20 febbraio 1982 incontro con le religiose della diocesi
Ho colto volentieri l’invito a partecipare a questo incontro, prima di tutto per salutarvi, poi per dirvi che il Vescovo c’è, per ringraziare il Signore che ci siete anche voi, perché tra le altre preoccupazioni ho anche quella di fare in modo di conservare la vostra presenza nella Chiesa mantovana così povera di religiose e sempre sul punto di perdere qualche comunità.
Il motivo per cui siete state convocate questa mattina è quello di richiamare la vostra attenzione – e quella delle vostre Comunità- sul problema della Caritas.
La Caritas molte volte viene intesa come l’organizzazione improvvisata per i tempi di emergenza al fine di raccogliere aiuti per distribuirli ai sinistrati. La Caritas, invece, cioè la Carità, deve essere una dimensione della vita spirituale, una dimensione della vostra attività professionale.
La Chiesa ha questo triplice ministero: quello della parola, quello della grazia e quello della carità. I tre ministeri che portano avanti la missione stessa di nostro Signor Gesù Cristo non è detto che si debbano lasciare totalmente ai Vescovi, ai Presbiteri e ai Diaconi. Dice espressamente il Concilio che i sacri pastori hanno la coscienza di non dover portare avanti tutta la missione della Chiesa, ma di far tutto questo in unione e con la collaborazione e la corresponsabilità di tutti gli altri membri del popolo di Dio, in particolare con chi è consacrato al Signore per mezzo della vocazione religiosa e con i laici in forza del loro battesimo.
Tutti i vostri Istituti hanno, ormai, dei fini caritativi e molti sono nati per dei fini caritativi. Bisogna inquadrare bene le cose. Se l’attività caritativa dell’ educazione, dell’ assistenza del malato, eccetera, fosse soltanto una vostra attività professionale e non diventasse, invece, il frutto di una vostra vita spirituale secondo il Comandamento del Signore: “Amatevi come io vi ho amato”, si rischierebbe di fare del professionismo, della assistenza e non, invece, l’attività cristiana di svolgere un ministero nella Chiesa. Perciò dovete prima di tutto preoccuparvi che la carità sia dentro di voi e in mezzo a voi.
Dentro a voi perché è costitutiva della vita cristiana. Gesù Cristo ha detto a tutti: “Amatevi come io vi ho amato”; ha detto a tutti “Questo è il mio comandamento”; ha detto a tutti : “In questo conosceranno che siete miei discepoli se vi amerete gli uni gli altri come io vi ho amato”. Mi pare che siate tutte d’accordo nell’ammettere che la pratica della carità, in mezzo alla comunità in cui vivete, è uno dei punti più impegnativi della vostra vita spirituale e della pratica della vita cristiana. Si fa presto a voler bene a tutti quando non hanno un nome e un cognome, una fisionomia, un temperamento, un carattere, che sono la misura della debolezza umana, che ci fanno scoprire come sia difficoltoso questo punto della vita spirituale su cui nostro Signor Gesù Cristo ci impegna.
Il raccoglimento, la preghiera, la capacità di silenzio interiore, l’ascolto della Parola di Dio, l’unione con Dio sono come dei cardini della vita spirituale, ma la misura che questi cardini sono autentici, che sono veri, che ci sono realmente, è data dalla misura in cui vi volete bene vicendevolmente nell’ambito della vostra comunità. Gesù dice “In questo conosceranno che siete miei discepoli” nel fatto che vi vogliate bene; “Padre che siano una cosa sola come io e te siamo uno solo affinché il mondo creda che tu mi hai mandato”.
Guardate che Gesù ci impegna in un modo tremendo: “Affinché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Affinché gli uomini credano a nostro Signore Gesù Cristo bisogna che noi siamo una cosa sola soprattutto con quelli con cui conviviamo. Se non c’è la carità vicendevole nell’interno della Comunità locale non c’è testimonianza cristiana all’esterno. La gente non se ne fa niente della vostra ubbidienza. La gente – diciamolo con crudezza e con umiltà – non crede alla nostra castità. La gente guarda se ci vogliamo bene. Sapete che, dei discepoli dei primi tempi, si faceva questo elogio: “Guarda come si vogliono bene”.
