4 novembre 1968
All’Assemblea diocesana dei dirigenti di Azione Cattolica
Di fronte alla possibilità, che in questo momento mi si offre, di avviare un colloquio coi rappresentanti più impegnati del nostro laicato, io mi trovo nell’atteggiamento particolare di chi non vuole fare un “discorso”, ma nello stesso tempo sente che è venuto il momento di avviarsi verso un’intesa. L’intesa che deve stabilirsi tra voi e il Vescovo e tra il Vescovo e voi, dal momento che non possiamo toglierci di dosso la comune responsabilità di portare avanti insieme la missione salvifica della Chiesa.
So che in mezzo a voi, legittimamente, è viva l’attesa di sapere che cosa pensa il Vescovo dell’azione cattolica. La vuole o non la vuole? Quale tipo di Azione Ccattolica vuole? Io non mi lascio prendere dalla preoccupazione di rispondere a questi interrogativi. Devo tenere presente che qualunque risposta, anche la più chiara ed esauriente, è sempre soggetta a un determinato modo di essere intesa. I nostri buoni scolastici erano d’avviso che ” quidquid recipitur per modum recipientis recipitur “. Oggi si suole dire con meno esattezza: altro è vedere una cosa da destra e altro è vederla da sinistra. Io devo persuadermi, e voi dovete fare altrettanto, che per intenderci deve giocare il suo ruolo anche il tempo.
Nella liturgia di questa mattina abbiamo ascoltato: « Io sono il buon pastore, e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre (gio. 10,14-15). Mettiamo bene a posto le cose: Il Pastore è Gesù Cristo. Gli altri nella Chiesa lo sono soltanto per una certa analogia. Ma esiste anche una analogia tra la conoscenza di Gesù per le sue pecore e la conoscenza del Vescovo per i suoi fedeli. Come esiste una analogia tra la conoscenza delle pecore per Gesù e quella dei fedeli per il Vescovo. Di più questa analogia va riportata alla conoscenza che il Padre ha di Gesù e quella che Gesù ha per il Padre Si tratta della conoscenza in senso biblico, che equivale alla esperienza più profonda del rapporto di due persone che vivono una unica vita.
Capite a quale fonte e a quale vertice attinge la nostra intesa. Quindi, non pretendete di uscire questa mattina e dire: -il Vescovo la pensa così-. No, io vi dico soltanto:-diamo tempo al tempo-. Operiamo e camminiamo insieme nella pazienza e arriveremo a comprenderci sempre più a fondo, con molta nostra gioia come capita tra persone che si vogliono bene. Se a distanza di dieci mesi, da che ci siamo incontrati, dicessimo che ci siamo già capiti, diremmo una cosa infondata. Perciò, se il Signore ce lo darà, diamo tempo al tempo.
Che cosa pensa il Vescovo dell’Azione Cattolica?
Ecco, io mi sento come uno che fa l’esame di coscienza ad alta voce. Prima di tutto penso che l’ Azione Cattolica, cioè quella forma di apostolato laicale che corrisponde alle note delineate dall’ultimo e più solenne documento del Magistero, il n. 20 dell’« Apostolicam actuositatem», sia qualche cosa di essenziale nella Chiesa, cioè come afferma Paolo VI, l’azione cattolica appartiene alla costituzione della Chiesa.
L’ Azione Cattolica non si giustifica per la ragione negativa che ci sono pochi preti, è invece esigita dalla natura stessa della Chiesa. Se si verificasse tale abbondanza di sacerdoti da assolvere, per mezzo loro a qualsiasi compito apostolico, al punto che i laici se ne sentano del tutto esentati, questo non sarebbe un bene ma un male per la Chiesa. Capiterebbe come quando in un organismo vivente alcune membra non svolgono la loro funzione: è una illusione ritenere che quell’organismo sia efficiente. Il fondamento primo della necessità dell’ Azione Cattolica è la responsabilità comune a tutti i membri del Popolo di Dio nella missione salvifica della Chiesa. Diversi sono i compiti e i doveri nella Chiesa, unica è la dignità e la responsabilità.
