Quaderno di pastorale “Aggiornarsi al Concilio” 1964 Monopoli
Alcuni testi per inquadrare il nostro tema: « Molte volte e in molti modi anticamente Dio aveva parlato ai Padri per mezzo dei Profeti, in questi ultimi tempi ha parlato anche a noi per mezzo del Figlio» (Ebr. 1,1); «Uno è il Maestro vostro, Cristo» (Mt. 23 8); «Andate… predicate… Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi non crederà sarà condannato » (Mc. 16, 15-16).
Tutto ciò che è contenuto nell’ambito e nel senso di queste affermazioni costituisce una Storia e cela un Mistero: la Storia della Parola di Dio e il suo Mistero.
1 – La storia della parola di Dio
Se cerchiamo il protagonista di quella meravigliosa vicenda che è la storia sacra, facciamo una sorprendente constatazione: non si tratta direttamente di Dio ma piuttosto della sua Parola, attraverso la quale Egli si rivela e opera, e nella quale si identifica e personifica.
Intanto, la creazione è il risultato della sua Parola: « Ipse dixit et facta sunt » (Ps. 39,6).
La storia della salvezza poi è la storia specifica della Parola, la quale, va ben rilevato, non è un tema astratto, ma un fatto di esperienza: Dio parla al suo popolo e a tutti gli uomini.
E’ per questo che il profetismo è una delle basi di questa storia. In tutti i tempi Dio parla ad alcuni, cui conferisce il compito di trasmettere la sua Parola.
Il modo con cui Dio si rivolge a queste anime non è unico; ciò che però importa è che essi hanno la chiara coscienza che Dio parla e che la sua Parola li investe fino a far loro violenza; che la Parola di Dio diventa il fatto che determina il senso della loro vita. Altre volte si tratta di una Parola più discreta, se così si può dire, che colma di saggezza coloro che devono guidare gli altri per le vie della giustizia.
In ogni caso, non si tratta di parola umana, ma profeti e saggi sono in comunione diretta con il Dio vivente.
Altra caratteristica della storia di questa Parola è che essa non è rivelata a dei privilegiati perchè ne diventino i segreti e misteriosi custodi; anzi essa costituisce un messaggio che deve lessere trasmesso a tutto il popolo di Dio e un insegnamento che deve diventare norma della vita di questo popolo.
Ne risulta che l’esperienza della Parola non rimane un episodio della vita mistica di alcuni ma la constatazione di un popolo intero, che vede le proprie sorti legate alla fedeltà a un Dio che parla.
Se poi si fa un esame più attento dei fatti di questa storia, risultano due aspetti della Parola di Dio che si possono così riassumere:
a) Dio quando parla si rivela.
b) Dio quando parla compie qualche cosa.
Il primo aspetto è abbastanza ovvio per l’Antico come per il Nuovo Testamento: Dio parlando manifesta la sua volontà come regola di vita, svela il senso delle cose e degli avvenimenti, rivela se stesso e il suo Piano da attuarsi in questa e nell’altra vita.
È più caratteristico invece il secondo aspetto: la Parola di Dio è una realtà dinamica, vitale, capace di attuare infallibilmente la sua volontà; si tratti di realtà cosmiche -o del disegno della salvezza.
La storia è il compimento delle sue promesse: sono tanti i fatti, che Israele non può dubitare che il suo Dio non sia capace o che non sia fedele; la creazione intera ubbidisce a questa Parola, la quale è presente e attiva nello universo. Una tale capacità documentata e dalla creazione e dalla storia non può venir meno sul fatto più decisivo: la salvezza.
Il popolo di Dio non può essere che un popolo in attesa, un popolo che crede a ciò che la Parola promette, che spera nel suo compimento.
Il ciclo di questa storia si compie (non si conclude) quando Dio parlò nel Figlio e la Parola si fece carne e si stabilì tra noi. .
Allora, in pienezza, Dio parla e rivela, Dio parla e agisce.
Insisto a dire che si tratta di un ciclo aperto. Gli atti degli Apostoli e le loro lettere ci narrano che la Parola di Dio continua nella storia degli uomini l’opera inaugurata da Gesù Cristo. La Parola equivale al messaggio del Vangelo proclamato dalla predicazione cristiana.
