La parola « spiritualità » ha assunto ai nostri giorni una tale estensione di significati da costringere a delle nette restrizioni e precisazioni per evitare gravi equivoci in qualsiasi discorso.
Quando si parla di spiritualità cristiana, in senso essenziale si può affermare che essa corrisponde semplicemente alla vita cristiana e quindi esiste una sola spiritualità, quella del vangelo. Quando invece se ne parla in concreto, in senso esistenziale, le cose stanno diversamente: c’è una spiritualità che corrisponde al modo con cui il vangelo è stato vissuto in uno stato determinato di vita e c’è una spiritualità nella quale si possono mettere in evidenza, in modo indicativo, i valori e gli aspetti particolari della vita spirituale che dovrebbero caratterizzare l’esistenza cristiana in determinate condizioni di vita.
Nel primo caso si fa piuttosto della sociologia religiosa a proposito di un fenomeno già da tempo affermato e che si può cogliere in tutte le sue componenti; nel secondo caso si fa della catechesi della vita spirituale dopo aver elevato le caratteristiche e le esigenze di una situazione di vita, una certa previsione dei condizionamenti e delle reazioni che ne deriveranno.
Della spiritualità dei laici oggi non ne possiamo parlare che in questo ultimo senso e ci pare che la stessa cosa si possa dire della spiritualità del clero diocesano; nel primo senso oggi nella Chiesa esiste di fatto soltanto la spiritualità dei religiosi di cui sono tributari ancora largamente e la spiritualità dei sacerdoti e quella dei laici.
Il Concilio ha compiuto uno sforzo immenso per rendere operante l’unico vangelo di Gesù Cristo nelle vade situazioni concrete del mondo di oggi e mentre riafferma l’unicità della vita cristiana e l’unica santità di quanti sono mossi dallo Spirito di Dio (Lumen Gentium, 41), dall’altra parte afferma che la strada della pienezza della vita cristiana passa attraverso le circostanze di vita e la concretezza degli impegni che comporta ogni stato e insiste a indicare le occupazioni del proprio stato come eccellenti mezzi di santità.
I laici nella Chiesa
In questo stesso numero della Rivista viene delineata una definizione dei laici; qui la richiamiamo unicamente per una più chiara descrizione delle linee della loro spiritualità. I laici sono membri del Popolo di Dio allo stesso titolo dei sacri ministri e dei religiosi; i membra della Gerarchia, i religiosi e i laici hanno doni e compiti diversi, ma per l’edificazione dell’unica Chiesa (Lumen Gentium, 11); i laici, per la loro parte, compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il Popolo di Dio, resi partecipi nella loro misura, dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo (ivi, 30); come i fedeli di ogni stato e condizione, i laici sono chiamati dal Signore, per la loro via, a quella perfezione di santità di cui è santo il Padre celeste (ivi 11).
Come presso il Padre non c’è accettazione di persona, anche se nella sua casa vi sono molte mansioni (Rm. 2, 11; Gv. 14, 2), così nella Chiesa non ci sono condizioni di privilegio, come non ve ne sono a proposito della vocazione alla santità (ivi, 40): gli uffici salvifici della Gerarchia e la vocazione allo stato religioso pongono i rispettivi membra in una condizione di responsabilità, di servizio e di testimonianza nei confronti dei laici; i laici a loro volta, come tutti i battezzati, sono in una condizione di sottomissione alla signoria del Cristo, espressa dai poteri gerarchici, e di tensione escatologica di cui è segno la professione religiosa.
Naturalmente nell’intento di valorizzare i laici nella Chiesa non bisogna in nessun modo abbassare il valore dello stato ecclesiastico e di quello religioso: bisogna piuttosto insistere sul loro comune titolo di appartenenza all’unica Chiesa di Cristo, all’unico Popolo di Dio, all’unica vigna, all’unica casa e dimora del Signore, all’unico Corpo e all’unica Sposa di Cristo. Da questa unicità apparirà più chiaramente la molteplicità dei carismi, la loro complementarietà organica nella diversità dei compiti per una identica missione e la diversità dei membra in un unico corpo.