Ma esiste una ragione precisa che definisce un ambito particolare dell’attività apostolica, secondo cui si chiarisce la natura e la necessità dell’ Azione Cattolica : La missione della Chiesa ha come scopo la salvezza degli uomini, che si raggiunge con la fede in Cristo e la sua grazia. Perciò l’apostolato della Chiesa e di tutti i suoi membri, è diretto prima di tutto a manifestare al mondo il messaggio di Cristo con la parola e i fatti e a comunicare la sua grazia. Ciò si effettua principalmente con il ministero della parola e dei sacramenti, affidato in modo speciale al clero, nel quale anche i laici hanno la loro parte molto importante da compiere ” per essere anch’essi cooperatori della verità”. Specialmente in questo ordine l’apostolato dei laici e il ministero pastorale si completano a vicenda (Aapostolicam actuositatem 6). A mio avviso è proprio questo l’ambito in cui si definisce l’ Azione Cattolica: la complementarietà tra il ministero della Gerarchia e l’apostolato dei Laici.
Nella Chiesa esistono delle attività salvifiche che non sono esaurite né dal ministero pastorale, né dall’apostolato dei laici e dove la collaborazione non è richiesta soltanto da ragioni di maggiore efficienza, ma dalla natura stessa di questa attività, al punto che essa diventa interdipendente. Queste attività poi non sono individuate una volta per sempre, ma si impongono volta per volta per il fatto che le situazioni del tempo presente sono costitutive dell’essere e dell’operare della Chiesa
La dipendenza dalla Gerarchia
Al fine di chiarire sempre meglio le cose, non dimentichiamo che le attività di cui parliamo riguardano la missione evangelizzatrice e santificatrice della Chiesa al punto dove ministero pastorale e apostolato dei Laici si completano. Da questo fatto derivano tre conseguenze:
a) l’Azione Cattolica è essenzialmente sulla linea della collaborazione
b) questa collaborazione è sulla linea dell’azione della Gerarchia
c) l’azione e la collaborazione dei laici si svolge sotto la superiore direzione della Gerarchia.
Quest’ultima condizione è la più difficile da accettare, forse perché è la più difficile da intendere. Quando si pensa alla dipendenza di una persona da un’altra, facilmente ci si riferisce a categorie civili di dipendenza oppure ad attuazioni storiche nella vita della Chiesa. E’ molto difficile fare prevalere le ragioni evangeliche che definiscono qualsiasi genere di rapporti nella Chiesa e che li rendono non solo accetti ma ricercati.
Intanto nella Chiesa non esistono categorie o classi di persone. Unica è la dignità e la libertà dei figli di Dio. Il rapporto di dipendenza non ha mai come motivo la disparità tra le persone,ma unicamente la diversità dei compiti che postulano una disponibilità di servizio a favore del bene comune. La ragione profonda della dipendenza è la fedeltà alle esigenze della volontà dell’unico Signore di tutti. La Gerarchia è in assoluto rapporto di dipendenza, nel suo esistere e nel suo operare, dall’unico Profeta, Re, e Sacerdote che è Cristo. La dipendenza del laico dalla Gerarchia termina non alle persone rivestite del sacro ministero, ma a Cristo nella cui persona queste svolgono i loro compiti.
Quando l’ambito di attività dell’ Azione Cattolica è rettamente definito, si scopre che esso si spinge molto dentro nella sfera di azione che è specifica della Gerarchia: evangelizzare e santificare gli uomini per adunarli nella carità con l’annuncio della Parola e il ministero della grazia. Mentre da una parte va sempre più approfondita la coscienza della partecipazione di tutti i battezzati all’ufficio sacerdotale, regale e profetico di Cristo, dall’altra parte non va dimenticato che Gesù Cristo edifica l’unità e l’organicità del suo Corpo attribuendo i compiti e i doni salvifici secondo una natura e una misura corrispondenti alla sua volontà. Non si tratta di riconoscere dei privilegi alle persone, ma di accogliere con rispetto e riconoscenza i doni della salvezza attraverso i canali disposti dalla divina Misericordia. La dipendenza nella Chiesa diventa apertura alle vie sulle quali Cristo ci vuole incontrare e salvare.