Il ministero apostolico è essenzialmente un servizio della Parola. La crescita della Chiesa si identifica con la crescita della Parola.
2 – Il mistero della Parola di Dio
Come si rileva da questa rapida esposizione, la storia della Parola di Dio cela qualcosa che va al di là e delle espressioni verbali e degli stessi fatti che essa determina: è il Mistero della Parola di Dio.
Qui la parola « mistero » non va intesa tanto nel senso di una cosa nascosta o incomprensibile, ma riferita a una espressione, a un avvenimento, a una persona legati al soprannaturale; è una realtà sensibile carica di forza divina, attuale, che viene a iscriversi nei rapporti tra Dio e l’uomo. E la manifestazione e l’attuazione del Piano di Dio e della sua Pedagogia per mezzo della Parola.
In altri termini, la Parola di Dio ha in se stessa una propria capacità formativa e una propria efficacia salvifica.
La parola di Dio ha in primo luogo un valore pedagogico – formativo, dove la pedagogia si identifica con lo svolgimento del Piano di Dio, il quale ha un valore assoluto. Perciò per ascoltare questa Parola, per arrivare a capirla e per poterla « custodire » è indispensabile rifarsi a codesta pedagogia, cioè rifarsi al Piano di Dio.
S. Paolo considera il Vecchio Testamento (la legge) come « il pedagogo » a Cristo. Non si può dimenticare che nella storia della Parola di Dio il centro di gravità è il suo Piano, il quale si costruisce nel tempo cosi che ogni parola, ogni avvenimento o personaggio costituiscono un punto dl partenza per ciò che avverrà dopo e quindi nulla può essere dimenticato o abbandonato, come non si dimentica o si abbandona la pietra precedente nella costruzione di una struttura portante.
Il passato non è semplicemente un simbolo nel senso di una figura retorica, ma un seme carico di vita che dev’ essere trasmessa (cfr. Charlier, Lettura cristiana della Bibbia, Ed. Paoline).
Così gli Ebrei « concepivano il futuro come una continuazione più compita del passato; non un semplice ritorno, ma un’aggiunta, un progresso, una nuova creazione lungo la storia: un nuovo Esodo, una nuova Alleanza, una nuova Gerusalemme… un nuovo Popolo di Dio. (Gelin).
La Chiesa nell’organizzare il suo ciclo liturgico ha indubbiamente presenti questi criteri della Pedagogia della Parola di Dio.
Il Mistero della Parola di Dio ci pone di fronte ad un’altra caratteristica: la sua efficacia vitale e soprannaturale.
La Parola di Dio è operante.
Essa ha la capacità di produrre ciò che esprime. Con la sua Parola Dio ha creato il mondo: « una parola del Signore creò i cieli; un soffio di sua bocca li ornò tutti »(Ps. 98, 6).
Con la sua Parola Dio salva il mondo. Nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, dove interviene la Parola dl Dio niente resta come prima. Come spada a doppio taglio essa esce dalla bocca del Figliuolo dell’Uomo (Ap 1, 16) e non ritorna vuota, senza aver compiuto il comando di Dio e la sua volontà. (Is. 55, 11).
Ma allo stesso modo che è viva, essa è attuale e direttamente rivolta alla Chiesa e nella Chiesa e per mezzo di essa a tutti gli uomini perché l’ascoltino.
3- La Parola di Dio e la funzione profetica
Nel piano della salvezza, la storia della Parola di Dio e il suo Mistero sono intimamente legati alla funzione profetica.
Abbiamo già ricordato che Dio si serve di persone determinate per trasmettere la sua Parola.
Il profetismo è legato alla costituzione del Popolo di Dio. I Profeti o sono al tempo stesso Capi e Sacerdoti (Mosè), oppure sono al di sopra dei Capi (Giudici, Re) e dei Sacerdoti; la stessa Legge e le stesse prescrizioni del culto sono soggette alle interpretazioni dei Profeti, che vanno oltre la lettera e il ritualismo, verso una più profonda interiorizzazione.
Normalmente del Profeta si conosce la vocazione, che ne giustifica la missione; sono note le prove che si riferiscono alla sua limitatezza investita dalla veemenza della azione di Dio, e alla incomprensione, avversione e persecuzione degli uomini.
