incontro fraterno tra le Compagnie di sant’Angela Merici di Brescia Mantova e Verona,
Castiglione delle Stiviere il 30 gennaio 1977
La celebrazione odierna ha un carattere particolare perché è la espressione vivente di una intuizione di un carisma che è comparso nella Chiesa alcuni secoli fa, che si è dimostrato fecondissimo in tutte le istituzioni di cui è fondamento e che ha bisogno di essere riscoperto, rivalutato e riportato ai nostri giorni.
Poi c’è un altro aspetto: tre compagnie di tre diocesi diverse si raccolgono insieme. Ogni compagnia è inserita nella propria Chiesa particolare in comunione con il proprio Vescovo. Tutte le compagnie esprimono la comunione delle diverse Chiese le quali a loro volta comunicano con tutte le Chiese del mondo alle quali presiede la Chiesa che è in Roma e che ha come Vescovo il Sommo Pontefice, il successore di Pietro, il Vicario di nostro Signore Gesù Cristo.
In questo momento io mi sento impegnato anche a nome dei miei confratelli nell’episcopato di Brescia e di Verona ai quali, oltre a legarmi una devota e fraterna amicizia sul piano umano, mi unisce l’elemento costitutivo della comunione episcopale che è la nostra consacrazione sacramentale. Perciò il mio saluto e la mia parola sono anche il loro saluto e la loro parola. Possiamo credere che questa parola, che è una parola di comunione, sia conseguentemente una parola più piena che viene da nostro Signore Gesù Cristo che è sempre in mezzo a coloro che sono riuniti nel suo nome. Voi conoscete le nostre sollecitudini pastorali nei confronti delle vostre compagnie per le quali abbiamo preso una posizione precisa a favore della vostra autenticità e perciò ogni nostro incontro ha sempre lo scopo di riportarvi a un momento illuminante che vi sia di conforto e che vi apra il più chiaramente possibile a nuovi orizzonti.
Una parola illuminante. Voi certamente conoscete la dottrina messa in risalto dal Concilio che riguarda il dono della profezia presente in mezzo al popolo di Dio sempre attuale e sempre operante. Profezia significa capacità di capire la Parola di Dio, capacità di esprimerla e di comunicarla agli altri.
Ognuno di noi personalmente nella situazione in cui è posto dalla provvidenza nel mondo e nel proprio impegno di vita è sempre una parola profetica: ha il dono di intendere, ha il dono di esprimersi, ha il dono di testimoniare, cioè di rendere ragione della propria fede anche davanti ai propri fratelli.
Questo dono profetico ha la sua radice, nella fede, nella speranza e noi diciamo soprattutto nella carità perché non ci può essere in questa vita carità senza fede come non ci può essere carità senza speranza.
Il vero cristiano ha la preoccupazione di essere ben radicato nella fede, sempre più animato nella carità ma con lo sguardo volto al futuro pieno, anzi, carico di fiducia.
A loro volta la fede, la speranza e la carità hanno il loro fondamento in nostro Signore Gesù Cristo, il quale ci riporta al Dio della nostra salvezza che ha operato e opera mediante nostro Signore Gesù Cristo con la forza dello Spirito nella Chiesa.
Tutto questo avviene storicamente nelle contingenze e nelle situazioni storiche con una capacità, una grazia di rispondere a queste esigenze e a queste situazioni.
A questo punto ci avviciniamo al significato della nostra celebrazione.
S. Angela Merici è stata uno di questi doni profetici che il Signore ha fatto alla Chiesa che possiamo esprimere così: consacrazione a Dio al servizio del prossimo nella situazione di vita laicale nella quale ognuno si trova e nella quale ognuno, in certo qual senso, deve rimanere per svolgere il suo compito nella Chiesa. Questa è la grande originalità della intuizione di S. Angela Merici di concepire la vita consacrata nella Chiesa a differenza di tutte le espressioni di vita così detta religiosa esistenti fino al suo tempo: lasciare cadere i muri dei monasteri ed i recinti delle regole troppo standardizzate per immergersi nel valore autentico della consacrazione religiosa, impegnarsi di conseguenza ad una testimonianza più di vita che di forma senza distinzioni esteriori e immergendosi in un modo immediato con il mondo e nel mondo che si vuole portare a nostro Signore Gesù Cristo. Il tutto nella concretezza della propria Chiesa alla quale presiede il Vescovo.
Ad alcuni questa forma di vita consacrata può essere sembrata e può sembrare più larga della così detta vita religiosa, ma se si guardano bene le cose è molto più impegnativa perché non essendoci nessun elemento esteriore che qualifica il vostro tipo di vita soltanto l’autenticità della vostra vita cristiana costituisce il distintivo della vera figlia di S. Angela.