Sedendo infatti alla destra di Dio Padre, il Signore Gesù Cristo, Pontefice Sommo, non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici, ma in primo luogo per mezzo dell’eccelso loro ministero predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno nuove membra incorpora, con la rigenerazione soprannaturale, al suo Corpo; e infine con la loro sapienza e prudenza dirige e ordina il Popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine » (Lumen Gentium 21).
Capita quasi inevitabilmente che le umane ingerenze, della persona rivestita di compiti salvifici, turbino e oscurino la presenza e l’azione di Cristo da cui, questi compiti, ricevono valore ed efficienza. A questo scoglio si misura la maturità del credente. Il credente mentre si vale della libertà dei figli di Dio e con sincerità e carità coopera a fare « rientrare » queste umane ingerenze, è attento a cogliere, ad aprirsi e a collaborare con l’azione che Cristo compie per mezzo dei ministeri della sacra Gerarchia. Questo non mortifica le dignità della persona dei laici, ma dà loro modo di inserire la propria azione in quella più valida ed efficiente dei sacri ministri. Questione di scelte.
Forse si può usurpare una espressione di nostro Signore e dire: non tutti capiscono questo discorso, ed è certo che non tutti i laici sono chiamati a fare Azione Cattolica. L’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure tutto l’ordine temporale. Per cui la missione della Chiesa non è soltanto portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini ma anche animare e perfezionare l’ordine temporale con lo spirito evangelico. I Laici dunque, svolgendo la missione della Chiesa, esercitano il loro apostolato nella Chiesa e nel mondo » (A.A. 3).
Il decreto « Apostolicam Actuositatem » (6-7-8) definisce tre tipi principali di apostolato laicale secondo la finalità propria di ciascuno:
a) l’apostolato di evangelizzazione e di santificazione
b) l’animazione cristiana dell’ordine temporale
c) l’azione caritativa.
Il cristiano sensibile ai problemi della Chiesa e del mondo, può valutare in modo diverso queste tre finalità dell’unica missione della Chiesa, può stabilire una priorità secondo l’importanza, secondo l’urgenza oppure secondo le proprie attitudini o preferenze. Sono certamente ammesse delle scelte le quali però non devono comportare delle esclusioni. Un laico che si impegna nella evangelizzazione e nella santificazione degli uomini, non può perdere di vista il compito intrinseco alla propria condizione di animare cristianamente la propria attività professionale, come non può trascurare i doveri della carità cristiana. Reciprocamente va detto per chi assume uno, dei due altri impegni di apostolato.
L’altra cosa che non va dimenticata è questa: chi si impegna nell’animazione cristiana dell’ordine temporale e chi compie opere di carità verso i propri fratelli, lo fa tanto più efficacemente quanto più è « evangelizzato e santificato » e tanto l’azione animatrice quanto quella caritativa hanno una loro forza di evangelizzazione che postula, di sua natura, una vera e propria azione evangelizzatrice e santificatrice.
In questa ora della storia nella quale la evoluzione delle situazioni in cui si viene a trovare la Chiesa assume un ritmo incalzante, è quanto mai necessario fare delle scelte secondo l’ordine dei valori più che secondo l’ordine delle urgenze e delle attitudini. Questo non significa che tutti si debbano dedicare all’apostolato della Parola e della Grazia e che si debbano trascurare gli altri impegni. La situazione concreta e le indicazioni della Chiesa debbono suggerire le scelte, in qualche caso anche a costo di sacrificare le proprie preferenze. Pare certo che in concreto non si può fare la scelta di un altro tipo di apostolato quando non è garantito che giungerà tempestivamente l’azione evangelizzatrice e santificatrice.
