Istanbul, 6-11 febbraio 1972 per le suore della scuola italiana
Questa mattina mediteremo sulla penitenza. Non dimentichiamo l’evento nel quale siamo coinvolti: é un evento di salvezza che ha Dio come protagonista.
A quali conseguenze ci porta questo evento? A quali situazioni? Ci porta ad essere immersi nel più profondo del progetto di Dio, per testimoniare la sua presenza nel mondo e la sua azione di salvezza. Questa testimonianza, che é una testimonianza esemplare carica di grazia per tutti i nostri fratelli, si attua nella vita comunitaria la quale é tanto una cosa bella quanto una cosa difficile, perciò dobbiamo attingere alle fonti della carità.
Tra queste fonti abbiamo indicato la preghiera, la necessità di pregare e come deve essere intesa la preghiera cristiana. Gesù dice che c’é un genere di demoni che non si scaccia, se non nella preghiera e nel digiuno. Il demonio che rende difficile la vita comune non si scaccia se non nella preghiera e nella penitenza.
Dove si colloca la penitenza nella vita cristiana e nel progetto di Dio?
Per intendere la necessità, la natura, la funzione della penitenza cristiana noi dobbiamo situarla giustamente al suo posto tra i due poli: l’amore di Dio e il peccato. Non si può intendere la necessità, la natura, la funzione della penitenza: – se non si crede nell’amore di Dio, – se non si conosce questo amore, – se l’amore di Dio non ci dice qualche cosa. Se non ammettiamo l’amore di Dio non possiamo accettare la penitenza. Così, pur ammettendo l’amore di Dio, se non ammettiamo che nel mondo e nel mondo della nostra persona c’é il peccato, non comprendiamo il bisogno della penitenza.
Prima di tutto l’amore di Dio.
L’amore di Dio non é astratto ma storico, concreto e personale. E’ quell’amore che parte liberamente da Lui, che non é determinato da noi. Dio non ci vuole bene perché siamo belli o simpatici. Dio ci vuole bene perché lui é essenzialmente amore. Ed é un amore gratuito dal momento che ci ama per primo. E non ci trova in uno stato di grazia ma di inimicizia. San Paolo dice che nessuno dà la vita per un altro. Può darsi che succeda -qualche volta- quando c’é un particolare legame con una persona. Gesù Cristo é arrivato a dare la vita per uno che gli era nemico, che gli era contrario. In questo senso l’amore di Dio é gratuito. In questo senso l’amore di Dio parte esclusivamente da Lui. Noi non ci pensavamo. Noi eravamo in un atteggiamento di rifiuto e possiamo trovarci sempre in questo atteggiamento di rifiuto. Gesù Cristo ci ha amato e ci ama senza misura fino al punto di introdurci come figli nella partecipazione della sua vita.
Noi sentiamo che il nostro essere, la nostra persona, ha fame e sete di grandezza, di bellezza, di splendore, di gloria, di armonia, di pace, di felicità e soprattutto di amore. Sono tutte esigenze che possono essere soddisfatte parzialmente nella vita, parzialmete nei confronti delle persone che ci circondano. Parzialmete! Ora Dio, dopo averci creato così come siamo con tutte le nostre esigenze, ci viene incontro offrendoci tutto ciò che noi radicalmente desideriamo, e ce lo offre in una misura che supera ogni nostra immaginazione.
Dio non é geloso. Dio ci offre tutti i frutti della vita perché tutto ha creato per noi. Ma tutto ciò che Egli ci offre di visibile, di sperimentabile perché porti la soddisfazione tanto desiderata, noi dobbiamo consideralo come un segno, un simbolo, un mezzo evocativo di qualche cosa d’altro che vale infinitamente di più. Ed é Lui che vale. E’il suo Amore che vale. Se non ammettiamo che Dio per noi é tutto questo, se non ammettiamo che Dio vuole essere tutto questo, noi non comprendiamo: né il mistero di Dio né il senso di Dio né il posto di Dio nella nostra vita.
Iddio ci lascia tutto. La rinuncia ha il solo significato di far sì che le cose e le persone non prendano il posto di Dio. Per esempio, lo sposo stia vicino alla sua sposa come sposo, e non come Dio. Lo sposo é un dono di Dio per la sposa, e non qualche cosa di più. Se Dio scompare, scompare anche la ragione fondamentale dell’amore sponsale. Il peccato é il rifiuto dell’amore di Dio e conseguentemente il rifiuto dell’amore dei fratelli e delle creature.
