A Parma con i diaconi di Mantova che si preparano all’Ordine Sacro
La consacrazione presbiterale vi stabilisce in un rapporto specifico con tutto il presbiterio quindi con tutti i sacerdoti della diocesi. Questo rapporto deve avere il suo punto di riferimento, come è naturale, a nostro Signore Gesù Cristo fondamentalmente, perché ogni presbitero è personalmente in una relazione particolare con nostro Signore Gesù Cristo. Ma poi i presbiteri tra di loro non possono prescindere dal fatto di essere legati ciascuno personalmente da un rapporto singolare con nostro Signore Gesù Cristo.
Allora questo rapporto – chiamiamolo triangolare – non può essere ignorato, ma deve essere realizzato, deve costituire l’impegno principale in continuità dell’impegno del rapporto con il vescovo. Il presbitero, prima di sentirsi impegnato rispetto alla comunità cui è destinato, deve sentire l’impegno delle sue relazioni con i presbiteri,con i suoi confratelli nel sacerdozio. Questo deriva proprio da un fatto costitutivo del ministero sacerdotale nella chiesa, quindi da una esplicita volontà di nostro Signore Gesù Cristo.
I dodici sono vissuti con Gesù insieme, hanno conosciuto Gesù insieme, hanno fatto l’esperienza di nostro Signore Gesù Cristo insieme, sono stati costituiti insieme, sono stati mandati insieme, hanno ricevuto lo Spirito Santo insieme, Gesù risorto raccomanda loro di trovarsi insieme, per ricevere lo Spirito Santo,e poi, lo avrebbero visto in Galilea.
E’ facile rilevare come questo aspetto della vita ecclesiale è parecchio trascurato. Ogni sacerdote si comporta in modo molto individualista. Nel suo ministero si sente anche molto impegnato, generosamente impegnato ma come se fosse da solo. C’è l’interesse di nostro Signore Gesù Cristo, c’è la così detta gloria di Dio, c’é la salvezza delle anime, ma non parte insieme ai suoi confratelli nel sacerdozio. Parte da solo. Tuttalpiù parte col vice-parroco, ma non ha la coscienza e la preoccupazione di fare parte di un unico presbiterio.
Il riferimento a nostro Signore Gesù Cristo nella fede deve avere una dimensione comunitaria che diventa, poi, la forma di vita, che deve essere data alla chiesa. Noi dobbiamo essere il modello del gregge. Noi dobbiamo essere il modello della chiesa, perciò noi dobbiamo esprimere questa unità nella comunione: la comunione nella carità vicendevole per essere presbiteri credibili. Il motivo che si va a cercare oggi insistentemente é quello della credibilità. Tutti vogliono essere credibili. Il criterio stabilito da nostro Signore Gesù Cristo rivolto proprio ai discepoli è precisamente questo: “Che siano uno solo come Tu e Io siamo uno solo, affinché il mondo creda”.
Il riferimento a nostro Signore Gesù Cristo nella fede porta evidentemente ad essere uniti nel modo di concepire il ministero. Non ricordo se ieri sera lo abbiamo sufficientemente esplicitato. Riferimento a nostro Signore Gesù Cristo vuole dire, che noi siamo soltanto servi inutili rispetto alla nostra missione, rispetto all’azione del nostro ministero perché, chi opera attraverso noi e con noi é nostro Signore Gesù Cristo. E’ Lui il salvatore del mondo. Non siamo noi i salvatori del mondo e non lo sono le strutture.
Questo richiamo alla fede deve farci escludere queste cose dal nostro ministero per insistere sul senso dell’inserimento nel presbiterio. Il presbiterio in cui vi inserite, per la parte predominante, viene ancora dalla tradizione ecclesiastica nella quale prevaleva il servizio cultuale, quindi la celebrazione dei sacramenti considerati principalmente sotto l’aspetto della validità e perciò con poca preoccupazione di una autentica evangelizzazione. Addirittura anche nel linguaggio si parlava di istruzione religiosa, che non era una catechesi nel senso della esposizione della parola di Dio, ma era una catechesi nel senso della divulgazione di una certa teologia manualistica, che è tutt’altra cosa. Vi trovate poi in un presbiterio con una certa mentalità.
Qui vi parlo in tutta libertà ma bisogna essere anche comprensivi. Bisogna avere il senso della storia – lo dico tante volte- per rendersi conto che, se uno é cresciuto in un ambiente che favoriva una determinata mentalità, bisogna essere comprensivi di quella mentalità. Parlo della mentalità di una cristianità stabilita, pacifica o di una presunta cristianità, per cui la gente é cristiana, le popolazioni sono cristiane, i fedeli sono buoni cristiani e stanno in atteggiamento di difesa di questo stato di cristianità e di questi presunti buoni fedeli. E ricercavano la difesa – e in parte continuano a ricercarla- in strutture esterne, in mezzi esterni.Del resto é anche nella mentalità di molti fedeli che mandano i loro figlioli dal prete perché imparino cose buone, non corrano il rischio di determinati pericoli.