La spiritualità dei laici
Se unità e molteplicità caratterizzano la natura, la missione e la vita della Chiesa è chiaro che la vita spirituale dei suoi membri deve avere qualche cosa in comune e qualche cosa che li distingue non solo quanto a persone ma anche quanto a condizione e stato di esistenza; pare opportuno insistere ed affermare che ciò che distingue una spiritualità non sta in opposizione alle caratteristiche di un’altra, ma piuttosto costituisce un motivo di ricchezza complementare e di splendore della pienezza della « straordinaria ricchezza della grazia di Dio » (Ef. 2, 7).
Ogni vita spirituale cristiana è vita di « nati da Dio », di « figli adottivi mediante il Cristo », che si esplica con l’esercizio della fede, della speranza e della carità, le quali sono azione salvifica di Dio in noi e nostra collaborazione; tutto viene dal Padre mediante il Figlio nell’unico Spirito: Gesù, dato dal Padre, distrugge la morte dei nostri peccati con il Mistero della sua Morte in Croce e ci prepara la possibilità di « vivere in lui per Iddio » con la potenza del Mistero della sua Resurrezione, finché lo Spirito del Padre e del Figlio realizza la nostra nascita e la nostra crescita attraverso i segni della Parola, della Grazia e della Carità.
La partecipazione al Mistero della Pasqua, con la nostra personale conformazione al Mistero della Morte e della Risurrezione di Cristo, segna la sorgente e i tempi del movimento della vita cristiana: il cristiano è colui che per il dono gratuito della fede e del battesimo è immerso nella Morte di Cristo, ascolta la sua voce, Annega se stesso, prende la sua croce e cammina sui passi di Cristo verso la morte; ma nello stesso tempo è colui che nasce dall’acqua e dallo Spirito, vive di fede, e comprende a quale speranza egli è chiamato, quale sia la ricchezza della gloria della sua eredità fra i santi e quale sia la straordinaria grandezza della potenza di Dio verso coloro che credono, manifestata in Cristo, risuscitandolo dai morti e $facendolo sedere alla sua destra nei cieli (Ef. 1, 20).
In Cristo difatti il cristiano rivive, perché Dio, ricco di misericordia, in Lui ci ha risuscitati e fatti sedere nei cieli (Ef. 1 e 2). Cosicché la vita del cristiano è segnata dal mistero di una duplice presenza, quella insondabile del peccato e quella impensabile ma sicura dell’Amore infinito di Dio; questo Amore colma l’abisso di morte del peccato e apre una sorgente di vita che sale fino all’eternità; perciò morte e vita, dolore e speranza, Annegamento e affermazione di sé, rinunzia e possesso, tristezza e gioia segnano paradossalmente, come delle antinomie, la vita cristiana.
Si accenna appena che la vita cristiana, vita di Dio in noi, che fluisce da Gesù Cristo nostro Capo, e che lo Spirito Santo diffonde attraverso la Parola, i segni della Grazia e della Carità, trova nella azione liturgica, mensa della Parola di Dio e del Corpo di Cristo e momento dello « stare insieme nella carità », la sua sorgente e il suo apice (Sacrosanctum Concilium, 10), quindi il mezzo autentico ed efficace di unione al Padre per mezzo del Cristo, nell’unico Spirito.
Questi elementi della vita cristiana (nati dal Padre, per il Figlio, nello Spirito, per il dono della fede, della speranza e della carità), questi momenti (morte e vita) e questi mezzi (Parola, Grazia e Carità) sono alla base di ogni spiritualità e coloro che li possiedono, li vivono e li esercitano sono sacerdoti, re e profeti di Dio nella sua Chiesa e nel mondo.
A loro volta queste prerogative, questi poteri e questi uffici che ci configurano a Cristo nella totalità del suo essere di Verbo incarnato e nella sua missione, ci trasferiscono in una condizione nuova di esistenza e impegnano essenzialmente questa nostra nuova esistenza in compiti specifici di salvezza. Però sacerdoti, re e profeti non lo siamo per « volontà d’uomo » o condizionatamente al nostro stato di vita; ma lo siamo per « volontà di Dio » il quale in Cristo ci ha eletti prima ancora della fondazione del mondo, affinché fossimo santi ed immacolati dinanzi a lui nell’amore, predestinati alla adozione di figli per mezzo di Gesù Cristo, nel quale vuole « ricapitolare » tutte le cose (Ef. 1, 10).
