incontro con le religiose
“Vi esorto dunque io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo nel vincolo della pace. Un corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,1-5)
Figliuole care, stiamo celebrando la Parola di Dio: una parola che la Chiesa ha scelto per voi, in una circostanza come questa, per chiedere e favorire le vocazioni religiose. Questa parola, com’è nella sua natura, ci riporta ad un mistero della nostra fede, ad un avvenimento della Storia della Salvezza. Il fatto centrale, lo avete ascoltato: “Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,5). Essendoci un solo Padre, vi è un solo Corpo che è quello di un solo Signore: Gesù Cristo. Questo Corpo di un unico Signore è animato da un solo Spirito: lo Spirito Santo.
In questa celebrazione si attua una meravigliosa realtà: il Padre ci chiama nel suo Diletto ad essere santificati per essere ripieni della sovrabbondanza della sua grazia in Lui, per l’azione dello Spirito Santo il quale compie in ciascuno di noi l’opera preparata dal Padre e realizzata dal Figlio. Conseguentemente, in noi vi è una sola fede. Noi siamo stati segnati da un solo Battesimo e questo stabilisce un rapporto di vita: un rapporto di esistenza tra il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo e la nostra persona e i fratelli che ci circondano e tutte le creature che esistono.
Ne nasce quella che noi chiamiamo “vocazione”. L’Apostolo Paolo ce la descrive. Ci dice in che cosa consiste e persino come si deve attuare giorno per giorno, momento per momento, in rapporto a tutte le creature: “Vi supplico, fratelli, io prigioniero del Signore – è un inciso che Paolo mette in evidenza quasi per commuovere i destinatari della sua lettera, perché tengano presente che egli insegna ed afferma queste cose mentre è prigioniero per amore di nostro Signore Gesù Cristo a condurre una vita degna della vocazione alla quale siete stati chiamati” (Ef.4,1). Non dimenticatelo: è la vocazione alla fede, alla speranza alla carità che si attua nel Battesimo per opera del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Che cosa significa vocazione? Lo dice ancora San Paolo: è un pensiero di Dio che dall’eternità, ci ha prescelto in mezzo a molti, ha stabilito che le cose andassero come sono andate nello svolgersi della nostra esistenza concreta ci ha fatto sentire personalmente la sua voce nell’intimo della nostra persona. Ognuno di noi che è stato chiamato da Dio, conosce la propria storia e sa come è avvenuto che la voce del Padre, attraverso il Figlio, per l’azione dello Spirito Santo, sia giunta nell’intimo della propria persona. Per chiamarci a che cosa?
Ad essere della famiglia del Padre, perché egli solo è il Padre, perché solo in Gesù Cristo si diventa figli del Padre, perché solo per l’azione dello Spirito Santo questa paternità si traduce in noi in una vitale, reale soprannaturale figliolanza. (cf Ef. 1) Questo è il significato dell’avvenimento di salvezza preordinato nella volontà di Dio, nel beneplacito gratuito, da tutta l’eternità, ma che è attuale in ogni momento della nostra esistenza.
Che cosa comporta questa chiamata? Comporta questo: “Con tutta umiltà, mitezza e pazienza, sopportandovi a vicenda nella carità, solleciti di conservare l’unità dello Spirito mediante il vincolo colo della pace. (Ef 4,2) E’ la conseguenza della realtà, cui abbiamo accennato: – vi è un solo Padre per questo siamo tutti figli e quindi tutti fratelli; – vi é un solo Signore del cui corpo siamo le membra; – vi é un solo Spirito nel quale siamo edificati in un unico tempio come pietre vive, cementate tra loro per essere una cosa sola nella carità. Dunque il termine, la meta, la perfezione della nostra chiamata consiste nella carità come fondamento e coronamento di ogni perfezione cristiana e in particolare religiosa, che deve essere raggiunta, difesa, conservata, affermata al di sopra di tutte le virtù.
Per raggiungere questa carità, secondo l’insegnamento dell’Apostolo, dobbiamo attuare certe disposizioni, la prima delle quali è l’umiltà, cioè quel sentimento che ci fa vivere nella realtà dei nostri limiti di creature davanti a Dio, il quale è al di sopra di tutti, in mezzo a tutte le cose, in tutti noi. Perciò noi non dobbiamo mai collocarci al di sopra degli altri, al posto di Dio, ma davanti a Dio nella verità del nostro nulla, perché Dio ha fatto tutto ciò che siamo.
E nella mitezza. Se siamo piccoli e poveri davanti a Dio, se siamo racchiusi nei limiti del nostro nulla, come possiamo volere delle affermazioni di noi stessi nei confronti degli altri?
Come possiamo tenere un atteggiamento che non sia di umiltà, che si manifesti in mitezza, in dolcezza, in rispetto, in garbo verso quelli che ci circondano e, particolarmente, verso quelli che sono della nostra famiglia?
E in pazienza, perché come creature, abbiamo tutti i nostri difetti e le nostre lacune. “Sopportandoci a vicenda”. Non siamo gli uni migliori degli altri e, conseguentemente, dobbiamo sopportarci a vicenda come siamo, e non pretendere ingiustamente ciò che soltanto Iddio può pretendere mettendosi al nostro fianco con la potenza della sua grazia. Noi non abbiamo la grazia da dare agli altri, perché siano come noi li desideriamo, perché siano secondo un nostro modo di intendere la perfezione. “Sopportandoci a vicenda” nella carità, prendendoci gli uni gli altri come siamo, solleciti di conservare l’unità nello Spirito.
E’ uno solo lo Spirito da cui siamo stati segnati, che ci anima come membra del corpo del Signore, che diffonde nel nostro cuore un solo amore indivisibile che parte da lui e si dirama nei nostri cuori e che noi dobbiamo conseguentemente esprimere verso gli altri nell’unità. Le divisioni sono il nostro male sono il nostro peccato: il peccato che ci distacca da quel disegno di Dio, col quale vuole fare di noi una cosa sola perché gli altri abbiano a credere. Dobbiamo essere convinti di questo: gli altri raggiungeranno Gesù Cristo attraverso il nostro apostolato che si esprime anche semplicemente attraverso la nostra esistenza quotidiana, se constateranno che siamo uniti tra noi, gioiosamente, nell’amore vicendevole, mediante il vincolo della pace.
Beati i pacifici, beati quelli che mettono una buona parola, beati quelli che mettono in evidenza il bene, beati quelli che spengono ogni motivo di disagio e di dissenso, beati i portatori del grande dono frutto dalla carità: la pace di nostro Signore Gesù Cristo
Per conseguire questa pace che ci vincola nella carità e forma in noi un solo Corpo il Corpo di Cristo, un solo tempio nello Spirito perché siamo figli del Padre, uniamoci a Gesù Cristo che sarà in mezzo a noi in modo ancora più sensibile e più efficace nella celebrazione eucaristica che quando sarà innalzato, ci trarrà tutti a sè affinché siamo “uno” con Lui.
OM 083 Suore 68