Il loro linguaggio, che deve trasmettere messaggi inesprimibili, non è fatto solo di parole, ma molte volte di gesti che hanno il valore di simboli: la Parola che devono trasmettere non si può ridurre a delle parole, essa è spirito e vita.
È pure caratteristica la morte dei Profeti: essi che devono preparare il popolo ad accettare la Salvezza dalla Morte dell’Agnello, ne devono preparare la comprensione con la loro morte.
Il compito ultimo, definitivo della funzione profetica è di annunciare Gesù, fino a Giovanni che lo indicherà presente.
Come la storia della Parola di Dio si compie ma non si chiude, con la venuta del Verbo, così il profetismo si compie, ma non si chiude con la venuta di Gesù.
Gesù è profeta.
Dice ciò che ha visto nel seno del Padre, ed è nello stesso tempo tutto ciò che il Padre ha voluto dire agli uomini: « qui videt me, videt et Patrem meum » (Gv. 14, 9).
Egli adempie tutte le cose dette nella Scrittura.
I suoi gesti e la sua vita, la sua Morte e la sua Resurrezione sono l’espressione compiuta e definitiva di tutto il contenuto della Parola di Dio per la salvezza degli uomini.
Gesù è la luce vera che deve illuminare tutti gli uomini.
È venuto perché gli uomini abbiano la vita.
Vuole che si faccia un solo ovile con un solo Pastore.
Gesù proclama la nuova saggezza di coloro che entreranno nel Regno dei Cieli (Mt. 5, 3 ss.).
E’ il Vangelo che deve essere predicato a tutte le genti; la giustizia più grande che deve essere insegnata ai poveri.
Dopo queste affermazioni affrettate e riassuntive è estremamente importante far notare come il Ministero di Gesù sia consistito principalmente nel formare i nuovi Profeti.
Alcuni testi:
« Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo… Risplenda allo stesso modo la vostra luce agli occhi degli uomini, affinché vedendo le vostre buone opere diano gloria al Padre vostro, che è nei Cieli » (Mt. 5, 13).
«Quando fu giorno, chiamò a se i suoi discepoli e tra essi ne scelse dodici, ai quali diede il nome di Apostoli» (Lc. 6, 19).
« Vi ho chiamati amici, perché vi ho manifestato tutto quello che ho sentito dal Padre mio » (Gv. 15, 15).
« Quando però verrà lui, lo Spirito di Verità, vi guiderà verso tutta la verità » (Gv. 16, 13).
« Lo Spirito Santo, che il Padre manderà in nome mio, Egli vi insegnerà tutto e tutto vi rammenterà quanto vi ho detto » (Gv. 14, 26).
« Chi ascolta voi, ascolta me » (Lc. 10, 16).
« A me fu dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quanto vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo » (Mt. 28, 18-20).
Questi testi sono come delle pietre miliari lungo la vita pubblica di Gesù: sono come la matrice del nuovo profetismo da Lui instaurato e di cui ha dotato la sua Chiesa.
Dalla pratica apostolica, che è l’interpretazione più autentica della vita e della organizzazione della Chiesa, possiamo desumere questi caratteri del nuovo profetismo:
1) Il ministero della Parola tiene il primo posto nei compiti della Chiesa;
2) di questa funzione sono investiti tanto i discepoli che gli Apostoli;
3) come in antico, il profetismo ha una finalità specifica di annunzio e una di formazione.
1. Preminenza del ministero della Parola.
Ciò che già risulta evidente dal modo di agire di Gesù è dichiarato espressamente dagli Apostoli: il loro compito specifico e perciò preminente è la predicazione.
Formati nell’ambiente della Bibbia, sanno molto bene che la Salvezza è opera della Parola; che Dio ha parlato ormai nel suo Figliuolo; che Gesù ha confidato a loro il compito di rendere testimonianza e di predicare la sua verità in tutto il mondo; inoltre essi sanno bene il valore e la capacità di questa Parola.
Come Gesù operava con la sua Parola, i depositari della Parola di Dio non dubitano di considerarla nello stesso senso e di ripetere: « Nel nome del Signore Gesù Cristo, sorgi e cammina » ( Mt. 3, 6 ).
Abbiamo notato che la Parola di Dio è opera, azione creativa, e l’opera di Dio è Parola, manifestazione efficace della sua volontà onnipotente.
