Convegno di Spiritualità del prezioso Sangue
Bari 18-21 Settembre 1967
Il tema è abbastanza specioso: lascerebbe quasi supporre che dopo il Concilio sia cambiato qualche cosa nella religione. Bisogna guardarsi da questo modo di pensare: il Concilio semmai ha riscoperto molte cose, le ha poste in una luce più chiara. Così è della devozione e degli atti con cui la devozione si alimenta e si esprime e che comunemente sono chiamati «pii esercizi ».
La devozione è un atto personale
La devozione è come il fiore della vita religiosa, è una espressione che denota una certa pienezza di vita religiosa e, come veniva comunemente definita, consisteva nella prontezza gioiosa della volontà di sottomettersi alla volontà di Dio: la volontà dell’uomo sottomessa con prontezza, con gioia a quella di Dio.
E’ chiaro che anche dopo il Concilio le cose abbiano a stare così. Ciò che il Concilio mette in una luce nuova è piuttosto il modo di concepire la devozione.
In passato, specialmente negli ultimi secoli è prevalso tanto nella teologia come nella catechesi un metodo speculativo che ha trasferito le realtà della vita religiosa da un piano storico, personale, concreto a un piano astratto, concettualista e conseguentemente lontano dalla realtà della vita vissuta: di una realtà viva ne è risultato un complesso di concetti, di nozioni, di verità, e questo ha avuto delle notevoli conseguenze sul piano della vita pratica religiosa perché l’astrazione ha allontanato dalla concretezza. Il concettualismo ha allontanato dal personalismo, l’oggettivismo, l’essenzialismo ha allontanato dallo esistenziale.
Così, volendo riferirci al nostro tema, la devozione era considerata nei suoi elementi essenziali, oggettivi, veri, se si vuole, ma molto lontani dalla esistenza concreta. Si poneva l’accento sulla volontà, sulle disposizioni della volontà, quasi disincarnando la volontà dalla persona.
In concreto non esiste la devozione, semmai esiste un devoto, cioè, la persona devota. In concreto, in una persona non è mai soltanto la volontà che sceglie, decide, compie un atto: è tutta la persona impegnata in qualsiasi azione, sia interiore che esteriore; tutto il nostro essere partecipa di qualunque nostro agire. Perciò la devozione è un atto eminentemente personale che impegna tutta intera la persona umana. Ma verso che cosa impegna tutta la persona la devozione?
Si diceva in passato verso l’adempimento della volontà di Dio. Anche qui si fa dell’astrazione come se Dio fosse separato dalla sua volontà, come se la volontà di Dio non fosse Dio stesso in persona, il quale esprime qualche cosa nei riguardi di un’altra persona, della nostra persona, della persona del devoto.
E’: quanto mai necessario tenere presente quanto Dio sia personale, quanto Dio nel compiere tutti gli atti e della creazione e della salvezza esprima quanto egli sia personale. Noi sappiamo, guidati dalla Rivelazione, che Dio è tanto personale che la totalità del mistero del suo essere è quella di un Dio solo in tre persone, Padre, Figliuolo, Spirito Santo. Non è indifferente per i nostri rapporti con Dio e soprattutto per i rapporti di Dio con noi concepire le cose in astratto e concepire le cose intese nella loro realtà concreta: che il Padre si interessi di me, che mi esprima il suo amore per mezzo del suo Figlio, che il Padre e il Figlio mi raggiungano con il loro amore, nel loro comune amore, che è lo spirito Santo è tutta una storia concreta che ha avuto i suoi momenti nel tempo e nello spazio, che ha la sua continuità nella storia del mondo, nella vita della Chiesa. Questo è l’aspetto sul quale insiste il Concilio: l’aspetto personalistico dei rapporti di Dio con noi e conseguentemente dei nostri rapporti.
Abbiamo detto che la devozione è un grado già piuttosto elevato della vita religiosa. Se la vita religiosa è lo svolgimento dei nostri rapporti personali con le divine Persone, la devozione deve essere un grado già maturo che tende a maturare sempre di più questi rapporti personali con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo.
E’ illuminante l’insegnamento del Concilio a questo proposito in tutti i suoi documenti ma particolarmente nella; costituzione “Dei Verbum” al numero cinque fa delle affermazioni che servono molto a chiarire il concetto di devozione e dice così: “A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede, con la quale l’uomo si abbandona a Dio tutto intero liberamente, prestandogli il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà e acconsentendo volontariamente alla Rivelazione data da Lui. Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità. Affinché poi l’intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni”.
La devozione è questa obbedienza della fede pronta ed amorosa con la quale l’uomo tutto intero si abbandona liberamente a Dio acconsentendo volontariamente a ciò che Egli esprime attraverso la Rivelazione. Ecco la devozione alla luce della dottrina del Concilio.