Provate a collocare la parabola del figlio prodigo nei nostri rapporti con Dio che ci vuole essere Padre, e noi che rifiutiamo di essere figli. Fermate la vostra attenzione non tanto sul figlio che se ne va, ma sul Padre che rispetta la sua libertà, che gli dà tutto ciò che gli spetta secondo la legge, e che non cambia atteggiamento nei confronti del figlio. Non dice al figlio: prendi, va e non farti più vedere. Rimane sempre nello stesso atteggiamento dell’amore di padre. Segue il figlio, pensa al figlio, attende il figlio. E quando il figlio ritorna, non trova un altro figlio, ma quel suo figlio. Il figlio aveva preparato il discorso per il Padre: non sono degno di essere tuo figlio, mettimi tra i tuoi servi… Il Padre lo accoglie come figlio: era perduto ed é stato ritrovato… Facciamo festa… E che festa!
Sono interessanti le reazioni del primogenito. Il Padre tenta di fagli capire… ma tu sei sempre stato con me…! Che vuole dire: ti interessa di più il vitello grasso che tuo Padre? Non apprezzi la fortuna di essere nella casa del Padre, di avere il Padre? La parabola é raccontata per indicarci come é la paternità di Dio. Il peccato é rifiuto dell’amore di Dio e conseguentemente rifiuto di amare i fratelli, cioè di amare gli altri come fratelli.
Il peccato non riguarda unicamente Dio. Il nostro Dio é il Dio degli uomini. Non lo si può separare da coloro che Egli chiama ad essere i suoi figli. Se si fa qualche cosa contro di Lui, la si fa anche contro i suoi figli, Se si fa qualche cosa contro i suoi figli, lo si fa anche contro di Lui. Quindi il peccato é rifiuto dell’amore per i fratelli.
Il peccato è anche rifiuto dell’amore che ci offrono i fratelli o ìche ci dovrebbero offrire se sono nella volontà di Dio. ì Nella comunità, commette un autentico peccato chi rifiuta l’amore di Dio ma anche l’amore delle consorelle, ìin quanto l’amore delle consorelle viene dall’amore di Dio, é animato dallo steso amore di Dio.
Il peccato é rifiuto dell’amore delle creature. ì Una volta che le creature non sono più viste in Dio e ì secondo il piano di Dio, che le ordina alle nostra persona.ì Allora noi diventiamo sfruttatori delle creature, ì non siamo più coloro che si servono delle creature, ì ma coloro che usano le creature.ì Qui viene fuori quello che – nello stesso tempo- ìé radice ed espressione più radicale del peccato: ìl’egoismo e l’egocentrismo.
L’egoismo mette il peccatore al posto di Dio in un atteggiamento di autosufficienza per cui pensa: mi bastano la scienza, la tecnica, i soldi e quindi faccio a meno di Dio.
Nell’ egocentrismo, il peccatore diventa il centro intorno cui deve ruotare tutto l’universo. Tutti gli altri devono servire a lui, ai suoi interessi, ai suoi gusti, ai suoi piaceri.
Lui non é più per gli altri. Lui vuole che gli altri siano per lui. Qui ci sono gli sfruttamenti di tutti i generi e non soltanto quello del lavoratore. E’ lo sfruttamento egocentrista di tutte le creature, che porta come conseguenza, un certo modo di organizzare il lavoro e di sfruttare la natura. E c’è anche il problema dell’ecologia. Quando arriviamo a questo fondo, dove dominano l’egoismo e l’egocentrismo, anche l’io del peccatore viene annientato, perché non é più riferito a nessuno. Tutto deve essere riferito a se stesso. Evidentemente non comunica più con nessuno, non accoglie ma fagocita, non si dona ma sfrutta. E così non ci può essere: né personalità né comunicazione né comunità.
Qualcuno potrebbe farsi questa domanda: se la mia comunità non é una comunità di amore, é una comunità di peccato? Io credo che dobbiamo rispondere di sì. Chi sarà il peccatore? Chi sarà il Giona da buttare in mare in tempesta? Ognuno, per suo conto, deve trovare in se stesso la parte di Giona che deve essere gettata in mare. Siamo al punto di intravedere il senso e la funzione e la natura della penitenza, prima di tutto, come coscienza di una situazione. Io sono nella situazione di rifiuto dell’amore di Dio. Io sono nella situazione di rifiuto dell’amore delle creature, intendendo per “creature” tutta la gamma di ciò che esiste intorno: dalle persone alle cose.
