incontro con i sacerdoti -1974
AVVENTO Siamo attenti per disporci alla venuta di Dio con la ricchezza dei suoi doni, per mezzo dei quali ci salva.
Abbiamo cercato di fermare la nostra attenzione guidata dalla fede sostenuta dall’azione dello Spirito Santo, per comprendere la ricchezza e la forza del dono di Dio, dispiegata per noi personalmente per il mondo intero, per coloro per i quali noi abbiamo la responsabilità.
Abbiamo detto che Dio ha i suoi doni, offerti agli uomini in un atto d’amore infinito e continuo e che l’accettazione, l’accoglienza, l’impegno che questi doni comportano, costituisce la vita cristiana, costituisce “il proprio” della vita cristiana.
Noi dobbiamo perciò preoccuparci di essere davvero desti, pronti, aperti ad accogliere Iddio in Gesù Cristo nello Spirito per essere pienamente disponibili a ciò che egli vuole compiere in noi, per noi e per mezzo di noi.
Se questo è il cristianesimo, se questa è la vita cristiana, se questo è il nostro tesoro qui il nostro cuore deve rivolgersi, spontaneamente, quasi naturalmente. Qui devono orientarsi i nostri interessi fondamentali. Si richiede quindi una vita di fede che ci faccia continuamente vivere in questa realtà presente nel mondo nel quale viviamo e ci muoviamo.
Perciò è indispensabile che in noi ci sia un’abitudine al raccoglimento. Forse si direbbe meglio un’abitudine al nascondimento per dire che ben difficilmente si può arrivare a ciò che più importa, con dei semplici sforzi umani per non andare dietro ai motivi di dispersione che continuamente ci sono offerti.
Ciò che più importa è stabilire nella nostra valutazione, nel nostro giudizio e quindi nella nostra scelta, la priorità di Dio e dei suoi doni, la priorità della sua salvezza; così che si formi un’abitudine, una mentalità, un modo di valutare, di giudicare e di orientarci, che sia il frutto di una convinzione, la conseguenza di una grande sicurezza.
Noi, di per sé, manchiamo di sicurezza. Abbiamo bisogno di appoggiare i nostri pensieri, i nostri sentimenti, il nostro cuore, tutto noi stessi a qualche cosa di solido, a qualche cosa di vero, di certo, di sicuro. Questa sicurezza non ci può venire dagli uomini, non ci può venire dai mezzi umani. Dobbiamo comprendere che il primo lavoro da fare per la nostra vita spirituale perché sia autentica, è un contatto abituale, è un approfondimento continuo, è un intrattenersi amoroso e anche affettivo con il nostro bene che – ripeto – è costituito da Dio, dal suo amore, dal frutto del suo amore che si manifesta in nostro Signore Gesù Cristo e nel dono dello Spirito ed è garanzia ed anticipazione di tutti i doni che prepara a coloro che sperano in lui.
E’ necessario diventare persone di fede. E diventiamo persone di fede con la nostra corrispondenza, con i nostri sforzi, sì, ma in coincidenza e come risposta della grazia di Dio e dell’azione dello Spirito Santo in noi, come frutto a ciò che Dio fa per riportarci nel suo mondo. Il suo mondo per un dono della sua misericordia diventa il nostro mondo.
Dobbiamo stare sotto l’azione dello Spirito lungamente: perché la nostra fede sia vera, perché la nostra fede non sia semplicemente un atto dell’intelligenza o una semplice convinzione umana, perché la nostra fede sia la nostra vita immersa nella luce con la quale Dio la illumina, per farla entrare nel suo mondo che deve diventare il nostro mondo.