La devozione deriva e si alimenta all’amore
Ma, a questo punto dobbiamo fare una osservazione molto decisiva. La devozione, siamo stati abituati a guardarla come un atto del cristiano, della persona battezzata nei confronti di Dio. Ci siamo mai chiesti come può la persona umana diventare capace di una vera autentica devozione verso Dio? In altre parole: qual’è la sorgente della devozione? E ancora: da quali motivi nasce questa disposizione di tutto l’uomo, continua, pronta, gioiosa, questa « disponibilità », come si direbbe oggi, a tutta la volontà di Dio?
La risposta la troviamo nel testo che abbiamo appena citato: l’uomo diventa capace di abbandonarsi tutto intero in un modo cosciente e libero al beneplacito della volontà con l’obbedienza della fede, cioè, con la devozione, per una azione misteriosa che Dio per primo compie nell’uomo. E’ il suo Spirito, cioè il suo amore personale che diffondendo la carità nel cuore dell’uomo gli dà la capacità soprannaturale, divina di compiere degli atti di amore che sono partecipi dell’amore stesso di Dio, cioè dell’amore stesso con cui le Divine Persone si amano tra di loro e dell’amore con cui le Divine Persone amano ciascheduno di noi. Quindi la nostra capacità a voler bene a Dio secondo le dimensioni della devozione cristiana, non è una capacità naturale, spontanea, ma frutto dell’azione dell’amore di Dio in noi, che con la sua grazia ci rende capaci di essere devoti.
Ma perché noi siamo devoti? Ecco un altro punto da mettere bene in chiaro. Noi siamo totalmente disponibili a tutta la volontà di Dio per la sua grazia e, quando diciamo per la sua grazia non dobbiamo intendere soltanto perché Iddio ci aiuta, ma dobbiamo andare a scoprire la ragione per cui Dio ci è accanto per aiutarci. Anche a questo proposito la Costituzione dogmatica al n. 2 sulla divina Rivelazione ha delle parole che chiariscono molto bene la verità che ci interessa; dice: « piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura. Con questa rivelazione, infatti, Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé.
Questo è il movente per cui Iddio ci viene incontro per renderci capaci di stabilire dei rapporti personali di amore con Lui: è il suo amore infinito. Tutta la rivelazione cristiana, se intesa bene, è tutta una rivelazione di amore. Al primo posto della nostra religione c’è l’amore infinito di Dio; tutta la storia della salvezza è un susseguirsi di fatti meravigliosi che manifestano, descrivono nei termini più commoventi, più umani, più intimi l’amore di Dio per gli uomini.
Non è un rilievo da poco questo perché se Dio nella sua natura è amore (dice S. Giovanni « Dio è amore ») non poteva fare ciò che ha fatto e nella creazione e nell’opera della redenzione se non per amore; che Dio si metta in rapporti personali con gli uomini è un fatto unicamente di amore. Noi ancora nella nostra teologia e nella nostra catechesi purtroppo questo fondamento della nostra fede lo abbiamo lasciato troppo in ombra; la nostra catechesi è stata presa da una preoccupazione quasi esclusivamente moralista e abbiamo insistito quasi esclusivamente su ciò che l’uomo deve a Dio, sui suoi doveri verso di Lui, sull’adempimento della legge, sulla osservanza dei comandamenti e abbiamo lasciato, ripeto, per lo meno in ombra, ciò che Dio ha fatto per noi, ciò che Dio continua a fare per noi, ciò che è indispensabile che Dio faccia per noi al fine di renderci capaci di fare anche noi qualche cosa per Lui.
Tutto questo è frutto del suo amore; è il suo amore per gli uomini. E’ vero, Dio è l’essere assoluto, l’uomo invece è una creatura limitata, l’uomo è fatto per Iddio non si può cambiare l’ordine delle cose, ma l’amore di Dio è così sorprendente, sconvolge talmente il nostro modo di pensare che va al di là di quello che noi riteniamo un ordine assoluto. Dio ha voluto essere tutto per noi: nel suo amore infinito si è fatto uno di noi, si è posto al nostro servizio e si è tanto abbassato da nullificare se stesso diventando ubbidiente fino alla morte. Ecco l’amore di Dio: il Padre ci ama fino al punto di dare il suo Figliuolo unigenito per noi, il Figlio ci ama fino al punto di dare la sua vita per noi, lo Spirito Santo che diffonde l’amore di Dio nel cuore degli uomini, concretizza, rende un fatto personale per ciascuno di noi questo amore infinito di Dio, facendolo giungere ad ognuna delle nostre persone.
Ecco perché noi possiamo diventare devoti, cioè totalmente disponibili a tutta la volontà di Dio, veramente religiosi. Ecco perché noi possiamo amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le nostre forze: perché l’amore di Dio è in noi, perché Dio ci ha amato Lui per primo. S. Giovanni direbbe « amiamo Iddio perché è stato Lui il primo ad amarci » (I Gv. 4, 19).
