Preambolo
Quando il nostro intento non è quello di prepararci meglio a istruire dei giovani, ma quello di portarli in un mondo di relazioni personali col loro Dio fino al conseguimento di una fede adulta, ci interessa la fede non in senso dogmatico ed isolato, ma sotto l’aspetto vitale e totale. La nostra attenzione quindi, non sarà rivolta alla fede intellettualizzata, oggettivata e astratta, ma a ciò che equivale a una relazione primordiale e personale, in continuo progresso, con il Dio vivo.
La benevola disposizione dei presenti rende superfluo protestare che il fondamento e l’ossatura su cui poggia e si organizza ogni nostra affermazione é il Magistero della Chiesa.
E poiché la nostra preoccupazione è di introdurre stabilmente nel mondo della fede chi (ha subito una crisi della fede) é lontano dalla fede, ci soffermeremo di preferenza sulla fede di conversione, piuttosto che sulla fede in progresso; cioè, ci interesserà piuttosto il momento dell’incontro e dell’ impegno definitivo del giovane con Dio, che il tempo dello svolgimento delle sue relazioni con Lui.
Tentiamo, anzitutto, di mettere in luce “la struttura personale della fede”, o, se vogliamo, “l’aspetto esistenziale” della medesima. In un secondo tempo descriveremo le tappe principali dell’ “itinerario della fede”.
Struttura personale della fede
“La dottrina di fede rivelata da Dio è affidata alla Sposa di Cristo come un divino deposito per essere fedelmente custodita e infallibilmente promulgata”.[1] Ciò spiega la preoccupazione più che legittima della Chiesa di mettere al sicuro il senso immutabile della verità di fede con le definizioni dogmatiche, le quali risponderanno tanto meglio allo scopo quanto più i termini che le compongono sono astratti.
Se a questo aggiungiamo che il metodo di studio di coloro che dovranno diventare i Maestri della fede è, e deve essere, anzitutto scientifico, noi ci spieghiamo facilmente come i problemi della fede rischino di diventare una cosa astratta come i concetti che li custodiscono e i termini che esprimono questi concetti.
Non desta nessuna meraviglia una presentazione della religione come “un complesso” di verità, di norme e di riti, con le conseguenti enunciazioni analitiche, secondarie, frammentarie che difficilmente permetteranno la visione della totalità sintetica e, meno che meno, di arrivare alla realtà, cioè a Dio.
Non si è sufficientemente avvertito che il vantaggio didattico della esposizione astratta si andava scontando con una perdita dell’unità vivente e personale dell’oggetto della fede e, mentre dalle nostre scuole e dai nostri catechismi hanno continuato a uscire delle persone istruite nella fede, purtroppo hanno cessato di uscire delle persone di fede.
La fede che soggettivamente equivale a “scoprire un Altro più vivo di me”, a porre la mia fiducia in Uno più saggio, più forte, più buono”, suppone essenzialmente, dall’altra parte, la presenza di una persona.
Un impegno come quello della fede, che equivale a spostare l’asse della propria esistenza da me a un altro, a perdermi invece che ad “avere”, a collaborare invece che ad avere l’iniziativa, suppone una realtà che valga più di me, cioè che sia più personale di me.
Una relazione come quella voluta dalla fede non si attua che tra persone che si conoscono, si amano, fino a mettere in comune la loro vita.
Si capisce S. Tomaso che dice: “Actus credentis non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem”[2] e : quicumque credit, alicuius dicto assentit, principale videtur esse et quasi finis in unaquaque credulitate ille cuius dicto assentitur; quasi autem secundaria sunt ea quae quis tenendo vult alicui assentire.”[3]
Importa che nel mondo della fede, evidente, in primo piano, viva, ci stia “una persona”.
La fede è personale nel suo oggetto
I Dogmi, i Precetti, la Grazia vanno riferiti a una Persona, affinchè si possa percepire la loro realtà vitale di pensieri, di desideri, di azioni, di nostro Signore Gesù Cristo.
Gli articoli di fede staccati dalla Persona di Gesù Cristo diventano delle astrazioni;
i Precetti della morale senza la Persona dalla cui volontà nascono, non si giustificano;
la Grazia senza la presenza attiva di una Persona divina perde il suo significato reale di vita divina partecipata.
Qui si vede come l’oggetto a cui termina la fede é Gesù Cristo e, per Gesù Cristo, a Dio Padre, a Dio Spirito Santo.
La fede è personale nel suo scopo
Immediatamente Gesù Cristo; per Lui, con Lui e in Lui il Padre e lo Spirito Sento. Ossia, la fede è cristocentrica e perciò trinitaria perché nella Persona del Figlio troviamo il Padre e lo Spirito Santo. Questa imponenza personalistica dell’oggetto della fede lascia intravedere facilmente come esso si identifichi con il fine della stessa fede, cioè la felicità dell’uomo.