Insisto: gli Apostoli e specialmente Paolo non attribuiscono alla Parola il significato di racconto, di storia, di enumerazione di fatti, ma la considerano come qualcosa di dinamico, teso a un risultato da attuare, come una potenza che opera la santificazione, una energia e un mezzo di salvezza.
Perciò la Parola è « Parola di salvezza » (At. 18, 26), « Parola di Grazia » (id. 14, 8), « Parola di vita » (Fil. 2, 16), « Parola di riconciliazione » (2 Cor. 5, 19); cioè che produce la salvezza, la grazia, la vita, la riconciliazione.
Il ministero della Parola non costituisce un mero rapporto tra chi la pronunzia e chi l’ascolta, ma un avvenimento tra Dio e gli uomini, un evento di Grazia, la prima e insostituibile via di salvezza.
Nella coscienza degli Apostoli si impone l’affermazione di Gesù: « Chi crede e si fa battezzare si salverà; chi non crede sarà condannato » (Mc. 16, 16).
La fede nasce dall’ascolto (Rom. 10, 14); dunque essi devono predicare: « vae mihi si non evangelizavero! ».
A questo punto, per mettere a fuoco l’importanza preminente della funzione profetica della Chiesa, sarebbe opportuno dire qualcosa sulla natura della efficacia della Parola di Dio. t un tema di capitale importanza per la teologia pastorale; ma anche solo a voler accennare alla questione, c’è il rischio di confonderci e soprattutto, in questa circostanza, di perdere il filo del nostro discorso.
Basti l’accenno e l’indicazione di una conclusione a cui giungono tutti i teologi: quando si tratta della Parola di Dio, siamo nell’ordine di quelle parole che, pronunciate nell’azione sacramentale, producono l’effetto per loro propria virtù; come del resto anche i sacramenti vanno considerati nel contesto della Parola di Dio e sono essi stessi Parola di Dio.
2. La funzione profetica investe tutta la Chiesa.
Nella visione che il profeta Gioele ha del nuovo Popolo di Dio è scritto: « Dopo di ciò, spanderò il mio spirito sopra tutti i viventi e profeteranno i vostri figli e le vostre figlie» (Gioele 3, 1). Il giorno della Pentecoste Pietro ha ben cura di far notare come si stesse compiendo la promessa del Signore (At. 2, 17).
Sale della terra e luce del mondo non sono soltanto gli Apostoli ma anche i discepoli.
Gesù rimane nella sua Chiesa e per mezzo del suo Spirito anima e sostiene l’attività dei Capi, ma anche la trasmissione quotidiana della verità da un discepolo all’altro.
Come tutte le funzioni nella Chiesa, anche quella profetica nasce dalla misura della partecipazione al Sacerdozio di Cristo: dal Battesimo, dalla Cresima, dall’Ordine sacro.
Senza dubbio soltanto chi partecipa all’Ordine sacro può esercitare il ministero della Parola con autorità, perchè è costituito capo; come soltanto le sue affermazioni dottrinali diventano norme obbligatorie per i fedeli. I laici nello esercizio del compito profetico hanno un’autorità che deriva soltanto dal loro stato (genitori) o dalla loro competenza (teologi) o dalla loro funzione (maestri), unita al valore della propria testimonianza e della grazia che è connaturale alla Parola stessa (cfr. Philips, cap. III in op. cit.).
S. Paolo attende una testimonianza alla Parola persino dai neofiti (Rom. 10, 10); S. Tommaso, in pieno Medioevo, non si sente d’interdire l’attività dottrinale neppure alle donne.
La funzione profetica dei laici è così pacificamente ammessa nella Chiesa, che il Diritto Canonico prescrive con insistenza ai genitori e agli educatori il dovere di assicurare l’istruzione cristiana a coloro di cui sono responsabili; non si può dubitare che questo non sia un compito profetico.
Merita un rilievo particolare il ruolo dei genitori a questo proposito; sono dei battezzati e dei cresimati come tutti i laici adulti; devono essere sale della terra e luce del mondo, come gli altri. Ma quando si tratta dei loro figli entra in gioco il legame naturale di responsabilità unica, che hanno nei confronti della loro educazione, e, cosa unica nell’ambito dei laici, nell’adempimento di codesto compito sono accompagnati da una grazia singolare, che deriva dal Sacramento che santifica la loro unione e la rende conforme a quella di Cristo e della sua Chiesa e la fa partecipare del mistero della fecondità della Redenzione.