La intuizione di S. Angela Merici risponde molto bene ad una esigenza evangelica: quella del lievito che scompare nella pasta. Il lievito scompare ma la pasta fermenta. Il lievito è la forza che dà a questa pasta la capacità di assumere una qualità nuova, di trasformare la informe farina nel pane fragrante, nutriente, gioia della tavola e della convivenza familiare. Perciò nessuna distinzione, nessuna separazione ma una immersione, una scomparsa, per così dire, per essere fermento nel nome di nostro Signore Gesù Cristo.
A principio del mio discorso mi sono permesso di dire che non sempre questo carisma è stato sufficientemente rispettato nella Chiesa. Io non ho la pretesa di giudicarne le conseguenze. E’ certo che il carisma è stato molto fecondo in tutte le derivazioni di quelle famiglie religiose che hanno, si può dire, riempito il mondo, ma oggi queste famiglie religiose sono tormentate da una crisi molto preoccupante che deriva soprattutto dal fenomeno della secolarizzazione. Io non so se dico una cosa giusta, ma se la ispirazione a di S. Angela fosse sempre stata fedelmente rispettata, la secolarizzazione non vi avrebbe toccato perché voi avete accettato fin da principio come vostra caratteristica distintiva di essere, come dice l’espressione popolare, religiose al secolo, cioè consacrate a Dio nel mondo così come matura nella storia giorno per giorno.
Quando penso a S. Angela Merici non posso esimermi dal fare un confronto con S. Vincenzo De’ Paoli. Anche lui ha voluto raccogliere delle donne generose che si consacrassero a nostro Signore Gesù Cristo a servizio dei poveri ma perché fossero lievito nel la pasta dovevano vestire come le donne oneste del proprio tempo, dovevano avere per chiesa la chiesa della parrocchia nella quale lavoravano, dovevano ritmare la loro vita non secondo delle esigenze interne ma secondo i ritmi che scandiscono la vita dei fratelli in mezzo ai quali e al servizio dei quali si erano dedicate.
Anche questo, che forse è stato l’istituto femminile più esteso che la storia abbia conosciuto, per il prevalere di un certo staticismo e di un certo giuridismo che si è sempre riportato più alla lettera che allo spirito anche degli scritti che san Vincenzo aveva preparato per le sue figlie, ha fatto sì che le regole delle figlie di san Vincenzo fossero talmente rigide da distanziarle secolo per secolo sempre di più dalla vita del mondo e ora questa distanza pare incolmabile.
Ora che il Concilio spinge la Chiesa e le istituzioni della Chiesa ad un ritorno alle sorgenti, voi più che mai dovete sentire il bisogno di scoprire la genuinità autentica della primigenia ispirazione della vostra compagnia. E noi vescovi, e noi sacerdoti abbiamo il sacrosanto dovere di togliervi da quella visione che di voi si ha in vari ambienti come se foste delle cenerentole della vita religiosa mentre invece siete la espressione più autentica della vita consacrata al servizio del prossimo nella Chiesa.
Quindi ogni vostro incontro deve tendere a questa chiarificazione. Non dovete aver paura di lasciare cadere consuetudini che vengono dall’accavallarsi del tempo, dei costumi, delle osservanze ma vi dovete porre proprio in una situazione come quella di oggi, in una situazione cioè, di una secolarizzazione rettamente intesa.
E’ forte la tendenza a volersi configurare e nelle pratiche di pietà e in qualche segno esterno o in qualche particolare di regola agli istituti religiosi propriamente detti. Voi invece dovete essere figlie del vostro tempo, del vostro ambiente, senza riserve. L’unica riserva che non dovete avere è la vostra consacrazione incondizionata che deve diventare sempre più chiara, più profonda grazie a quei mezzi che ci sono nella Chiesa, soprattutto i grandi doni della liturgia, della sacra scrittura, della catechesi rinnovata.
Questo incontro, che è motivo di chiarificazione, diventa conseguentemente motivo di conforto. Gesù ha una parola molto significativa che noi dobbiamo riscoprire nella sua genuinità specialmente nei momenti in cui abbiamo l’impressione di vivere periodi di crisi. Dice: «Non abbiate paura piccolo gregge perché è piaciuto al Padre di dare a voi il Regno ». Ci troviamo ancora una volta dinnanzi a una legge della economia della salvezza che passa lungo tutto l’antico e il nuovo testamento, cioè di ricostituire continuamente il suo popolo che di sua natura ha la tendenza all’invecchiamento, soprattutto alla infedeltà, all’attaccamento alle cose del passato. In queste situazioni il Signore interviene e si serve sempre di un “resto” di un manipolo, di un piccolo gruppo che ha il desiderio di essergli fedele nella grazia di cui è stato dotato.