A parte le ragioni logiche, per cui, massimamente in Dio, Essere, Verità e Bene si identificano, e quelle metafisiche per cui in Dio non si distinguono Persona e Natura, la fede è insistente nel presentare le Divine Persone come identificate con l’Amore e tutto ciò che Dio opera nel mondo è attribuito nominalmente all’Amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Quindi la beatitudine è l’Amore, l’Amore è Dio, Dio è il Padre, il Figliolo e lo Spirito Santo: una Persona, una Persona, una Persona.
La fede è personale nei suoi motivi
Infine la ragione che determina l’adesione a Dio nella fede e che rende questa adesione un ossequio ragionevole è del tutto personale:
io credo perché Dio in persona mi parla;
io credo perché Dio mi fa capire che posso credere;
io credo perché Dio mi convince che debbo credere.
Chi vuole arrivare alla fede e chi vuole portarvi gli altri sbaglia nettamente se pretende di arrivare alla convinzione di dover credere, cercando dei motivi razionali astratti, oppure delle dimostrazioni scientifiche.
Siamo nell’ambito dei rapporti personali e, tra persone, l’intesa non si stabilisce al piano dei concetti astratti o a quello delle prove tecniche. Lo scienziato, che per metodo deve essere determinista, dinanzi a qualsiasi prova che Dio ha parlato, al massimo [4] pronuncerà un giudizio sospensivo; il filosofo si rifugerà, al massimo, in un giudizio fortemente probabile o in un minimismo così concepito: Dio è libero e onnipotente, ma non si capisce perché la sua sapienza lo faccia agire senza un disegno.
Stanno ben diversamente le cose per chi parte da una posizione personalistica come è quella della Rivelazione e che si può determinare in tre tempi:
1) chiamata: “Magister adest et vocat te”[5] “Ecce sto ad ostium, et pulso: si quis audierit vocem meam, et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum, et cenabo cum illo, et ipse mecum.”[6] ” Nemo venit ad me nisi Pater traxerit eum”.[7]
2) messaggio: “Quod scimus loquimur”.[8] “Doctrina mea non est mea, sed eius qui misit me”[9]
3) testimonianza: “Quod vidimus testamur”. [10] “Si mihi non vultis credere, operibus credite”.[11]
Un Dio, uno in tre Persone, è un Dio che sa e provvede e non abbandona le sue creature al destino.
Egli è il pastore eterno che va per il mondo per chiamare tutti e portare tutti al sicuro.
Egli non fa che chiamare: “Venite ad me . . .venite ad me omnes”, fino a che non possa dire: “Venite benedicti”. La sua voce è distinta e chiama per nome, perché ogni uomo che viene a questo mondo porta il proprio nome dato da Lui e che ne esprime l’Amore.
Chi chiama è Lui in persona; si ascolti Pietro oppure Paolo, Cristo è che chiama sia con un cenno esterno, sia – e questo è che conta soprattutto – con un interiore istinto, che tecnicamente chiamiamo Grazia, ma che non è altro che l’azione di Dio. E sia Pietro o Paolo che parlano, Dio è che parla con la sua Parola fatta suono umano nel Figlio suo il quale continua a farsi ascoltare nella sua Chiesa, dove nasce la fede per la parola di Cristo che si ascolta esteriormente con l’udito e, soprattutto, si coglie nel suggerimento interiore dello Spirito Santo. Che poi sia proprio Dio in persona che parla, ci stanno i segni a provarlo. Per una conclusione positiva a favore della fede, soprattutto a questo punto, è necessario rimarcare l’aspetto personale della testimonianza.
I miracoli fisici o morali che costituiscono i segni con cui Dio prova il suo messaggio, se non sono riferiti alla persona che intenzionalmente li compie, non saranno decisivi.
I segni hanno senso soltanto nell’ipotesi che una persona abbia qualche cosa da dire.
I segni riferiti a dei principi generali astratti, non solo non dicono nulla, ma non fanno che confondere. Quando invece partono da una persona nella quale si suppone una intenzione dialogica, essi possono essere anche minimi e dire delle cose grandi.
Escluse le sue inclinazioni fideistiche, si può ben concludere con Pascal: “La nostra religione è sapiente e folle. Sapiente perché è la più saggia e la più fondata sui miracoli, profezie, eccetera. Folle perché non è affatto tutto ciò che ci fa credere; ciò fa condannare quelli che non credono, ma non fa credere quelli che sono credenti”. I credenti credono a Dio.