Se si pensa che la maggior parte degli uomini sono chiamati a diventare padri e madri di famiglia ,e che i genitori sono i primi naturali messaggeri della fede e gli educatori nati, non riesce difficile comprendere come la missione profetica sia largamente legata allo stato laicale.
Si aggiunga ai genitori la schiera immensa degli educatori a tutti i livelli e quella preziosissima dei catechisti e si vedrà come i laici siano, almeno in un certo senso, tutti quei figli e quelle figlie su cui è sceso lo Spirito di Dio perché diventino nuovi profeti.
3. Compito di evangelizzare e compito di formare.
Il compito della Gerarchia e quello dei laici non si differenziano soltanto sotto l’aspetto dell’autorità e dal grado della loro partecipazione al carattere e alla grazia sacramentale, ma anche in relazione alle finalità da raggiungere e alle disposizioni spirituali con cui i rispettivi compiti devono essere svolti.
E nota la dottrina cattolica sulla infallibilità del Papa nel definire, dell’Episcopato nell’insegnare e dei fedeli nel credere; definire, insegnare e credere non stanno tra loro come l’azione e la reazione, nel senso di attivo e passivo. Siamo nel vivo del mistero di un incontro tra persone, dove la Parola diventa lo strumento della Salvezza che realizza i piani dell’Amore infinito di Dio; come siamo nel vivo del mistero della famiglia dei Figli di Dio, del Popolo di Dio, dove è un Padre, un Fratello primogenito, uno Spirito e molti figli.
Rispetto al Padre tutti sono ugualmente figli; rispetto a Gesù molte e varie sono le mansioni; rispetto allo Spirito Santo, tutti ne devono rispettare la libertà.
Non possiamo fermarci ad illustrare tutti questi rapporti; però ai fini del nostro tema è indispensabile rifarci brevemente a una caratteristica del profetismo antico che adombra il nuovo e ci mette sulla via per capire le cose senza confusioni o dannose separazioni.
Il profetismo antico comprendeva due categorie di persone o perlomeno conosceva due compiti: quello di annunziare le decisioni di Dio, le quali impegnavano una decisione umana, e quello di ammaestrare il popolo a camminare nella fedeltà alla legge; così nel Vecchio Testamento distinguiamo i libri profetici da quelli sapienzali.
Il nuovo profetismo si può dire che rispetta senz’altro questa distinzione di compiti. Da una parte c’è la proclamazione del Vangelo al fine di ottenere la conversione, cioè la fede; dall’altra c’è lo insegnamento del Vangelo allo scopo di progredire nella fede fino alla pienezza della misura destinata per ciascuno da Cristo.
Il primo compito è quello dell’annunzio solenne, ufficiale, e compete principalmente alla Gerarchia. Non ha per scopo immediato la riforma dei costumi ma la « conversio ad Deum », cioè la fede. È la proclamazione della Parola, del Vangelo, cioè che Dio ha mandato il suo Figliuolo perchè salvi il mondo; ora si tratta di accoglierlo o di non accoglierlo, cioè di credere o di non credere.
Che Gesù Cristo è la Salvezza, o si crede o non si crede; non si dà il caso che si possa credere un poco di meno o un poco di più; si potrà seguire Gesù con poca o molta fedeltà; la fede è un giudizio, una scelta, una decisione che matura in un impegno.
A questa proclamazione fatta autenticamente è legata certamente la grazia di creder,e, nello stesso senso (non posso dire nello stesso modo) in cui essa è legata a una forma sacramentale.
E’ indubitato che come Gesù ha garantito la sua grazia alla sicurezza che nasce dal segno visibile del sacramento, così vi è nella Chiesa un segno, la proclamazione autentica della Parola, che è sorgente sicura di fede. E come lo Spirito Santo lega la sua azione certamente ai segni sacri della grazia, ma la grazia la può far pervenire al di fuori di essi, così, ancora per una certa analogia, può far nascere la fede al di fuori del segno della Parola, ma sempre o almeno normalmente nell’ambito della Chiesa.