A questo punto prende una particolare evidenza il fatto che per delineare la spiritualità dei diversi stati nella Chiesa si debba partire dal ruolo del Cristo nella totalità della Creazione Incarnazione Redenzione e di conseguenza stabilire il diverso ruolo degli uffici salvifici comunicati ai diversi membri della Chiesa, tenendo ben presente che, pur essendo diversa la natura e il grado di partecipazione a tali uffici, unica è la sorgente da cui derivano, unico lo scopo a cui tendono e quindi unica è la organicità esecutiva in cui devono inserirsi al fine di raggiungere la loro piena efficienza.
Gesù Cristo e la creazione [2]
Il Dio Creatore dell’Antico Testamento è il Padre di Gesù Cristo; anzi Gesù Cristo è il solo Signore per mezzo del quale sono create tutte le cose, e noi per mezzo di Lui (1 Cor. 8, 6), Principio della creazione di Dio (Ap. 3, 14), Colui che sostiene il tutto con la potenza della Parola di Dio (Ebr. 1, 3); tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in Lui e tutte in Lui sussistono (Col. 1, 16-17).
Gesù Cristo, il Verbo che in principio era presso Dio, prima di diventare carne, ha fatto tutte le cose e fin da principio era la vita e la luce dell’universo (Gv. 1, 3ss). La dottrina della creazione sfocia nella contemplazione del Figlio di Dio, artefice, modello e scopo di tutte le cose.
Gesù Cristo Figlio di Dio, fatto uomo, entra nella creazione sconvolta dal peccato e perciò destinata a tramontare e a scomparire; ma l’umanità da Lui assunta inaugura una nuova creazione: questa nuova creazione vale per l’uomo rinnovato interiormente dal battesimo che lo rende conforme all’immagine di colui che l’ha creato (Col. 3, 10) e diventa nel Cristo « nuova creatura » (Gal. ó, 15), ma vale pure per I’universo poiché il piano di Dio è, come già fu detto, di ricapitolare tutte le cose in Cristo. Questa nuova creazione inizia per l’uomo il giorno di Pentecoste, ma il suo compimento è solo nella speranza: intanto egli, rinnovato interiormente, geme nella attesa della redenzione del suo corpo (Rm. 8, 23); intorno a lui l’intera creazione, attualmente soggetta alla vanità, attende con gran desiderio la rivelazione dei figli di Dio, con la speranza di essere liberata dalla servitù della corruzione per aver parte alla libertà della gloria dei figli di Dio (Rm. 8, 19-21) (Lumen Gentium, 36).
Questa è la meta verso cui cammina tutta la storia, verso cieli nuovi e nuova terra (2 Pt. 3, 13): « Il primo cielo e la prima terra sono infatti scomparsi e il mare non è più… E colui che sedeva sul trono disse: ecco io faccio nuove tutte le cose » (Ap. 21, 1 e 5). Questa sarà la creazione finale dell’universo trasfigurato, in seguito della vittoria definitiva dell’Agnello.
Questo è il vertice di perfetta unità della Creazione e della Redenzione dal quale si può almeno intuire il senso della presenza e dell’azione del Verbo incarnato nella storia della salvezza dell’uomo dal peccato e della liberazione dell’universo dalla vanità e dalla servitù della corruzione (Rm. 8, 21). Il Verbo assunse un’anima e un corpo ed è uomo perfetto; salva tutto l’uomo, la sua anima e il suo corpo: la sua anima per cui appartiene alle creature celesti e il suo corpo per cui appartiene alle cose terrestri, le quali tutte devono essere ricapitolate in Cristo.