Ora, questa, che è una dimensione inevitabile della vita cristiana e della professione religiosa, deve essere la dimensione animatrice di tutti i vostri compiti. Dovunque voi dovete esprimere la carità di nostro Signore Gesù Cristo, ma la dovete esprimere in un modo concreto con la pazienza e la dolcezza con cui accostate l’ammalato, con la pazienza e la comprensione con cui state in mezzo agli anziani, con la pazienza e l’amorevolezza e la bontà e capacità di perdonare con cui state in mezzo ai ragazzi e ai giovani.
Noi siamo in un momento critico del ministero della carità nella Chiesa. Molte forme di carità che erano indispensabili nei tempi passati, soprattutto al tempo in cui sono nati i vostri Istituti, molti aspetti della carità che sono stati per centinaia di anni il compito precipuo della vostra carità, oggi sono venuti meno perché molte categorie di persone a cui era diretta la vostra opera all’inizio dell’Istituto, oggi non esistono più. Per grazia di Dio il povero, economicamente, è scomparso, gli ammalati ormai hanno una assistenza pubblica. Quello non è più un compito specificamente nostro. E’ un compito che finalmente si è assunto la società civile e lo porta avanti come è capace un Ente pubblico di provvedere a certi settori delicatissimi della vita civile. Ma, mentre stanno per scomparire certi aspetti della carità che avete esercitato e per i quali siete nate, emergono, vengono fuori delle nuove necessità, dei nuovi bisogni di assistenza, dei nuovi luoghi dell’esercizio del ministero della vostra carità.
Se i vostri Fondatori vivessero oggi naturalmente non avrebbero più la stessa preoccupazione che hanno avuto nel secolo passato di assistere l’infanzia abbandonata, di ricoverare le persone anziane, benché quello delle persone anziane sia un problema emergente anche oggi, comunque non nella forma in cui si faceva allora. Vengono fuori nuove situazioni di povertà che hanno bisogno che voi impegniate il carisma del vostro Istituto e il carisma della Vita Religiosa in genere, in situazioni in cui siamo chiamati ad amare gli altri come Cristo ha amato noi. Non si apre un collegio. Si apre una casa per accogliere chi viene. Sì anche questo! Poi, una volta che la persona è entrata nelle vostre case, che diventa oggetto dell’attualizzazione del ministero della vostra carità, non è più una persona anonima!
Voi ricordate, e non sono lontani i tempi, in cui i bambini di un istituto avevano la loro divisa? Mettere una divisa, normalmente, – è spersonalizzare le persone, – è togliere loro l’individualità irrepetibile – come dice il Papa – di ogni persona, – é un inquadrameno attraverso il vestito, perché siano tutte uguali! Sì. Tutte le creature umane davanti a Dio sono uguali nel senso che Dio le ama tutte e le vuole tutte salve, ma ciascheduna è amata da Dio per quello che è, come è per la sua personalità, per il suo temperamento, per la sua dignità, per il dono della libertà che, semmai, deve essere educato per mezzo dei vostri interventi.
Di ragazzi e di ragazze che hanno bisogno della vostra attenzione, della vostra cura, del vostro amore ce ne sono enormemente tanti. Ha destato un’impressione profondissima l’episodio tristissimo del figlio del Sindaco che si è tolto la vita. Un ragazzo di 19 anni, un ragazzo che aveva tutto, un ragazzo che cercava ostinatamente di realizzarsi e che voleva dimostrare a se stesso e agli altri di essere una persona, è crollato così dolorosamente e tristemente. Quanti ragazzi e quante ragazze hanno bisogno di scoprire il senso e il valore della loro esistenza!
Ecco un settore in cui dovete impegnare la vostra attività in mezzo alla gioventù e soprattutto in mezzo alle ragazze perché è più confacente al vostro carisma particolare e alla vostra indole di donne. Essere aperte ed accoglienti è un bisogno estremo. Noi dobbiamo, intanto pregare molto per la gioventù femminile che è la più esposta ai pericoli mortali di un mondo così organizzato così bestialmente organizzato dalla civiltà moderna. Dovete avere una attenzione tutta speciale. Se vi accorgete che non siete sufficientemente impegnate – per quanto dipende da voi, per quanto è possibile – ad assistere, ad esercitare la carità in un modo vivo e concreto verso queste creature, non potete stare tranquille.