Alle volte pensate: le giovani non si avvicinano, non vengono, non entrano.
Forse dipende dal fatto che non vi conoscono, che vi conoscono sotto aspetti deformati ma dovete anche avere il coraggio di pensare se la deformazione non sia nella vostra persona, nella vostra vita e in una certa infedeltà a rinnovarvi continuamente. Comunque sia ci deve essere in voi una preoccupazione di autenticità perché è certo che il Signore al piccolo gregge fedele dà il suo regno, dà la fecondità, la facoltà di diramarsi, di attirare gente nuova, frutti nuovi, abbondanti. Tutte cose misteriose che non potranno essere costatate a prima vista ma la fede ci dà la certezza che sono cose che avvengono di sicuro ma di cui non sappiamo ne il giorno ne l’ora.
Perciò il nostro conforto, cioè il fondamento del nostro conforto deve essere la virtù della speranza cristiana. Dio non si pente dei suoi doni. Dio ha fatto alla sua Chiesa il dono della intuizione della vita consacrata nel mondo a S. Angela Merici. Indubbiamente egli non trascura questo dono e verrà il giorno che lo farà fruttificare in proporzione della vostra speranza di persone disperate, della vostra speranza di persone sfiduciate, della vostra speranza di persone stanche perché costatate che intorno a voi il cerchio si restringe e minaccia di crearsi il vuoto.
Indubbiamente, e siamo all’ultimo punto intorno a cui ci intratteniamo in questo nostro incontro di grazia, voi dovete studiare i vostri problemi: studiare i problemi del mondo e i problemi della Chiesa e vedere quali siano le vie per camminare verso quella autenticità di cui più volte abbiamo parlato. Ma tenete presente che più delle vostre iniziative vale la speranza incrollabile nel dono di Dio che abbiamo richiamato tante volte e al quale egli rimane certamente fedele.
Nella Chiesa oggi voi trovate delle indicazioni. Mi riferisco particolarmente al Concilio. La vostra prima preoccupazione deve essere quella della coscienza della vostra appartenenza alla Chiesa particolare in cui siete inserite. Se, come dice la tradizione di tutta la Chiesa, che fuori di lei non ci può essere salvezza, nella proporzione in cui si è inseriti, si è fedeli, si, è impegnati nella Chiesa concreta in cui si vive è altrettanto sicuro che ci sia l’abbondanza della sua salvezza. Nella chiesa particolare dovete avere un’attenzione filiale ai vostri vescovi per farvi dire da loro che cosa vogliono in questo momento, come vi vogliono in questo momento, quali sono i compiti, gli spazi da coprire propriamente da voi in questo momento. Sarete sicure di essere nel più vivo della fedeltà della vostra vocazione.
Poi ci sono dei mezzi ai quali abbiamo già accennato che sono i tesori della vita della Chiesa, della sua vitalità e della sua fecondità: le celebrazioni liturgiche bene intese, l’ascolto amorevole e disponibile della Parola di Dio nelle sue diverse proclamazioni nella chiesa, dalla lettura privata all’ascolto della stessa parola che ne viene fatta nella celebrazione liturgica.
Abbiamo accennato al rinnovamento della catechesi. E’ un punto veramente importante.
Io so che il catechismo sia per voi, sia come mezzo del vostro apostolato, vi è sempre stato a cuore ma oggi questo strumento di assimilazione della dottrina di nostro, Signore Gesù Cristo ha subito una grande trasformazione. Si è passati da un’epoca in cui bastava saperlo il catechismo a un’altra epoca in cui il catechismo si è scoperto che non è una verità da imparare ma una vita da vivere. Perciò tutto quello che vi propone la Chiesa italiana oggi nei suoi documenti e nei suoi catechismi deve essere ben conosciuto da voi, ripeto, sia per la vostra vita come per il vostro apostolato.
Queste mi pare siano le indicazioni che vi pongono sulla via maestra di un rinnovamento che apre davanti a voi giorni di grazia, giorni migliori.
Omelia tenuta da Mons. Carlo Ferrari Vescovo di Mantova, in occasione dell’incontro fraterno tra le Compagnie di Brescia Mantova e Verona, avvenuto a Castiglione delle Stiviere il 30 gennaio 1977.
ST 359 S. Angela Merici 77 Fotocopia della stampa.
” VOCE” n. 5 Brescia, Aprile 1977