Gesù Cristo nel suo essere di Figlio di Dio fatto uomo e nella sua missione di Salvatore è entrato nella Creazione come Figlio tutto riferito al Padre, come Sacerdote Re e Profeta per riportare tutto al Padre. Ma a parte le parole e i gesti profeticamente escatologici che, rivelano la trascendenza del Regno di Dio e il suo valore definitivo, si è incontrato con le realtà temporali con l’atteggiamento di chi le ha create e non è venuto per distruggerle o cambiarle, ma per orientarle al servizio dei figli del Padre. « Tutto è vostro; ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio » (1 Cor. 3, 22-23). Nel Cristo la Creazione è assunta nel Mistero della Incarnazione e della Redenzione, mantenendo il suo valore, la sua finalità nell’unico Piano di Dio.
In questa visione la Creazione non è qualche cosa di estraneo all’ordine soprannaturale della salvezza; la distinzione di ordine naturale e soprannaturale non è un motivo di separazione, ma ribadisce, se mai, una perfettibilità che la grazia conferisce alla natura; le realtà temporali non sono più semplici strumenti, ma conservano la loro finalità intrinseca, e il loro ordinamento al fine ultimo non deriva loro semplicemente dall’intenzione (finis operantis), ma dalla loro stessa natura (finis operis); chi si impegna in queste realtà è certamente nell’ambito del Piano di Dio, il suo impegno è incondizionato, non impone riserve e sleali sottintesi.
Ecco l’ambito della vocazione e della missione dei laici. « Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta » (Lumen Gentium, 31).
Qui specialmente i laici sono sacerdoti re e profeti e compiono, « per la loro parte, la missione propria di tutto il popolo cristiano » (ivi); qui « sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo, mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo, a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità. A loro quindi spetta particolarmente di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e Redentore » (ivi).
Il comando degli inizi della Creazione « crescete, moltiplicatevi e riempite la terra, assoggettatela » (Gn. 1, 28) rimane un compito assegnato da Dio, da svolgersi secondo il senso della Incarnazione, Morte e Risurrezione di Cristo.
Per una spiritualità dei laici
Ora sembra abbastanza evidente quali siano i lineamenti di una spiritualità dei laici. La limitatezza dello spazio ci dispensa dal compito di sviluppare i punti che indichiamo.
Volontà di Dio
L’esistenza del laico trova il suo fondamento nella volontà esplicita di Dio il quale l’ha iscritta nella natura stessa, senza pentimenti e senza sottintesi, nonostante la presenza del peccato e delle relative conseguenze.
Formare una famiglia, procurare il pane, ordinare la convivenza sono quelle cose che gli uomini devono fare perché Iddio sia glorificato, abbia il suo Popolo formato di tanti figli, che Egli ha concepito nel Diletto Figlio suo a lode della sua gloria (Ef. 1, ó).
La volontà di Dio è il massimo valore che possa raggiungere l’uomo; la volontà di Dio è più importante dell’oggetto comandato: non si raggiunge la perfezione secondo il valore dell’oggetto del comando divino, ma secondo il grado di adesione alla divina volontà. Il laico impegnato nei suoi compiti temporali si trova in un rapporto di amore con Dio, che non ha nulla da invidiare al sacerdote o al religioso.
Questa coscienza liberata da complessi di inferiorità deve aprire e dilatare gli orizzonti e il clima della vita spirituale dei laici: la volontà di Dio è santa e santificatrice.
Vocazione
Nell’ambito della creazione i laici vivono e operano come figli di Dio, membra del suo Popolo, del quale compiono, per la loro parte, la missione, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo (Lumen Gentium, 31).
I laici nella Chiesa non stanno Aspetto alla Creazione come chi non crede e non è battezzato: sono resi partecipi del significato del Mistero dell’Incarnazione e rivestiti degli uffici salvifici di Cristo Redentore e, proprio specificamente verso il mondo e non solo verso la Chiesa (ivi), rendono attuale la presenza di Cristo e la sua azione di Salvatore non solo degli uomini ma del Creato.
Questa posizione dei laici nella Chiesa, con queste loro implicazioni « in tutti i singoli doveri e affari del mondo nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta » (ivi), è un vero stato o modo di esistenza il quale mentre accomuna la loro vita con quella di tutti i battezzati (sacerdoti e religiosi), li lascia nella stessa situazione dei non battezzati; così che da una parte il loro essere (figli di Dio) e Ie loro capacità (virtù teologali e poteri salvifici) è dell’ordine della grazia, d’altra parte i loro compiti sono dell’ordine della creazione; a differenza dei sacerdoti e dei religiosi i cui compiti specifici riguardano l’ordine soprannaturale. I laici vengono quindi ad essere caratterizzati dal fatto di compiere le cose del mondo da figli di Dio.