Anche i laici cioè possono essere investiti di una funzione propriamente profetica, quando nella Chiesa, con la loro vita, proclamano la forza della Morte e Resurrezione di Cristo Salvatore.
La fede, insostituibile radice di salvezza, è germe di vita destinato a svilupparsi fino alla maturità della pienezza di Cristo e fino alla maturazione della Gloria.
Quella cristiana è una vita che deriva dalla radice della fede; perciò il suo sviluppo è una crescita e un arricchi mento della fede; bisogna avere l’avvertenza di non concepirla invece come una giustapposizione o una sovrapposizione di una serie di virtù, senza curare la radice dell’albero o la struttura portante dell’edificio. Quella cristiana è una vita soprannaturale che perciò deriva da un principio interiore divino verso il quale lo sforzo ascetico è in una posizione di collaborazione.
A questo progresso della fede, come alla fede di conversione, è rivolta la funzione profetica della Chiesa. E come è propria della Gerarchia la proclamazione autentica e solenne della Parola, cioè la funzione
« kerigmatica », così la funzione profetica dei laici riguarda specialmente il compito catechistico – didattico cioè formativo.
Naturalmente non sono ambiti che si dividono con una linea netta; però nelle molteplici e varie distribuzioni di compiti, che sono condizionati da circostanze storiche o da positive determinazioni della Autorità ecclesiastica, si potrebbe verificare che la Gerarchia attenda principalmente a « piantare la Chiesa », e i laici sotto la guida di essa, alla sua « crescita ».
Comunque i due aspetti della funzione profetica sono sempre presenti nella Chiesa: da una parte, la Gerarchia con la sua azione kerigmatica e dall’altra la comunità dei fedeli con la propria testimonianza, continuano a « piantare la Chiesa » ed a farla crescere ad ogni generazione, ad ogni età, in ogni ambiente, in ogni situazione.
Se la proclamazione della Parola di Dio non genera la fede, là Chiesa non è «piantata»; e perciò non potrà crescere e non resisterà. Se ad ogni età, l’uomo non si incontra con il senso nuovo e le esigenze nuove e le energie nuove della Parola, e se ad essa non dà il primo posto così da farla diventare come l’asse della propria esistenza, e se non impegna su di essa il proprio destino, non si può dire che ci troviamo di fronte un credente.
Se, per esempio, il bambino non sente Dio come sicurezza, e l’adolescente non lo scopre come l’unica persona che ha veramente fiducia in lui al punto di affidargli lo stupendo tesoro della libertà e come l’unico Amico disinteressato capace di insegnargliene l’uso; se il giovane non trova nella Parola di Dio i motivi e il sostegno per maturare il suo senso di responsabilità e l’adulto i motivi e la forza per superare le difficoltà dell’esistenza e la sua solitudine; e se, infine, all’anziano la Parola non offre la sicurezza di una vita che non finisce, è certo che la Parola non ha generato la fede e che la Chiesa non ha continuato ad essere «piantata ».
E d’altro lato, questa azione deve essere accompagnata da un lavoro che tenda a far crescere la fede: una fede che non sia alimentata non cresce e una Chiesa che non cresce muore.
L’ambiente della crescita della fede è la comunità (Chiesa), il suo nutrimento la Parola e la celebrazione comunitaria della Liturgia; essa matura nella carità.
Quest’ultima considerazione richiama la funzione profetica propria della Comunità cristiana come tale: essa, guidata dai propri Pastori, unanime nell’esercizio della carità e animata dallo spirito di povertà, mitezza e carità, risponde agli aneliti del Cuore del Salvatore, il Quale attende che la luce dei suoi splenda in mezzo ai fratelli affinché possano credere e dare gloria al Padre che sta nei Cieli (Mt. 5, 16).
S. Ecc. Mons. Carlo Ferrari
Stampa: “Aggiornarsi al Concilio”.
Precede l’intervento del Vescovo da pag. 39 a pag. 56 “Sguardo sintetico alla costituzione liturgica” di D. Eugenio Lisi OSB della Abbazia di Noci;
segue da pag. 69 a 82 “La funzione regale” di Sac. Michelangelo Pelàez, dell’Opus Dei
ST 212 Parola 1964