Itinerario della fede
La struttura personale della fede determina l’io della fede diventa più evidente se si considerano le disposizioni e il lavoro del tutto personalistici che definiscono l’itinerario della fede.
La fede, nella sua essenza, sarà la risposta della persona umana al Dio personale, e perciò l’incontro di due persone. (Mouroux – Io credo in te – pag.47 – Morcelliana – Brescia).
La fede è una Persona che chiama e una che risponde.
L’atto di fede è il dono di una persona creata all’Essere personale increato.
L’oggetto della fede è, in prima linea, una Persona; nella fede la salvezza beatificante si identifica con una Persona; una Persona si incarica di garantire la fede. Perciò il problema dovrebbe essere posto in questi termini: “come arrivare a una persona?” E’ facile cedere alla tentazione, più conforme ad una certa mentalità, di porre il problema in altri termini, per esempio: “come arrivare alla verità”, oppure: “come arrivare alla felicità”.
Non ci si deve invece stancare ed è necessario insistere per tenere presente che la Verità, il Bene, l’Essere per la fede sono una realtà personale e che il possesso di tutta la verità cristiana e di tutto il bene proposto dal Cristianesimo non costituisce la fede.
Come va pure tenuto presente che se l’atto di fede nelle sue componenti è un atto dell’intelligenza e della volontà elevate dalla grazia, chi crede, cioè chi aderisce a Dio che parla, è la persona.
Una certa familiarità con il linguaggio scolastico dovrebbe aiutare a comprendere la distinzione tra le facoltà con cui uno agisce, e che appartengono alla natura, e gli atti compiuti, i quali invece appartengono alla persona. Si deve dire che l’atto di fede è un atto personale, che investe cioè tutta la persona.
Due persone, quando hanno notizia l’una dell’altra, e pensano di avere un interesse, prima si cercano, poi si conoscono, poi, se è il caso, stabiliscono una relazione più o meno stabile e profonda.
Chi vuole andare o portare gli altri verso la fede, deve tenere, almeno come ipotesi, che Dio nella sua provvidenza, cerca l’uomo, vuol rivelarsi per salvarlo e di tutto è disposto a dare le prove più sicure.
Colui che vuole arrivare alla fede è uno che va alla ricerca di una persona, di cui sente il bisogno.
I ragionatori troveranno sempre ragioni per non credere; come gli assetati di felicità ne troveranno sempre un sorso che li distoglie dalla sorgente.
Ma soprattutto va tenuto presente che una persona che non si raggiunge nella sua essenza ragionando delle qualità che possiede, o aspirando ai beni che ha e prescindendo da ciò che è.
Chi poi si pone nella via della fede deve sapere in antecedenza che dovrà percorrere dei passaggi oscuri. Lui ci vede poco: è un disorientato, è ferito nella intelligenza e nella volontà; i concetti di cui si serve sono appesantiti da una “ganga” opaca, sono carnali e perciò niente adatti a percepire le cose dello spirito e, tanto meno, una persona spirituale.
La conoscenza di una persona spirituale poi, non avviene per via discorsiva, come si penetrerebbe in un ambiente oscuro con un mezzo luminoso; la conoscenza di una persona è piuttosto una penetrazione che si opera per mezzo dell’amore.
Inoltre nella fede è una Persona divina che si rivela attraverso segni umani.
E’ la rivelazione di Dio come nascosto, visto nel riflesso, veramente nel mistero; la fede è decisamente ” argumentum non apparentium”.
In fine, la fede introduce nel mondo soprannaturale: il che vuol dire in un mondo nel quale la forza “visiva” delle facoltà naturali è zero e proprio non ci si vede.
Questi passaggi oscuri dell’itinerario della fede suggeriscono e definiscono i mezzi di superamento.
Intanto è indispensabile il sentimento della fiducia che valga la pena di sottoporsi a un determinato scomodo equipaggiamento; quindi essere davvero, cioè seriamente, disposti a stare alle prescrizioni di marcia.
In primo luogo una cura igienica: pur sapendo che alla fine mi occorreranno determinate lenti che portino la mia capacità visiva al livello del mondo soprannaturale, devo intanto preoccuparmi di assicurarmi degli occhi sani. La vista “carnale” va sottoposta a una purificazione necessariamente dolorosa; altrimenti potranno esserci a disposizione tutti i mezzi d’ingrandimento e io non vedrò la luce.
Gli impudichi, gli avari, i cultori di idoli non entreranno nel regno dei Cieli.