Si era arrivati al punto – cerchiamo di capire bene – di concepire almeno in modo inconscio, l’azione o la funzione politica come una garanzia e come una difesa della vita cristiana. Il così detto partito cattolico lo vedono in funzione difensiva, in funzione protettiva, mentre una evangelizzazione autentica dovrebbe ispirare tutto il comportamento del cristiano anche in campo politico e quindi orientarlo verso scelte che portino una ispirazione cristiana anche nell’azione politica per il raggiungimento di un bene comune, che è tanto più garantito quanto più è illuminato dalla fede ed è radicato nella salvezza di nostro Signore Gesù Cristo. In certo qual senso si rovesciano i ruoli: dalla Democrazia Cristiana aspettano una difesa per la chiesa, una difesa per la fede!
Comprendete come sulle vostre spalle gravi l’impegno e la carità di portare una visone di fede, che per voi è più facile perché avete fatto la vostra formazione. La vostra preparazione su un’altra ecclesiologia con un riferimento più esplicito al mistero di Dio presente e operante nella chiesa, perché avete fatto un’altra teologia che è la riflessione sulla parola di Dio e non su un determinato sistema filosofico avete una coscienza più chiara su tutto quello che fa il sacerdote in ordine al suo ministero: lo fa nel nome di nostro Signore Gesù Cristo appoggiandosi a nostro Signore Gesù Cristo.
L’altro aspetto del rapporto con i presbiteri in riferimento a nostro Signore Gesù Cristo é quello che si fonda sulla speranza. Oggi nella chiesa, nell’ambiente del nostro presbiterio -nel nostro come in quello di qualsiasi chiesa particolare – voi notate facilmente un senso di scoraggiamento, di delusione, di sfiducia perché c’è la sensazione e si fa anche la constatazione esterna, di “essere in perdita”, di diventare sempre più pochi. Questo è deludente. Questo per molti sacerdoti è traumatico. Non è infrequente sentire da sacerdoti di una certa età, e non semplicemente dagli anziani, che non ce la fanno più, quindi hanno la tentazione di abbandonare la parrocchia.
Poi incontrerete anche giovani sacerdoti che possono soffrire delle stesse delusioni, ma che attribuiscono la colpa di questo stato di perdita, di sconfitta, di fallimento alle strutture. Dicono: bisogna cambiare strutture! E’ vero, le strutture sono strumenti che devono essere mantenuti nella misura in cui servono e bisogna essere nella disposizione di lasciarli cadere nel momento in cui appare chiaramente che non servono più o addirittura diventano ostacoli.
Più che di strutture che non funzionano, perché sono sorpassate, io direi di mettere bene in chiaro come concepiscono il ministero. Cioè, si appoggiamo a nostro Signore Gesù Cristo, sono rispettosi della economia di Dio, credono che la grazia di Dio é più potente di tutte le forze contrarie alla fede che operano nel mondo? E’ evidente che la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, che l’azione di Dio nel mondo non è qualche cosa di magico e di automatico. E’ rispettosa dell’uomo e quindi delle leggi della natura. E’ rispettosa anche delle leggi della psicologia e della sociologia, ma trascende tutte le visioni umane, tutti i mezzi umani che non esclude, ma con i quali non si confonde.
E’ indubitato che noi dobbiamo tenere presenti le situazioni, la mentalità degli uomini a cui ci rivolgiamo, il modo di sentire dei nostri fratelli, i valori che emergono nei nostri ambienti, perché tutto questo può essere indicativo di una esigenza che ci conduce a scoprire quelle energie di salvezza, che debbono essere messe in opera per rispondere all’uomo di oggi. Il tesoro della salvezza è inesauribile. Proprio da ciò che il mondo è oggi, può venire l’indicazione per scoprire questo tesoro e poter tirare fuori con le cose vecchie, le cose nuove che non sono mai state tirate fuori.
E’ qui che ci vuole creatività. Il termine creatività, come del resto anche nel campo umano, corrisponde piuttosto al concetto di scoperta che di invenzione. Si scopre ciò che già c’era. Si inventa nel senso di “invenire”, di trovare, di tirare fuori, quindi quando si parla di inventiva, di creatività dobbiamo riferirci alla creatività di Dio contenuta nel tesoro della salvezza, sempre descritto in termini di sovrabbondanza, di forza incontenibile. Vedi la lettera agli Efesini.
