbiamo porre l’accento anche con delle pause convenienti, che diano la sensazione che si è finita una cosa e se ne comincia un’altra, pur essendo tutte parti di un’unica celebrazione, cioè di un’unica azione.
Guardate che non sono cose da poco, sono cose che intanto esprimono la nostra sensibilità dinanzi a ciò che compiamo, sono cose che esprimono la nostra sensibilità spirituale dinanzi ai fratelli cui presiediamo, sono cose che diventano, quindi, educative dei membri dell’assemblea.
Guardate che, uno strumento efficace di educazione a questo proposito può essere un registratore. Provate a registrare la vostra voce, la vostra celebrazione. In una domenica qualsiasi, accendete il registratore. Possibilmente non pensatelo e vedrete che cosa viene fuori del vostro ruolo di presidente dell’assemblea liturgica. Farete delle scoperte. Forse vi meraviglierete: ma sono proprio io che ho questa voce, sono proprio io che uso queste cantilene, che mangio le parole, che non pronuncio le sillabe terminali delle parole? Può essere un buon esame di coscienza. Quel giorno io vi dispenso dal fare l’esame di coscienza.
Organizzare l’assemblea, è fare in modo che tutti i membri dell’assemblea abbiano qualche cosa da compiere. In passato compivano tutto il sacrestano che andava a cercare l’elemosina e i chierichetti. Oggi è tutta l’assemblea che deve sapere che fa qualche cosa. Per esempio, alcune parti della messa recitate dall’assemblea sono celebrazione della messa. Il sacerdote può anche non dirle. Il sacerdote, se le dice, le dice come membro dell’assemblea non come presidente dell’assemblea.
Se io recito il “Gloria”, lo recito insieme con il mio popolo. Quella parte della messa è celebrata dai membri dell’assemblea e io mi unisco a loro. Così dite del Sanctus. Non altrettanto si dice dell’Agnus Dei, perché l’Agnus Dei è un atto proprio dell’assemblea. Il celebrante mentre l’assemblea prega l’Agnus dei, continua per conto suo a dire le parti che deve dire lui e compiere dei gesti come la “fractio panis”.
Poi ci sono anche dei gruppi di persone distinte che compiono un’azione, ma tutti devono sapere che quell’azione la compiono nell’assemblea a nome dell’assemblea. Ha un ruolo di principale importanza la “Schola” con o senza chitarre. Ciò che è importante è, che la “Schola” sia un gruppo animatore del canto di tutta l’assemblea. Essa deve avere lo scopo di far cantare tutta l’assemblea. Quindi, almeno il ritornello deve cantarlo tutta l’assemblea. Ai fini dell’educazione liturgica, direi non di più, perché si farebbero confusioni, oppure si canterebbero delle cose troppo generiche. Il ritornello, infatti, è costituito da poche parole che dicono un concetto essenziale, facile da imparare perché è ripetuto con il motivo abbastanza orecchiabile del ritornello.
La Schola canterà il resto di un Salmo oppure di un canto, ma preferite sempre i salmi ad altri canti, quando è possibile.Ci sono dei toni che si adattano a molti salmi. Poi variate. Per esempio all’Offertorio non è necessario che si canti sempre. L’Offertorio si può fare qualche volta, scoperto e la gente risponda con le acclamazioni che sono proprie di questo momento.
A proposito delle acclamazioni – naturalmente qui non sono in casa mia e non dico niente – avete mai visto acclamare stando in ginocchio? Qui dopo la consacrazione stanno in ginocchio. Celebriamo la tua morte o Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta”.Quelli che acclamavano nostro Signore Gesù Cristo non stavano in ginocchio. L’acclamazione è un atto di esaltazione di una persona, si fa nel modo più alto, più eretto che sia possibile. E’ un particolare secondario.
Per animare l’assemblea non bisogna trascurare due cose
Le tre processioni previste dalla celebrazione.
La prima processione introitale è fatta dagli inservienti, dai lettori e dal celebrante.
La processione offertoriale, può essere fatta non soltanto da quelli che portano il pane e il vino, ma anche da quanti in quel momento possono portare i due ceri, i due vasetti di fiori o altre cose. Sarebbe desiderabile che, la gente fosse educata a fare la propria offerta entrando in Chiesa e, al momento dell’offertorio, si prendesse il vassoio o il cestello dove ci sono le offerte e si deponesse ai piedi dell’altare. Sono espressioni della partecipazione di tutti; sono un’espressione molto materiale, se volete, ma anche questa è legittima.
La processione della Comunione.
La processione della comunione non è la fila dinnanzi al distributore, è un atto processionale che vuole dare a tutta la celebrazione il senso dell’esistenza di noi pellegrinanti verso Cristo e per Cristo verso il Padre.
L’altra nota è riferita alle pause di silenzio dopo le letture in particolare dopo la comunione.
Dobbiamo abituare la nostra gente a tacere un po’. Io vado nelle parrocchie. Alle volte per dimostrarmi che lì si canta, cantano dal principio alla fine e si esce un po’ storditi. Si sente proprio il bisogno di un momento di silenzio e, se state attenti, vi accorgete che lo fanno anche i bambini. Dovrebbe essere un tempo più ridotto quando si tratta di bambini ma ci vogliono questi momenti di assimilazione, di riflessione, di interiorizzazione di ciò che si è fatto esternamente, perché sia una vera la celebrazione di un atto religioso.
Bisogna amare l’assemblea.
E’ in proporzione dell’amore che si porta alla Sposa di Cristo – noi siamo gli amici dello Sposo – che si faranno tutte queste cose. Se non si ama la Chiesa, la chiesa concreta e attualizzata in quel momento intorno a noi, con noi, anche per mezzo nostro, non si faranno queste cose. Queste cose si fanno se ci si crede.
E allora verso la nostra assemblea dovremmo essere come quando si vuole bene ad una persona, come quando si vuole bene a dei bambini: bisognerà essere pazienti, bisognerà essere capaci di attendere che corrispondano alle nostre cure, bisognerà circondare la nostra assemblea di una tenerezza materna, espressione della tenerezza della Chiesa, anche se sono chiesa loro stessi, per educarli a partecipare al mistero della maternità della chiesa.
Naturalmente ogni amore deve essere espresso autenticamente attraverso il sacrificio, attraverso tutti quei sacrifici che si richiedono per far sì che le nostre chiesate di gente si trasformino in autentiche chiese che celebrano il memoriale del Signore.
OM 355 Loano 71