incontro in seminario 16 marzo 1972
Mons. Carlo Ferrari
Cerco di rendermi conto alla presenza di quale uditorio mi trovo. Alle volte, come potrebbe essere questa mattina, ci si trova a dover fare cose importanti con la preparazione non proporzionata. La cosa importante, per fortuna e per grazia di Dio, la dobbiamo compiere tutti insieme,perciò da questa collaborazione può venire quello che noi ci attendiamo. Può essere un momento di approfondimento nello spirito di ciascheduno di noi, perché ci sia qualcosa di sempre più valido per la preparazione al nostro ministero. Il motivo per cui ci troviamo qui è collaborare: voi ragazzi, voi sacerdoti insegnanti del seminario, voi parroci e viceparroci ed il Vescovo. Non vogliamo fare discorsi difficili – il vescovo ha la fama di fare discorsi difficili -, vogliamo mettere in luce due fatti.
Il primo è questo. Sul piano storico, credo di poter affermare che non c’è mai stato nella storia un periodo nel quale la Chiesa abbia avuto una coscienza più chiara della propria realtà e del proprio mistero. Secondo me, questa è la grazia dei nostri tempi. Dove c’è una grazia, è segno che c’è una presenza dell’azione di Dio. Dio agisce nel senso di questa grazia, nel senso della coscienza del mistero della Chiesa evidentemente perché il mistero della Chiesa sia operante all’interno della vita della Chiesa e all’esterno della vita della Chiesa.
La coscienza del mistero della Chiesa porta con sé il bisogno di scoprire la sua identità, perché la coscienza del mistero della Chiesa e l’identità della Chiesa sono due cose diverse. Ciò che deve essere la Chiesa di fronte al mondo, ciò che deve essere nel mondo, ciò che deve fare nel mondo diventerà sempre più chiaro. Il fatto di esserci tante polemiche e tanti punti di vista proprio a questo proposito, significa che c’è la necessità di scoprire l’identità della Chiesa e che cosa deve fare la Chiesa nel mondo.
Secondo una retta lettura del vangelo, credo che la Chiesa nel mondo debba continuare la missione di nostro Signore Gesù Cristo, quindi annunciare il Vangelo e diventare lo strumento della edificazione del Regno di Dio. In conseguenza, oggi, per fare il prete è altrettanto necessario scoprire: quale è l’identità del prete, quale è lo scopo preciso della sua esistenza, quale è il suo compito specifico nella chiesa, che cosa ci sta a fare nel mondo.
La specificità dei compiti nel mondo moderno, diventa quasi una costrizione e quindi necessità per tutti ad assumere il proprio compito. Non ci sono più i manovali. Ci vogliono gli operai specializzati. Anche il sacerdote e colui che aspira al sacerdozio e al ministero, deve scoprire con chiarezza qual è la sua identità, che cosa ci sta a fare nel mondo.
L’identità del ministero del sacerdote o del sacerdozio ministeriale coincide con l’identità della Chiesa. Su questa affermazione, che ho fatto e ritengo giusta, non tutti sono concordi o non concordano perfettamente, ma ho fiducia che verrà il giorno in cui tutti concorderanno.
Per rispondere a tante obiezioni che possono sorgere, io direi che la Chiesa – proprio in quanto svolgerà il compito per cui è stata istituita – aiuterà, porrà le fondamenta, porrà le premesse e soprattutto porterà un elemento nuovo di vita,
di forza, di direttiva morale per la soluzione di tutti i problemi umani. Ma questo viene solo di conseguenza.
Il sacerdote, esercitando bene il suo ministero concorre – come elemento morale, spirituale, soprannaturale di natura salvifica – perché tutti uomini possano risolvere più facilmente i loro problemi. Questo in linea generale. Ci possono essere situazioni particolari nelle quali la Chiesa, nello svolgere il suo compito specifico, debba moralmente compiere anche delle altre cose. Ci possono essere situazioni particolari in cui il sacerdote abbia l’obbligo di svolgere altre attività, ma secondo il principio enunciato poco fa.
Cosa c’entra questo che abbiamo detto col discorso che vogliamo fare insieme questa mattina? Io tento di farcelo entrare. Comincio dal secondo punto.
Noi dobbiamo andare sempre alla ricerca della nostra identità. Lo dico a me stesso, lo dico ai sacerdoti con tanti o pochi capelli, grigi brizzolati o bianchi o dalle folte chiome, noi dobbiamo attingere con tutto l’impegno delle nostre forze per corrispondere ai segni dei tempi, alla grazia che c’è nella Chiesa. Lì dobbiamo andare a cercare la nostra identità. Sorvolo i problemi delle crisi d’identità di cui oggi si parla tanto. Noi siamo preti in ordine al Regno dei cieli, noi siamo preti in ordine a Gesù Cristo.