L’Azione Cattolica di oggi
A questo punto della nostra conversazione è già chiara la risposta al secondo interrogativo: qual’è l’azione cattolica che vuole il Vescovo? Per una certa completezza permettete qualche richiamo ai capoversi b) e c) del noto numero 20 del nostro decreto; a) e d) sono già stati sufficientemente analizzati. « I laici, collaborando con la gerarchia secondo il modo loro proprio, portano la loro esperienza e assumono la loro responsabilità nel dirigere tali organizzazioni, nel ponderare le circostanze in cui si deve esercitare l’azione pastorale della Chiesa e nella collaborazione ed esecuzione del piano di attività » (A.A. 20, b). Sono due gli elementi che interessano particolarmente in questa nota: l’esperienza e la responsabilità. Il Concilio ha dissipato certi preconcetti a riguardo della esperienza religiosa, anzi la assume come elemento di progresso nell’approfondimento della verità rivelata. Gesù stesso ha voluto fare una piena esperienza umana (cf Ebr. 4,15; 5,8) L’esperienza si pone nella linea del mistero della incarnazione e perciò entra di pieno diritto come elemento di vita e di azione della Chiesa. E’ il modo di essere e di operare più concreto richiesto dalla natura dell’azione apostolica. In questa azione i laici sono chiamati a portare il contributo insostituibile della loro esperienza.
Esiste una situazione di fatto. Anche se non si giustifica tutto ciò che si afferma sul clero come “casta” , è innegabile che un certo tipo di formazione ha spinto i sacri ministri parecchio “fuori” del mondo perché non fossero ” del ” mondo. Perciò esiste una certa ragione contingente che postula l’esperienza dei laici come completamento di quella dei sacerdoti. Indipendentemente da questa considerazione rimane sempre diversa e incompleta sia l’esperienza del sacerdote come quella del laico, i quali sono chiamati a vivere da dentro, in forza del loro impegno, l’uno le cose di Dio, l’altro le realtà temporali.
Senza volere pensare a dei settori ” in esclusiva” prevale il fatto di un impegno di esistenza in uno stato diverso nella vita della Chiesa. Ha quindi una importanza determinante che l’esperienza sia del sacerdote che del laico sia autentica: per il primo nelle cose che riguardano Dio, per il secondo nelle cose che sono della terra, per entrambi però vale la misura e l’esigenza del Vangelo di essere ” nel ” mondo e di non essere ” del ” mondo. Quindi ai fini di una collaborazione apostolica come si esclude il sacerdote ” mondano “, così riduce il suo contributo il laico che per libera determinazione si preclude una piena esperienza mondana.
I laici poi che collaborano con la Gerarchia debbono essere responsabili delle organizzazioni di apostolato sia nella loro direzione, come nella elaborazione ed esecuzione dei piani di attività, sia nella determinazione dei tempi, delle circostanze e dei modi di esercitare l’azione pastorale.
E’ innegabile che se non si verificano queste condizioni l’azione con cui i laici affiancano quella della Gerarchia non è autenticamente laicale: non è qualche cosa che si aggiunge per completare (cf A.A.6), ma qualche cosa che si assorbe e scompare nell’unica azione del ministero gerarchico. Qui forse si trova il punto più delicato di una certa crisi dell’Azione Cattolica. I sacerdoti avvertono che l’apporto dei laici alla efficienza della loro azione non corrisponde alla somma di impegni e di energie necessarie per sostenere le organizzazioni; i laici dal canto loro si sentono in una condizione di inferiorità, privi di possibilità di iniziative e di decisione. Il pericolo è quello di dibattersi in un circolo chiuso magari a scambiarsi accuse e rimproveri, che in definitiva sono immeritati.
Uscire dal circolo chiuso
Da molto tempo si ripete che siamo a una svolta della storia. E’ arrivato il momento che di questa svolta non siamo più gli spettatori ma gli attori. La cosa seria è che gli avvenimenti camminano nel senso della svolta e noi possiamo trovarci fermi nelle nostre posizioni mentali in una situazione di penoso disagio. Noi sacerdoti fermi nella posizione di quando l’Azione Cattolica è nata e cresciuta e ha dato ottimi frutti, ma con il torto di non avvertire che, almeno dopo cento anni (!), “Dirigenti ” delle organizzazioni dovevano essere posti in condizione di non essere più ” diretti “. Il necessario periodo di a “supplenza ” doveva preparare il tempo delle consegne ai legittimi titolari.