In secondo luogo, chi vuole arrivare alla fede deve disporsi a rinunciare a se stesso. Credere è un rischio, nel senso che il credente pone tutta la sua fiducia in una promessa di vita che dipende soltanto da Dio; l’uomo abdica alla sua sufficienza, accetta di perdersi. “Chi perde la sua vita per me la salverà”.[12]Chi si trincerasse nel chiuso dell’autodifesa, si metterebbe fuori del contatto indispensabile che rende possibile la conoscenza di una persona.
A questo punto siamo al passaggio più oscuro del nostro itinerario. Siamo al momento d’incontrare un segno, di raccogliere una testimonianza, di trovare i famosi motivi di credibilità.
Bisogna tener presenti due cose:
1) chi testifica lo fa perché ha la preoccupazione di fare accettare una salvezza; vale a dire: Dio si fa riconoscere per stabilire col credente dei rapporti di vita eterna;
2) chi vuole arrivare alla fede deve avere un serio interesse all’ipotesi di un intervento personale di Dio nel destino di ogni uomo, in vista di una salvezza. Chi non sente il bisogno di salvezza non può credere.
Solo dall’accostamento dei poli, per dire così, degli interessi di due persone scocca la scintilla che fa riconoscere la testimonianza.
Solo due persone che si ricercano con la viva speranza di un grande bene, si riconoscono a qualunque segno. E non si dica che questo è abbandonarsi a un complesso irrazionale radicato in bassi istinti di felicità, capaci, per saziarsi, di rinunciare ai rigidi lumi della ragione; è bene insistere, per rassicurare chiunque, che qui ci troviamo invece in un istante di grande lucidità, di forte coraggio e di esigente fedeltà. Giova inoltre far distinzione tra evidenza e sicurezza. La testimonianza è garanzia di sicurezza perché si basa sulla parola di una persona. L’evidenza è invece la proprietà delle cose che si raggiungono direttamente con i mezzi conoscitivi e quelle della fede si vedono soltanto o per riflesso o per sentito dire: ciò che esclude l’evidenza.
A questo punto è doveroso indicare dove si trova la testimonianza della fede.
Si deve ritenere che autentica, ufficiale normalmente si trova nel Corpo della Chiesa, eccezionalmente nell’anima della Chiesa.
Gesù ha attestato ciò che ha visto presso il Padre;
gli Apostoli sono stati costituiti testimoni della potenza della grazia di Cristo;
la Chiesa continua la testimonianza degli Apostoli.
La testimonianza della Chiesa ha essenzialmente questo significato: Gesù Cristo, la testimonianza che ha dato alla Dottrina il Padre nella sua umanità mortale, continua a ripeterla nei cristiani che sono le membra del suo Corpo Mistico.
Tra Gesù Cristo Capo e la Chiesa, suo Corpo Mistico, c’è una unità ontologica, soprannaturale e organica e perciò la forza della testimonianza è identica, anche se diverso lo strumento che la esprime.
Di passaggio conviene richiamare che questa unità è frutto del carattere sacramentale, il quale ci rende partecipi della potestà sacerdotale di Gesù, il cui compito presso gli uomini è, in primo luogo, quello di rendere testimonianza alla verità.
La partecipazione alla potestà sacerdotale di Gesù è per tutti i gradi del carattere sacramentale, una promozione al compito di testimoni: il Vescovo lo é a titolo di capo.
E ora, arrivati all’ultima tappa del nostro itinerario, richiamiamo per l’ultima volta la realtà centrale della fede: due persone che si incontrano perché si cercano, perché si amano.
Da una parte Dio che chiama, che parla, che dà sicurezza; dall’altra la creatura che ha visto un segno, che spera, si libera da se stessa e si perde in Dio come il bambino che si lascia portare tra le braccia della madre.
Tra la base di distacco: l’io dell’individuo, e il punto di arrivo: Dio, la distanza è quella che separa due ordini tra i quali non esistono proporzioni né di natura, né di forze, né di mezzi; è infinta.
L’uomo che si inoltra verso il mondo della fede, a ogni passo, diventa meno adatto a proseguire; Dio rimane sempre più esclusivamente capace di portarlo avanti.
La grazia diventa una forza di intimazione e di fecondità che agisce nel cuore, senza violare però in nessun modo la libertà dell’uomo.
Il “sì” finale sarà esclusivamente di Dio, ma l’uomo conserverà la perfetta facoltà di dire ancora “no“.
In nessun altro momento come nel libero gioco della grazia, l’individuo afferma la propria personalità: la coscienza non è mai stata più lucida, la libertà più svincolata e il dono più disinteressato.
Qui, se si vuole arrivare, la docilità dovrà tradursi in desiderio e preghiera.
Manoscritto – dattiloscritto con correzioni manoscritte MN 358 Fede 55
MN 358 Fede 1955 manoscritto