L’ordine sacro ci costituisce cooperatori, ambasciatori, in certo qual senso rappresentanti, continuatori in forza di un sacramento, della missione di nostro Signore Gesù Cristo: di annunciare il Regno dei cieli e di lavorare per la edificazione del Regno dei cieli.
Ora, miei cari sacerdoti e io Vescovo ci troviamo di fronte a questi ragazzi che guardano a noi e possono domandarsi – siccome sono intelligenti- che senso ha la vita del mio parroco. E’ una domanda legittima. Che cosa fa il mio parroco in ordine all’annuncio del Regno di Dio, in ordine all’edificazione del regno di Dio, in ordine all’annuncio del vangelo agli uomini di oggi, nel mondo di oggi, alle persone che vivono nelle condizioni del mondo di oggi?
Questi ragazzi ci giudicano. Dicono che il Vescovo è lungo nelle prediche, che non la finisce mai,che dice delle cose astratte, che dice delle cose complicate e così via dicendo. Hanno ragione. Non dico che hanno ragione totalmente! Hanno una parte di ragione. Ma se chiedete loro le ragioni dei rilievi che fanno alla mia predicazione, per esempio, non so che cosa direbbero. Nel caso che essi avessero queste sensazioni e non mi sapessero dire il motivo per cui hanno queste sensazioni, io non devo dire: voi siete pelandroni perché non avete voglia di starmi a sentire. Non l’ho mai detto. Ho detto semplicemente che studiate troppo poco. E questo sarebbe un modo di difendermi che non va bene?
Adesso non vorrei fare un esame a me e ai miei sacerdoti. Io sto preoccupandomi e stiamo preoccupandoci insieme, dinanzi a questi ragazzi di dare delle risposte.
Io dico a questi ragazzi: miei cari, siamo in un periodo di transizione. Dicono che questa è una salsa che si mette in tutte le pietanze, ma io lo devo dire perché: se i sacerdoti, per esempio, non corrispondono ancora ai dettami del concilio, se i sacerdoti non sono ancora sufficientemente aggiornati, se i sacerdoti nel compiere la loro missione non sono ancora in grado di capire in quel mondo che voi dite di capire, non giudicate il ministero sacerdotale da una persona o da dieci persone che impersonano il ministero sacerdotale. Siamo in periodo di transizione. Ciò che vi è richiesto da nostro Signore Gesù Cristo è: che voi preghiate perché ciò che richiede nostro Signore Gesù Cristo a me stesso e ai miei fratelli nel sacerdozio, lo possiamo realizzare.
Ma intanto noi, miei cari, dinanzi a questi ragazzi abbiamo una estrema responsabilità e siamo in difficoltà. Adesso non prendetevela col Vescovo – o prendetevela pure! – ma io vi prego di cercare di capire.
Due sere fa ho disturbato uno dei nostri parroci con una telefonata, dicendogli di dire ad un certo caporione o a certi caporioni di lasciare che i giovani continuassero una iniziativa sana e valida. Lui mi ha dato ragione. Il parroco è del mio parere, ma io so che quei capoccioni mettono in giro che il Vescovo di Mantova appartiene alla sinistra extraparlamentare. Non é facile cambiare l’opinione agli altri però ricordiamo, noi vescovo e sacerdoti, che il nostro stile, il nostro modo di affrontare i rapporti con gli altri, è quello dei pastori. Noi siamo guide. In un certo senso siamo maestri, è vero, ma dobbiamo esserlo nel senso del servizio, con le disposizioni del servizio, con gli atteggiamenti di umiltà del servizio. Noi non dovremmo essere in nessun modo annoverati fra le autorità.
L’altro ieri parlavo con un giovane sacerdote. Egli insisteva perché in tutta la Chiesa e in tutte le zone della Chiesa, da quella ortodossa a quella protestante, a quella cattolica, non si è ancora sufficientemente elaborata una cristologia. Prima ho parlato di ecclesiologia. Un’autentica ecclesiologia, io ritengo che corrisponderà ad un’autentica cristologia, ritengo che la chiesa sarà lo specchio della cristologia, cioè, Cristo dovrà essere il Signore, Cristo dovrà essere Colui che in ogni istante evidenzia specialmente il ministero nella chiesa: lo fa emergere, quindi lo annunzia, lo mette a contatto con il popolo santo di Dio!