Risposta a una domanda che non si sente.
Proprio sulla continuità di questo discorso è giusto cogliere queste novità, questi gruppi come delle indicazioni. Se questi gruppi sono autentici, vi accorgete che sono proprio il frutto di quella grazia sovrabbondante che c’è nella chiesa e che noi non abbiamo saputo liberare o nella quale noi non abbiamo confidato o sulla quale noi non ci siamo appoggiati per rinnovare le nostre vecchie strutture.
La parrocchia così com’è non va difesa ad oltranza. La parrocchia ha già un superamento in un ambito più vasto che, per lo meno, si identifica con il quartiere nella città oppure con il vicariato o con le parrocchie vicine. Il tenere la parrocchia isolata è già uno sbaglio, quindi va superata la parrocchia definita in un modo giuridico, ma la parrocchia in quanto realizza la comunità a cui presiede il presbitero – che rende presente il vescovo e ne fa le veci- è insostituibile.
Vorrei essere inteso bene. Al limite, la parrocchia potrebbe anche identificarsi con uno di questi gruppi quando questi gruppi fossero pienamente ecclesiali. Ma guardate che, ci sono delle difficoltà a fare diventare ecclesiali questi gruppi. E’ il discorso che ho fatto ai nostri “focolarini” fin da principio. Nel mio intimo – proprio per quel mio compito di giudicare gli spiriti e non di spegnerli – la pietra di paragone, il termine di confronto mi viene proprio dall’impegnarli in una azione di chiesa, che é azione evangelizzatrice e santificatrice attraverso i mezzi istituiti da nostro Signore Gesù Cristo, azione che li coinvolge nel compito di edificare l’unità della chiesa. E dico: se voi mi fate questo io vi credo. Per diventare fermento di unità in mezzo ai battezzati -che siano credenti o meno il battesimo lo hanno ricevuto – avete una potenzialità di fede che non hanno altri.
risposta
Si fa presto ad essere uniti fra di loro! La così detta vita comune, la vita di gruppo concepita nel senso della fede, importa impegni molto seri che si qualificano nella croce di nostro Signore Gesù Cristo ed hanno il loro punto critico proprio nella croce di nostro Signore Gesù Cristo nella: rinuncia.
Ma quello che mi preme dire prima di terminare, è questo: voi che più degli altri avete la grazia di capire queste cose e di sentirle, avete anche il compito in mezzo ai vostri confratelli di portare questa animazione. Nolite timere pusillus grex, anche se siete cinque rispetto a trecento questo non ha importanza. E’ costante nella economia della salvezza che Dio si serva di un “resto” per salvare tutto il popolo. Non è un proverbio questo. E’ un rifarsi ad un dato di fede, ad una legge della economia di Dio.
Terzo momento dei vostri rapporti con il presbiterio ed è il momento culminante. Sempre riferendoci a nostro Signore Gesù Cristo arriviamo al criterio della credibilità, a cui abbiamo già accennato, ed é quello della carità. In Efesini 4, san Paolo definisce come i cristiani debbono essere uniti poiché c’è un solo Padre, un solo Spirito e si nutrono di un unico pane. Mette questo come fondamento della realizzazione della carità vicendevole. E’ indubitato che uno dei punti critici della vita del nostro presbiterio è soprattutto il rapporto tra sacerdoti anziani e sacerdoti giovani. Questo dipende da molteplici fattori: la loro mentalità la vostra mentalità, la loro sensibilità la vostra sensibilità, la loro formazione la vostra formazione.
Avviene uno scontro dialettico, ma evidentemente, per arrivare ad una sintesi. La sintesi si deve fare attorno a nostro Signore Gesù Cristo e riferendoci a Lui. Se non si fa riferimento a nostro Signore Gesù Cristo, al suo ministero e quindi al suo sacerdozio di cui siamo ugualmente partecipi sia anziani sia giovani, non si trova la base.
Bonofer sulla vita comune dice cose molto interessanti che potrebbero essere applicate ai nostri gruppi, al nostro presbiterio. C’è una visione di fede trinitaria di tutto, che ci deve guidare e poi c’è una grazia a caro prezzo. Se la grazia della vita di amicizia, della vita di carità, che può avere le sue espressioni anche nella vita comune o in piccole comunità non è una grazia a caro prezzo, rimaniamo al punto in cui siamo.