Il Concilio riconosce pienamente a questa condizione di vita la prerogativa di una vera vocazione: a per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio, trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio »; nel secolo « sono chiamati da Dio a contribuire, quasi dall’interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo » (ivi).
In ordine alla vita spirituale ne deriva che i laici debbono, come tutti i battezzati, « crescere in grazia », diventare « uomini perfetti », raggiungere la « misura della statura perfetta » (Ef. 4, 13) attraverso l’esercizio della fede, speranza e carità negli impegni derivanti dai rispettivi uffici salvifici per la comune edificazione della Chiesa.
Rispetto al Creato poi devono vivere la vita di grazia, esercitare le virtù teologali e gli uffici salvifici sia per testimoniare Cristo agli altri, sia per ordinare le cose temporali secondo Dio.
Nel primo caso si è soliti parlare di apostolato dei laici e qui è impegnata la testimonianza della loro stessa vita e il fulgore della loro fede, speranza e carità; mentre nel secondo si tratta della così detta «consecratio mundi», la quale se, come fondo, richiede la santità comune della vita che anima soprannaturalmente il laico e ne orienta le intenzioni, in modo specifico esige alcune qualità che diventano caratteristiche della spiritualità dei laici.
Competenza
I figli di Dio e membri della Chiesa proprio perché tali quando trattano le cose temporali, illuminati dalla fede, sostenuti dalla speranza, per la carità che li lega a Dio e al prossimo, sanno che il compito in cui si trovano impegnati è la loro via per compiere la volontà di Dio.
L’oggetto della volontà di Dio, a un certo punto, diventa la determinazione concreta di questa volontà che sarà accolta alla luce delle virtù teologali ed eseguita con quelle disposizioni che corrispondono alle naturali esigenze dell’oggetto stesso.
All’Amore di Dio per la sua Creazione corrisponde il « si » fedele della sua creatura, che si prepara convenientemente al suo compito che si applica con lealtà e acquista una vera competenza. Viene in mente il significato ironico che col tempo ha assunto l’espressione: «fare le cose per amore di Dio ».dove purtroppo si sottintende quanto di « alienante » ha introdotto il pretesto dell’intenzione soprannaturale in luogo della competenza che dovrebbe in ogni caso contraddistinguere le azioni dei figli di Dio. Non è certamente una Comunione fervorosa che giustifica la professione esercitata senza gusto, senza entusiasmo e con scarsa competenza. Anzi la competenza professionale, nei compiti che specificano il proprio stato, costituisce l’elemento base della esemplarità di vita di ogni credente.
Impegno
Se le cose attendono con gemiti di essere liberate dalla vanità e dalla corruzione, Dio ha dato un insostituibile compito all’uomo: « crescete, moltiplicatevi,… assoggettate la terra » e attende di ricapitolare tutto in Cristo. Gesù Cristo va estendendo la sua « Signoria » su tutto per poi rimettere ogni cosa nelle mani del Padre.
In questo piano prendono il loro specifico risalto i compiti salvifici che i laici sono chiamati a svolgere nel Creato.
Sono i figli di Dio i quali essendo chiamati dal Padre a impegnarsi nelle realtà temporali, hanno una particolare vocazione per « ordinare le cose secondo Dio ». Nella unitarietà del piano della Creazione e della Redenzione non è un trasferimento indebito degli uffici salvifici che derivano dalla Redenzione all’universo creato che attende di essere salvato per entrare a far parte della nuova Creazione.
I laici rivestiti del potere profetico sono chiamati più degli altri a « conoscere » il significato del mondo e delle sue realtà e a « esprimerlo » come voce di Dio che parla all’intelligenza del mondo; non devono « tenere imprigionata nell’ingiustizia la verità », ma a differenza di chi non ha fede, devono liberare la verità per non essere anch’essi « inescusabili » per non avere conosciuto Dio e per non averlo saputo rivelare agli altri, proprio con un positivo e specifico impegno a scoprire «le sue opere e la sua eterna potenza» (Rm. 1, 18 ss).