La coscienza del peccato é coscienza di una realtà che fa parte del mistero della salvezza, quindi di una realtà misteriosa che si intuisce e non si comprende per la forza di intelletto, si capisce nella misura in cui lo Spirito di Dio ci fa capire e ci introduce in questo mistero. Chi capisce il peccato? Soltanto Dio. Soltanto Dio con la sua grazia ci può introdurre nella coscienza di questo stato di peccato. E’ per questo che io dico: la coscienza del peccato, la coscienza del nostro stato di peccatori, noi l’abbiamo per una illuminazione che ci viene dalla grazia di Dio. Dobbiamo chiedere questa grazia d’intendere la nostra condizione di peccatori. Da qui incomincia la penitenza. Se non siamo coscienti di essere peccatori non sentiamo neppure il dovere e il bisogno di fare penitenza.
La penitenza come sradicamento dall’egoismo. Ho messo “io” al posto di Dio? Ho messo al primo posto me stesso? Devo togliere me stesso dal primo posto e riportarci Dio. E’ presto detto: sradicare l’egoismo! E’ presto detto: sradicare tutto l’attaccamento che ho a me stesso! Gesù, da buon psicologo ha detto: chi vuole venire con me, prima prenda la croce, poi rinneghi se stesso. E’ più facile prendere la croce che rinnegare se stesso. Le croci sono avvenimenti che possono accadere giorno per giorno. Le croci possono essere le persone con le quali dobbiamo convivere giorno per giorno. Sono una croce… ma scrollarci di dosso il nostro egoismo é molto più difficile.
Penitenza come distacco dalle creature Per il peccato, noi diventiamo il perno intorno a cui devono ruotare tutte le creature. Dobbiamo dare la libertà alle creature di muovevi secondo la loro funzione, secondo la loro vocazione. Questo importa un distacco. Di conseguenza si ha ciò che deriva da un distacco: il dolore e la sofferenza. La penitenza é sofferenza. Più c’é peccato, più é necessario il distacco, più bisogna abbracciare la sofferenza. Così entriamo nel mistero della croce.
Gesù Cristo, il primo penitente pur non avendo peccato, assume su di sé tutti i peccati, al punto di diventare il peccato in persona. E compie il distacco da tutto il peccato nel mistero della sua croce in un atto di amore per il Padre e per i fratelli. Così ci riconduce al Padre. Non consideriamo un Gesù giustiziato, ma un Gesù giustificatore che, nel momento in cui muore condannato e suppliziato dagli uomini, compie il mistero della separazione da tutto il disordine che il peccato ha prodotto nel mondo. Noi che vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere di Gesù Cristo, il crocifisso. Dice san Paolo: non conosco nessun altro, se non Cristo e Cristo crocifisso. (…)
La croce é l’inizio della risurrezione. La morte non é una fine ma un inizio. Il grano di frumento incomincia a germogliare quando muore, e porta frutto perché muore. Per il cristiano non c’é la morte per la morte. Per il cristiano non c’é la penitenza per la penitenza. Per il cristiano non c’é la sofferenza per la sofferenza. C’è la morte per la vita. C’è la sofferenza per la gioia.
Nel mistero di Gesù crocifisso noi possiamo trovare luce e giustificazione per la nostra penitenza. Non dobbiamo pensare che Gesù sia morto in croce soltanto per gli assassini, per gli avari, per gli impudichi. Gesù é morto in croce per tutti. Se noi, personalmente non siamo diventati avari o altro, lo dobbiamo al mistero della croce di Cristo che ha operato in noi al tempo giusto.
Il mistero della croce é presente ed operante nella Chiesa attraverso il sacramento della penitenza: per generare la riconciliazione con il Padre per la riassunzione nella casa del Padre: nella famiglia dei figli di Dio. Il prolungamento del mistero della passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo, in quanto é distruzione del peccato e risurrezione a nuova vita, noi lo troviamo nel sacramento della penitenza. Avrà il suo apice nel sacramento dell’eucaristia, ma avrete notato che la celebrazione liturgica della eucaristia incomincia con l’atto penitenziale.
L’atto penitenziale all’inizio della Messa non é un sacramento, ma é la indicazione della necessità della penitenza per partecipare al mistero della Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo.
OM 442 Istanbul 72
Istanbul, 6-11 febbraio 1972