Questo é vivere di fede. Tutte le cose che stanno intorno a noi delle quali viviamo e specialmente i problemi che riguardano il nostro ministero, vanno riportati a questa sorgente unica, nell’ambito di questa forza che opera in noi che è, in un certo qual senso, a nostra disposizione per operare a nome nostro in favore dei nostri fratelli. E’ evidente che per avere questo sguardo continuo di fede, per diventare come Mosè: uomini che camminano come se vedessero Iddio, uomini che camminano perché vedono Dio, uomini che camminano sempre verso Dio, è indispensabile mettere al giusto posto tutti gli altri valori della esistenza, perché non prendano il sopravvento su valore primo ed unico, incalcolabile e infinitamente superiore. Perciò si richiede una vita controllata, un’attenzione vigile. Il mondo prende da tutte le parti e noi siamo continuamente immersi nei suoi valori veri o falsi che siano.
E’ facile assorbire la mentalità del mondo. E’ facile entrare nelle categorie del mondo. E’ facile misurare col metro del mondo e finire di pensare, di valutare e di giudicare, di fare le scelte che il mondo propone, che se non sono disordinate,tuttavia non rispettano la scala dei veri valori. In tanti momenti, in tante circostanze noi abbiamo bisogno di riportare noi stessi alla visone giusta delle cose, perciò a dire di no a tante proposte che ci vengono o ci possono venire di cose immediate, a portata di mano che, perché sono giudicate lecite secondo una determinata morale, noi le accogliamo poco per volta, una ad una, e finiamo col riempirci la mente, il cuore, lo spirito. Allora non c’è più posto per Iddio. Allora prevalgono i piccoli interessi che sono i nostri interessi e gli interessi del mondo, e non sono gli interessi di Dio. Oggi ci si domanda se è ancora necessaria la mortificazione!
C’è la fede per garantirci la preminenza di Dio, per assicurarci la sua salvezza che egli vuole compiere in noi ma noi dobbiamo rinunziare a tante cose. Gesù mette un’esplicita condizione alla possibilità di essere i suoi discepoli, quindi alla possibilità d’essere: come lui che vede sempre il Padre, come lui che dice quello che gli suggerisce il Padre, come lui che è preoccupato di fare la volontà del Padre. La condizione è di rinnegare noi stessi, di rinunziare a cose concrete, di abbandonare tutto ciò che si possiede, dal padre, alla madre, ai fratelli, alla casa.
Rinunziare! La rinunzia è mortificazione. E’ distacco. Il distacco è pena, è sacrificio. Noi abbiamo estremamente bisogno di rivestirci di mortificazione che ci tenga desti dinanzi a Dio, perché non entrino altri idoli. In pratica, i cardini di una vita seria che corrisponda all’offerta di Dio, sono la disciplina della puntualità, la serietà del lavoro, la preparazione responsabile di ciò che si deve fare.
Ho già detto che é tanto facile acquistare la mentalità mondana attraverso ciò che si vede, ciò che si legge, ciò che si sente. Non è questione d’immaturità. E’ questione di aderire ad una scelta. La rinuncia a tutto ciò che disturba il nostro spirito e attutisce la nostra capacità di percepire «quae Dei sunt», non è una questione d’immaturità ma è la questione di prendere sul serio le conseguenze di una decisione.
In queste cose dobbiamo dubitare di noi stessi. Siamo e saremo sempre per noi stessi dei giudici parziali anche quando abbiamo acquistato un buon equilibrio. Il nostro giudizio su noi stessi è condizionato. Ne deriva la necessità di una persona che nel nome del Signore, avendo pregato con noi il Signore, ci indichi anche concretamente, e se fosse necessario anche nel dettaglio, ciò cui noi dobbiamo rinunziare “abneget semetipsum nisi renuntiaverit” per seguire Gesù, nel senso di conformarsi al suo Spirito, di educarci al senso della pietà filiale verso il Padre che sta nei cieli dal momento siamo diventati figli di Dio. Educarci. Lasciarci educare. Educare.
Lo Spirito Santo, per mezzo del dono della «pietas filiali», crea in noi questa disposizione, la alimenta e la approfondisce fino al punto di una certa esperienza della paternità di Dio e quindi dell’amore verso i nostri fratelli. L’amore vero, sincero, concreto fatto di ciò che noi dobbiamo essere.