I laici rivendicano una legittima autonomia, ma in troppi casi la loro preparazione e competenza non è pari alla responsabilità a cui sono chiamati. Bisogna uscire dal circolo chiuso. I sacerdoti devono educare dei laici maturi e quindi capaci di responsabilità e poi devono realmente abdicare a delle competenze che proprio per la loro natura sono da trasferire ai laici. I laici devono rendersi conto che il ruolo a cui sono abilitati nell’apostolato di Azione Cattolica richiede una vera competenza: non si può fare i dilettanti con la responsabilità della missione salvifica della Chiesa.
Oggi deve essere un momento di grande pazienza: la crisi deve segnare un effettivo passaggio a una condizione nuova, preparata e maturata dalla sincera collaborazione di tutte le parti, offerta con umiltà grande e carità. « Uniti come in un corpo organico » il paragrafo c) del nostro numero 20 definisce una nota che entra nelle componenti necessarie di ogni azione di Chiesa, dice: ” i laici agiscono uniti a guisa di un corpo organico affinché sia meglio espressa la comunità della Chiesa e l’apostolato riesca pii! efficace”. E’ sempre stata latente la tentazione di pensare che l’efficacia dell’apostolato dipendesse dalla buona organizzazione. Era convinzione corrente che fosse decisiva quella che si chiama l’anima dell’apostolato, la intensità della vita interiore dell’apostolo. Non si era avvertito, almeno al punto come oggi viene rilevato dal Concilio, che era lasciato in ombra l’elemento caratteristico della efficacia dell’apostolato della Chiesa: di essere azione di Chiesa. Quindi, non solo compiuta a nome della Chiesa, diretta dalla Chiesa, con i mezzi di cui Cristo ha dotato la Chiesa, ma come comunità unita nella carità che è la Chiesa.
E’ il passaggio da una concezione e da un atteggiamento individualista e organizzativo a una concezione e a un atteggiamento, oltre che a un comportamento, comunitaria e organico, dove ognuno si sente persona aperta agli altri per ricevere e per dare dove tutti si sentono aperti agli altri, siano essi individui o associazioni di altro tipo. Così che l’anima dell’apostolato è la carità reciproca degli associati e la carità verso tutti è la proposta fondamentale del Concilio: di essere Chiesa, di vivere e operare come Chiesa, dove la carità è il vincolo che unisce i membri del Popolo di Dio, dove la vita nuova che attinge alla sorgente dello Spirito Santo,ci rende nuove creature e ci abilita a testimoniare che il Cristo è Figlio di Dio.
Quando tra noi avvertiamo dei disagi, dei segni di crisi, perchè le cose non sono come dovrebbero essere, teniamo presente che nella vita é accaduto un avvenimento della portata del Concilio. Se c’è stato un Concilio e per di più un concilio pastorale, significa che nella Chiesa c’erano delle cose che non andavano, che bisognava cambiare. E’ solo da pochi anni che il Concilio si è chiuso, non è ragionevole pretendere che tutto sia già a posto. Il pericolo è che non si senta il bisogno di muoversi, che si faccia poco, che non si prenda sul serio tutto ciò che esso ci propone, che non ci si impegni fino in fondo.
Quando ci saremo impegnati fino in fondo il Signore da noi non pretende di più, e non è detto che quando avremo fatto tutto ciò che dipende da noi, le cose siano a posto. In questo mondo le cose maturano col tempo e il tempo di maturazione delle cose del Signore non finisce mai perché la meta della maturazione della perfezione cristiana è sempre al di là di ogni traguardo. In noi deve essere operante un grande senso di responsabilità, un impegno senza riserve, una viva sollecitudine, mai l’impazienza.
Le altre associazioni e il problema dei giovani
Prima di terminare questa conversazione permettete che molto succintamente accenni ancora a tre cose, proprio perché conosciate il pensiero del Vescovo.
Che cosa pensa il Vescovo delle associazioni o gruppi che si propongono di fare dell’apostolato al di fuori dell’ Azione Cattolica? Penso che nella Chiesa c’è posto per tutti quelli che vogliono predicare nostro Signore Gesù Cristo. Esiste un criterio preciso che vale per tutti quelli che vogliono lavorare nella Chiesa: – che edifichino nella carità, – che concorrano verso l’unità nella carità, – che siano serenamente aperti e disponibili nella carità verso tutti.