I laici nella ricerca scientifica, nella riflessione speculativa, nella formulazione della cultura, nelle espressioni artistiche godono del carisma profetico e perciò devono sentirsi impegnati rispetto alla stessa Chiesa e agli uomini a scoprire e a rivelare il significato religioso del Creato. E’ chiaro che questo significato ha la sua naturale espressione nella validità stessa della ricerca, della riflessione, del contenuto culturale e dell’opera d’arte.
Il potere regale abilità i laici nel compito specifico di assoggettare le realtà create al dominio dell’uomo, in ordine alla « Signoria » di Cristo perché tutto sia sottomesso a Dio: « Tutto appartiene a voi, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio » (1 Cor. 3, 22-23).
« Hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi » (Sl. 8, 8), prende tutto il suo significato nell’ambito della salvezza dalla interpretazione suggerita dalla lettera agli Ebrei (2, 5 ss) e da cui risalta il compito regale del battezzato in ordine alla Creazione.
Sono ancora i figli di Dio che devono essere signoria del mondo di Dio, perché proprio questo possesso che ordina il creato al servizio dei figli di Dio costituisce l’autentico « esorcismo » che le creature attendono per essere libere di partecipare alla loro ricapitolazione in Cristo. Un astronauta che tiene in pugno e manovra con gli strumenti tecnici investiti delle segrete energie che l’uomo ha strappato al cosmo e naviga per gli spazi siderali è ben una entusiasmante immagine di questo re « coronato di gloria e di onore » (Sl. 8, 7) che è l’uomo nell’esercizio della sua funzione salvifica. In questo caso la « consecratio mundi » avviene per la competenza scientifica e tecnica e per la coscienza « regale » del pilota, piuttosto che per una eventuale Messa celebrata a bordo.
Una tale Messa può assumere un significato « cosmico » non per gli atti del sacerdote, ma per la cosciente partecipazione del pilota e l’esercizio del suo sacerdozio comune che lo abilità a portare sull’altare ciò che in forza della sua regalità egli ordina secondo Dio.
Le fatiche e le gioie, gli ostacoli e le vittorie, i successi e le sconfitte, i dolori e le soddisfazioni che diventano esperienza di vita con figurano i laici a quella « esperienza » (Eb. 2 18) a cui Cristo volle sottomettersi per essere « simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele » (ivi 2, 17).
Nell’esercizio del loro sacerdozio i laici sono continuamente richiamati al significato del Mistero della Croce e a quello della Pasqua. Il primo riporta a scoprire continuamente la presenza del peccato nel mondo, la redenzione di cui ha bisogno, il valore della penitenza e la necessità di una indispensabile ascetica; dl secondo illumina sul senso delle difficoltà, degli insuccessi che sono il preludio della affermazione misteriosa del Regno di Dio e della definitiva vittoria dell’Agnello (Ap. 17, 14).
Conclusione
Queste sembrano le componenti principali di una spiritualità dei laici. Evidentemente questi sono aspetti specifici che debbono trovare il loro posto nel complesso di tutta la vita cristiana e il sostegno complementare negli elementi della spiritualità dei sacerdoti e dei religiosi.
Si riconosce facilmente che sarebbe opportuno illustrare come la Parola di Dio, i mezzi del;la Grazia e la pratica della Carità (vita comunitaria ecclesiale, familiare, di gruppo, ecc.) devono entrare come sorgente e alimento della vita spirituale dei laici, o più praticamente come organizzare la vita dei laici intorno a queste sorgenti della vita cristiana, e forse qualcuno potrebbe desiderare un elenco di « pratiche di pietà » tipiche della spiritualità dei laici: molto candidamente dichiariamo che non ce la sentiamo di dare indicazioni che potrebbero apparire una indebita rottura col passato e che, del resto, avrebbero bisogno di un collaudo che ancora non esiste.
CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli
ST 218 Laici 1966 [1]