Noi abbiamo bisogno di Cristo e non possiamo sostituirci a Lui. Paolo VI, come Cardinale, quando ha fatto uno dei suoi primi interventi al Concilio, ha delineato lo schema della Lumen Gentium ed ha paragonato la Chiesa alle antiche basiliche nelle absidi delle quali campeggiava il Pantokrator. Noi non possiamo essere annoverati tra le autorità. Ho detto. Stiamo attenti, dinanzi alla nostra gente, a non dire: qui comando io e basta. Il Signore è solo Gesù Cristo. E’ difficile stare davanti ai nostri fratelli in modo che appaia che il Signore è Gesù Cristo. Che appaia nostro Signore Gesù Cristo è quello che ci chiedono questi ragazzi.
C’é un numero insospettato di ragazzi che non entrano in seminario. Corriamo il rischio che i seminari rimangano vuoti. Credo che questo non avvenga. Se mi sbaglio, pazienza! Io sono qui stamattina proprio perché questo non avvenga e per correre ai ripari. In questo caso si tratta di impostare qualche cosa di nuovo e di valido, dopo che la diocesi ha fatto lo sforzo per rendere accogliente e funzionale l’edificio. E’ nella misura in cui saremo solleciti a ritrovare l’identità che ci ha proposto nostro Signore Gesù Cristo si riscoprirà anche il problema delle vocazioni, così poche oggi. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare? Abbiamo fatto la cosa principale perché il Signore continui la singolare misericordia nei confronti della nostra chiesa mantovana, di darle quei Sacerdoti di cui le nostre popolazioni e la nostra chiesa hanno bisogno?
E adesso, vengo al primo punto. Siamo al problema del seminario e delle vocazioni. Il seminario, come istituzione, è uno strumento della chiesa. Io non so se questo organo è buono o meno, ma potremmo avere un organo perfetto e un organista decadente! Sarebbe solo un bel mobile. Potremmo bastare invece un semplice armonium con un ottimo organista che da quello strumento è capace di cavarci fuori ciò che lo strumento, di per sé, non sarebbe in grado di dare. Il seminario è l’organo o l’armonium o la chitarra, ma ci vuole l’organista.
Chi è l’organista? Chi è il soggetto che si serve di questo strumento? Il soggetto è la Chiesa. Io dico che l’educatore dei futuri preti per noi, è la Chiesa più o meno grande che si raccoglie a Mantova. Il Rettore ha il suo compito. Il Padre spirituale ha il suo compito. Gli insegnanti hanno il loro compito, ma accanto agli insegnati e al rettore, e molto prima del rettore, c’è il parroco. Ci vuole altro che il rettore dica a questi ragazzi che il sacerdote deve essere così o così. E’ necessario che ci sia il prete concreto, completo, esistente nelle parrocchie da cui provengono.
Il popolo di Dio non va d’accordo con il vescovo? Il vescovo dice che ci vuole il seminario e altri non lo vogliono? All’interno del popolo di Dio ci sono divisioni? Voi capite cosa significa questo? Ci possono essere le condizioni necessarie per l’educazione in seminario? Chi sono le persone che accettano questa responsabilità?
Bisogna considerare la responsabilità oggettiva di fronte alla formazione dei futuri preti. La famiglia e la comunità parrocchiale dovrebbero essere tali da permettere la reale, effettiva, concreta possibilità educativa e di formazione, adeguati allo scopo che ci si propone in seminario. Io mi auguro che, un domani, si possano verificare queste condizioni, ma per ora credo che siamo molto lontani da questo optimum.
Non pongo questo realtà tra i futuribili e non dico che, allora, dobbiamo mantenere il seminario con la scuola media, il ginnasio e il liceo fin tanto che le comunità familiare e parrocchiale abbiano raggiunto quel livello. Il problema è più radicale, più fondamentale, più vasto.
Non dobbiamo essere preoccupati soltanto di questi ragazzi che sono in seminario. Dobbiamo essere preoccupati di quei ragazzi che dovrebbero essere in seminario. Dobbiamo preoccuparci perché la famiglia e la comunità parrocchiale siano in grado di sostenere, educare, pregare per gli aspiranti al sacerdozio.
Dobbiamo avere delle comunità parrocchiali dove si ha la preoccupazione viva di curare la comunità perchè sia il terreno adatto, il lievito giusto, tali da far diventare la Chiesa Madre, per la loro unione con Cristo, per la intensità di vita spirituale, per la forza di azione dell’amore di Dio.
OM 421 Seminario 72 – 16-3-1972