Esiste il problema estremamente serio della gioventù. Ciò che preoccupa non è tanto il livello morale della loro condotta. – è la così detta contestazione contro il passato e contro il presente, – è il loro modo di percepire i valori, – è la loro esigenza di avere risposte concrete e valide sul piano dell’efficienza.
Io dico a me stesso, ai miei sacerdoti e a voi di Azione Cattolica: – i giovani esigono da noi che siamo autentici, – i giovani vogliono che dimostriamo nella nostra esistenza la validità delle soluzioni proposte da nostro Signore, – i giovani hanno bisogno di incontrare delle persone, non vogliono idee o cose fatte per loro. Mi riferisco specialmente a una certa tentazione da cui potremmo essere presi e che da molte parti è sentita come un vivo problema: le case per la gioventù. Io non le escludo. Io e i miei sacerdoti dobbiamo avere nella coscienza che ciò di cui abbisognano i nostri giovani è la salvezza che viene da Gesù Cristo e che questa salvezza giunge ai nostri giovani per virtù della Parola, per la forza della Grazia e per la capacità unificatrice della Carità la Parola, la Grazia, la Carità che giungono loro non attraverso le cose o le case ma nella umile autenticità delle persone. Quando ci sono le persone anche le case possono servire. Quello di preparare e dirigere dei centri per il tempo libero dei giovani è compito degli educatori cristiani: genitori in primo luogo.
Ed ecco l’ultima cosa. L’Azione Cattolica così intesa e qualsiasi azione pastorale, oggi più che in passato, trova il suo punto di leva nella misura della qualificazione e dell’impegno delle persone.
Qualificazione e impegno personale
Per chi si propone l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza non basta che sappia fare dei rilievi di situazione, che conosca le tecniche della propaganda, che sia un bravo organizzatore, sono tutte doti che possono anche essere esigite e sono utili; ma chi le usa deve essere una persona che alimenta la sua esistenza alla mensa della Parola di Dio e della Carne e del Sangue dell’unico Salvatore e che cammina spedito nella via della legge di Dio.
In passato si diceva che per fare dell’apostolato bisognava attendere alla meditazione, frequentare i Sacramenti, formarsi una buona direzione spirituale. Oggi, io vi dico con molta convinzione e sostenuto dal magistero di un Concilio, non soltanto che questo rimane sempre valido, ma che va aggiornato nel senso che: non si dà vita di Chiesa e azione di Chiesa che non sia la conseguenza diretta dell’ascolto, dell’accoglimento, della maturazione della Parola con cui Dio aduna il suo Popolo e lo fa crescere. La partecipazione cosciente e attiva all’azione liturgica, quale culmine a cui tende l’azione della Chiesa e quale sorgente da cui promana la sua efficienza salvifica è uno dei dettati più espliciti del Concilio.
Infine, oggi che una più elevata maturità sociale degli uomini ha risvegliato una più viva consapevolezza della dignità della persona, l’autonomia della coscienza è rivendicata con maggiore insistenza: la formazione cristiana della coscienza degli uomini si pone sulla stessa linea e come conseguenza inscindibile della loro evangelizzazione e santificazione. Per comprendere il punto a cui voglio pervenire permettetemi di richiamare ancora Gesù buon pastore che conosce le sue pecore per nome ed esse conoscono lui e lo seguono (. 10,4).
E’ una gioia per tutti il fatto che la Chiesa con Papa Giovanni e con tutto l’intento di un Concilio abbia riscoperto e si sia proposta di assumere il suo volto e il suo carattere, oltre che uno stile, ” pastorale “. Sarebbe poi sorprendente che non si sentisse il bisogno di affidarsi all’azione di un preciso ministero istituito dal nostro Signore Iddio, che ha la sua attuazione concreta in una « direzione spirituale », la quale da una parte si fonda nella grazia del ministero e dall’altra tende a formare delle persone adulte capaci di camminare da sole.
OM 139 Azione Cattolica 1968 – Mantova, 4 novembre 1968
All’Assemblea diocesana dei dirigenti di A. C.