Il vostro asilo va bene e va benissimo. Sapete quanto mi sta a cuore la vostra attività di animazione liturgica alla S. Messa. Va bene, molto bene, mi è cara, ma il vostro impegno di stare in mezzo alla gioventù é quello più urgente, oggi. Le forme, i modi, le possibilità si apriranno se voi siete aperte. Saranno incontri casuali, incontri a distanza, incontri frequenti. Sarà un’attività più o meno specifica. Potrete fare poco ed io vi do atto che si può fare poco, ma in noi ci deve essere un desiderio grande di fare di più.
Ecco: io vi affido questa mia preoccupazione di Pastore e vi prego di orientarvi in questo senso. Fra la gioventù vi sono anche i ragazzi e le ragazze drogate: sono gli ammalati della pestilenza di questo secolo. In questi anni di grande civiltà non ci sono più le pestilenze che mietevano vittime a migliaia, ma ci sono questi nuovi lebbrosi. Questi lebbrosi non bisogna tenerli fuori dalla porta, non bisogna aver paura di essere contagiati, ma devono avere tutto l’impegno della vostra tenerezza materna, della vostra accoglienza. Non dovete avere paura. Sono povere creature, vittime della nostra società, vittime di un’assenza magari involontaria delle famiglie, vittime purtroppo, qualche volta, della nostra assenza, della mancanza di un nostro impegno fattivo in mezzo ai giovani e alle giovani in particolare.
Direte: come si può esplicare questa attività, questa azione caritativa? Come possiamo impostare l’attività della Caritas? Con tutti i mezzi che voi avete a disposizione. Io non sto ad indicarvene tanti. Siete in parrocchia? Abbiate a cuore la gioventù della parrocchia soprattutto la più sbandata. Dovete pregare, pregare insistentemente, offrire le vostre mortificazioni, i vostri atti di penitenza al Signore per la gioventù, per le giovani della vostra parrocchia.
Siete in altre situazioni? Il vostro sguardo deve andare prima di tutto alle generazioni più giovani. Dovete fare di tutto per dimostrarvi autenticamente aperte, comprensive nei confronti di queste giovani e di questi ragazzi. Se non abbiamo l’atteggiamento del padre del figlio prodigo, dobbiamo dubitare fortemente della nostra consistenza religiosa, della consistenza della nostra vita spirituale. L’atteggiamento del padre del figlio prodigo è l’atteggiamento del Padre verso di noi che siamo tutti dei figli prodighi.
Se poi la vostra attività si dirige proprio esplicitamente verso la gioventù femminile, dovete fare di tutto. Prima di tutto per accoglierle in un senso cristiano, in uno spirito che è l’espressione del l’amore di nostro Signore Gesù Cristo, in quello spirito che è l’espressione della tenerezza del padre del figlio prodigo, del Padre nostro che sta nei cieli.
A questo proposito mi permetto di pregarvi e di pregare non soltanto voi – perché certe cose non dipendono da voi, ma dai superiori maggiori – di fare di tutto per tenere le vostre case aperte ad ogni richiesta delle ragazze che bussano alla vostra porta. Guardate che, le ragazze che bussano alla vostra porta, già fanno un passo verso nostro Signore Gesù Cristo! Le ragazze che bussano alla vostra porta o per un pasto o per una notte o per venire a scuola da voi, sono già un’espressione della preoccupazione della famiglia di mettere la loro figlia al sicuro. A volte sono costretti dalle circostanze, ma comunque, di fatto, queste figliole vengono a finire da voi. Se una ragazza sceglie di venire da voi, per consumare un pasto o per alloggiare di notte, è già segno che non vuole andare dietro gli allettamenti del mondo del peccato. E’ una grande responsabilità!