Io, a mano a mano che vi conosco, che conosco i nostri sacerdoti faccio un giudizio positivo. Avendo l’opportunità di fare confronti li giudico migliori di tanti altri. Però, sinceramente, ho sempre trovato che fino al livello di trattarsi da amiconi – uso questa espressione – ci si arriva sempre; fino a livello di trovarsi insieme per parlare del passato e del seminario e del tempo del seminario, ci siamo; fino al punto di trovarsi insieme per le famose cenette, ci siamo; ma trovarsi insieme per pregare, è molto più difficile, trovarsi insieme e superare il rispetto umano per parlare di nostro Signore Gesù Cristo come dell’interesse più vivo della propria esistenza e della propria persona, è molto più difficile trovarsiinsieme per accordarsi sulla attuazione di iniziative di carattere diocesano e quindi della chiesa locale, è molto più difficile.
Lo si riscontra, grazie a Dio, in diversi gruppi di giovani sacerdoti, più raramente tra sacerdoti di una certa età. Dovete avere comprensione specialmente per i sacerdoti di mezza età che hanno la “rabbia” di non essere più giovani e si difendono per non essere posti nella categoria degli anziani. E’ il periodo più critico quindi ci vuole molta delicatezza e comprensione.
Dovete anche sapervi difendere da certi desideri, in se legittimi ma poco realistici, di forme di vita comune. Facilmente si attribuisce, la non realizzazione di forme di vita comune, ad una mancanza di volontà politica da parte dei superiori. Io dal posto dove sono, vi posso attestare che di richieste in questo senso ne ho avute pochissime. Tra queste pochissime poi, quando tento di concretizzare con dei nominativi, conoscendo gli interessati o gli indicati come futuri membri di una comunità sacerdotale, ho le mie legittime riserve, perché so in partenza che, se mettessi insieme X e Y otterrei Z. Comunque, questo è solo un particolare.
Risposta a una domanda che non si sente
Il mio pensiero mi pare che lo possiate dedurre da tutto il discorso che abbiamo fatto fino a questo momento. Il mio pensiero é aperto, favorevole e anche incoraggiante, però deve essere realistico. Evidentemente il realismo non deve spingersi fino al punto di dire: partiamo perché siamo sicuri, ma partiamo per provare, disposti a ritornare sui nostri passi quando ci accorgiamo che non ce la facciamo. E partiamo nella misura delle nostre possibilità che devono essere suggerite anche dagli interessati. Quello che, invece, raccomanderei – forse pretendo troppo e lo pretendo dai giovani che queste cose le sentono e le capiscono – chiederei di prendere l’iniziativa, perché se l’iniziativa la prende il vescovo diventa una cosa forzata. Queste cose, non scendono dall’alto gerarchicamente parlando, ma scendono dalla grazia di nostro Signore Gesù Cristo. E’ difficile trovare un sacerdote anziano o di mezza età che prenda l’iniziativa di avere presso di sé una comunità di sacerdoti.
Risposta a una domanda che non si sente.
C’é una certa formazione morale o di coscienza morale, per cui i peccati sono quelli del decalogo e la conversione é concepita come conformità dalla difformità dei precetti del decalogo. E non si concepisce, invece, la vita morale del cristiano come conformità a nostro Signore Gesù Cristo, come sequela a nostro Signore Gesù Cristo, come vita in nostro Signore Gesù Cristo: mihi vivere Christus est; ego iam non ego vivit vero in me Christus, quindi, portare in sé il modo di vedere, di sentire, di giudicare di nostro Signore Gesù Cristo. Questo é più radicale degli stessi precetti, questo prende la persona alla radice. La conversione é proprio questo rovesciamento da una certa mentalità o sensibilità, alla mentalità e alla sensibilità di nostro Signore Gesù Cristo.
Ora, per il cristiano o per il prete che ha fatto la sua formazione con riferimento di tipo legalista o moralista ai precetti e ai consigli e non alla persona di nostro Signore Gesù Cristo, la conversione nel senso di cambiamento di personalità e non semplicemente di mentalità, é difficilissima. E’ difficilissima non perché c’è una difficoltà di tipo spirituale, morale, psicologico, ma perché non é concepita, perché non é intesa.
Quindi, il buon parroco fedelissimo alle orazioni del mattino e della sera, alla visita, all’esame di coscienza, se non fa questo, questo diventa materia di confessione. Voi non avete ancora provato a confessare, ma domani se confesserete qualche prete vedrete che ne fa materia di confessione. Non é detto che non ne debba fare soprattutto in ordine alla direzione spirituale, ma è un fatto che non fa materia di confessione il non aver accettato il confronto con un altro, con un laico, con il vice parroco, con un confratello. Tuttalpiù farà accusa di mancanza di carità perché non ha trattato bene, perché ha perduto la pazienza, ma “il non aver accettato il confronto” non é una colpa. Mi pare che per la maggior parte dei casi siamo a questo punto.
OM 524 Parma 76_3