Il Sangue preziosissimo espressione di amore
Ed ora passiamo al punto specifico del nostro tema, quello del Sangue preziosissimo di nostro Signore Gesù Cristo.
Due osservazioni. La prima è questa: il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo non lo dobbiamo staccare dal tutto che è l’umanità santissima del Salvatore, non lo dobbiamo separare dalla persona del Figlio di Dio nostro Salvatore; Gesù il quale insegna che non c’è amore più grande di quello di chi dà la propria vita per la persona amata, ci ama al punto di dare la sua vita per noi. In concreto, per Gesù manifestarci il suo amore col dono della sua vita, equivale ad essere morto in croce per noi, ad avere sparso il suo Sangue per noi. Il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo è l’espressione più eloquente, dice Papa Giovanni, dell’amore che Egli ci porta.
Il sangue specialmente nel linguaggio biblico è simbolo della vita, è la sorgente della vita, è tutta la vita; dare il sangue è dare tutta la propria vita per una persona. Ecco allora il posto del Sangue preziosissimo di nostro Signore Gesù Cristo nella vita cristiana: è Gesù in persona che ci manifesta il suo amore nel modo più eloquente, non solo, è Gesù in persona che diventa il primo < devoto » del Padre; in tutta la sua vita di Figliuolo dell’uomo è totalmente disponibile a tutta la volontà del Padre; per amore nostro, al Padre che voleva la nostra salvezza, ha dato tutto se stesso, fino all’ultima goccia del proprio sangue.
Noi diventiamo devoti del Padre unendoci alla devozione di Gesù, alimentandoci alla devozione di Gesù, cioè unendoci alle disposizioni con cui Gesù dà tutto se stesso per amore del Padre, per la nostra salvezza; ricevendo come frutto del suo sacrificio la capacità di essere a totale disposizione della volontà del Padre per la salvezza del mondo.
L’apostolato espressione di devozione
Questa è autentica devozione: la disposizione che ci unisce alla volontà di Gesù di essere pienamente disponibile alla volontà di Dio per la salvezza dei nostri fratelli.
Nella devozione non dobbiamo mai terminare soltanto a noi stessi e neppure soltanto a Mo: dobbiamo arrivare dove arriva la volontà di Dio e la volontà di Dio è tesa alla salvezza di tutti gli uomini. Se noi siamo autenticamente devoti dobbiamo metterci a disposizione della volontà di Dio in un modo cosciente, libero generoso, gioioso per la salvezza dei nostri fratelli. Non si concepisce una devozione chiusa in se stessa, non è cristiano. La devozione necessariamente diventa la spinta verso un’azione apostolica nei confronti dei nostri fratelli; una devozione senza apostolato è un albero senza frutti; una devozione cristiana che non sia una devozione missionaria nel senso della preoccupazione e dell’impegno della salvezza degli altri non è autentica.
Le devozioni
Il tema che mi è stato assegnato richiede una parola anche sulle devozioni, cioè sugli atti per mezzo dei quali si alimenta e per mezzo dei quali la devozioni si esprime e si manifesta.
Quali sono questi atti?
Ci sono degli atti pubblici, ufficiali: sono gli atti stabiliti dalla autorità della Chiesa e che corrispondono a ciò che Gesù Cristo ha istituito per alimentare la fede, la vita soprannaturale nella Chiesa. Al primo posto quindi ci sta l’atto liturgico che è l’atto autentico, che ha il suo centro la ripetizione rituale cioè l’atto sacramentale con cui il sacrificio di nostro Signore Gesù Cristo è presente e operante nella Chiesa; questo è l’atto più autentico, più ricco, più importante della devozione cristiana.
E’ logico che qualunque altro atto e, come il Concilio si esprime nella Costituzione della Sacra Liturgia, « i pii esercizi » per essere autentici devono partecipare dell’azione liturgica, devono ispirarsi all’azione liturgica, devono essere in sintonia con l’azione liturgica.
La vera devozione quindi si esprime principalmente con una partecipazione cosciente, attiva, fruttuosa agli atti della liturgia della Chiesa e particolarmente alla liturgia della Messa. E’ una partecipazione al sacrificio di Gesù Cristo, è una partecipazione a quell’atto eloquentissimo dell’amore di Dio, che si esprime attraverso lo spargimento del Sangue di un Dio che muore in croce per noi.
Gli atti di devozione verso il Sangue preziosissimo di nostro Signore Gesù Cristo ricevono la loro autenticità dalla partecipazione al sacrificio della Messa.
Ci possono essere anche molti altri atti che si riferiscono sempre al memoriale della passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo. Non è necessario enumerarli: voi in questo siete maestri. Ciò che era importante mettere in rilievo è che devono essere in relazione a tutto il senso della devozione come abbiamo tentato di esporre in questa breve conversazione.
S. E. Mons. CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli
ST 196 Devozioni 1967