Essere per gli altri quello che dobbiamo essere, è il primo fondamento dell’amore per loro. Se io non sono carico della presenza di Dio, Se ionon sono illuminato della visione di Dio, Se io non mi sento posseduto da Dio, Se io non ho il desiderio di essere possesso di Dio, io non sono ciò che devo essere per me stesso, io non sono ciò che devo essere per gli altri, io non sono quello che gli altri attendono da me, io non sono colui del quale gli altri hanno bisogno anche inconsciamente.
Anche quando gli altri fossero del tutto indifferenti alla mia persona o addirittura mi rifiutassero, la carità verso di loro esige che io sia colui che devo essere, che io faccia ciò che io devo fare. Io devo pensare che in me c’è un dono di Dio proveniente dalla consacrazione sacerdotale, che non é un dono per me ma, per i miei fratelli. E’ un dono che comporta per me la responsabilità di essere conforme a questa partecipazione profonda, estesa, piena della missione di nostro Signore Gesù Cristo ma, poi devo essere per gli altri l’espressione della missione di nostro Signore Gesù Cristo presente nel mondo nella sua chiesa.
Io non devo avere la preoccupazione di portare la mia parola, ma di portare la Parola di Dio. Io devo avere la preoccupazione di essere la voce nella quale risuona la parola di Dio. Io devo essere conforme alla grazia di ogni sacramento di cui sono depositario e di cui sono ministro Conforne a questa grazia: alla morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo nel battesimo: che sia evidente che io porto nel mio corpo la morte di nostro Signore Gesù Cristo, che io sono crocifisso con lui, che io sono sepolto con lui, che io vivo già nella mia carne il mistero della sua risurrezione.
Deve essere evidente che io sono guidato da un unico Spirito: lo Spirito di Dio. Quanti spiriti ci sono nel mondo che possono penetrare nel nostro spirito! Noi dobbiamo lasciare trasparire lo Spirito di Dio e perciò dobbiamo avere la preoccupazione di acquistare una delicatezza grande per non respingere lo Spirito, per ascoltare lo Spirito, per essere la eco della presenza dello Spirito in mezzo ai nostri fratelli.
A pensarci..!Il nostro corpo quotidianamente prende contatto, attraverso i segni sacramentali, con il corpo di nostro Signore Gesù Cristo. Noi che in questo incontro mangiamo la sua carne e beviamo il suo sangue e diventiamo consanguinei con nostro Signore Gesù Cristo, come dobbiamo essere trasparenti, delicati, santi in tutto il nostro essere, anche il nostro essere corporeo! Questa è carità.
Questa carità ci ispirerà che cosa si può fare per i fratelli per diventare per loro maestri di fede, custodi e dispensatori della grazia della salvezza di Dio, per essere Cristo vivente in mezzo a coloro che incontriamo e che ci circondano. Non sono impegni da poco! Anche a questo proposito non dobbiamo ritenere che siano cose che riguardano gli altri. Tante volte si sente ancora dire che la vita del sacerdote si ispira troppo alla vita monastica. Perché non pensiamo che la vita monastica è diventata un’esigenza nella chiesa per esprimere un cristianesimo autentico? Perché non pensiamo che noi, per annunciare questo cristianesimo autentico, dobbiamo abbracciare non dico gli aspetti specifici della vita monastica ma la sostanza di questa vita fatta di contemplazione, di preghiera di mortificazione, di raccoglimento?
Continuiamo il nostro raccoglimento in questo tempo di Avvento.
Maria che è in mezzo alla chiesa del suo Figlio Divino con tutto il suo essere, con tutto quello che è stata dalla venuta del Signore, sia con noi per ottenerci la grazia di prepararci convenientemente, perché sentiamo il peso della responsabilità che abbiamo per i nostri fratelli.
OM 516 Sacerdoti 74