Io mi devo rallegrare dei vostri Istituti, però sono qui questa mattina per dirvi che non dovete fare di più nel senso in cui già fate, ma che dovete fare di più nel senso del bisogno di queste ragazze. Cercate di dire ai vostri superiori maggiori il pensiero di questo povero Vescovo di Mantova: “Aprite le porte delle vostre case” direbbe il Papa, aprite i cuori… e… non apriteli nella misura dei vostri consuntivi..! Io ritengo che in una istituzione per la gioventù nella situazione in cui siamo oggi, i consuntivi non debbano tornare. Prendete da altre parti, da altre voci dove il consuntivo è in attivo, e trasferite dove i consuntivi rischiano di essere passivi! Voi avete il sacrosanto dovere di curare questa gioventù che bussa alla vostra porta. Non potete in coscienza metterla fuori. Pensateci bene!
Poi c’è una ragione particolare che non è secondaria nel suo insieme. Alle porte dei vostri noviziati non avete più ragazze che chiedono di entrare. Se voi, alle ragazze che chiedono di entrare in casa vostra magari per un pasto o per una notte, dimostrate di non essere aperte come si deve essere aperte oggi, dimostrate di non dare quella testimonianza di persone che hanno pienamente scoperto il senso della loro esistenza e lo vivono gioiosamente tutti i giorni. Questo rende pensose le giovani e le induce a riflettere sul senso della loro esistenza.
La gioventù, anche quella che sporadicamente si rivolge a voi, poi riflette, poi porta nel mondo e nell’ambiente in cui vive l’impressione che ha ricevuto da voi. Se riporta nel mondo l’impressione che voi avete chiuso a lei, la porta in faccia sia pure con modi educati, o di averla lasciata con l’impressione di essere stata tollerata, quale testimonianza di vita umana e cristiana questa giovane trasferisce nell’ambiente delle sue conoscenze e delle sue amicizie? Si raccontano molti episodi di Madre Teresa di Calcutta. Molte giovani sono ritornate in sé, sono ritornate a Gesù Cristo, hanno scoperto nostro Signore Gesù Cristo dall’atteggiamento di accoglienza che si trasfonde nel volto e negli occhi di questa donna meravigliosa tutta del Signore. Uno sguardo di madre Teresa restituisce alla famiglia, alla società, alla Chiesa anche le prostitute. Uno sguardo materno, fraterno, di grande amore, della tenerezza dell’amore di nostro Signore Gesù Cristo, opera tutto questo.
Poi ci sono i carcerati.
Ma come? Gente che è stata in prigione, dobbiamo accoglierla nelle nostre case? E dove debbono andare queste creature? Se c’è un luogo che certamente le accoglie devono essere le vostre case. Cerchiamo di superare gli ostacoli enormi che ci sono nella nostra mentalità. Questi sono i poveri, questi sono gli appestati, questi sono i moribondi che debbono essere accolti dalla strada per essere redenti anche umanamente parlando. Guardate che, è un atteggiamento diffuso anche nel mondo cristiano – oltre che degli ambienti religiosi – di starsene lontano da queste creature.
Ma… metterli in casa… ma se mi rubano… Lasciatevi derubare da tutto quello che avete e salvate una persona a nostro Signore Gesù Cristo! Mettete in pericolo tutti i vostri cassetti, lasciateli aperti perché non abbiano a fare fatica ad aprirli! Mettete da una parte i biglietti dei soldi e dall’altra parte la persona umana, il valore, la dignità, il prezzo con cui è stata riscattata, che è il prezzo del sangue di nostro Signore Gesù Cristo| Queste cose io ve le dico per “paradossi”, ma voi certo capite.
Il Signore faccia capire a tutti, prima di tutto al Vescovo ai suoi sacerdoti e a voi care religiose, come Gesù Cristo batte alla porta del nostro cuore, come Gesù Cristo batte alla porta delle nostre case per poter entrare, perché “qualunque cosa avrete fatto a questi miei fratelli più piccoli l’avete fatta a me”… Queste persone che rispetto alla nostra sensibilità sono delle persone ripugnanti… In più di una biografia dei santi fondatori di Istituti religiosi, di queste grandi figure della Chiesa, si legge l’episodio: hanno abbracciato un lebbroso, hanno portato sulle loro spalle un appestato perché hanno incontrato nostro Signore Gesù Cristo nel pezzente. Ci sono i nuovi lebbrosi, i nuovi appestati, i nuovi pezzenti. Dobbiamo vincere tutta la nostra ripugnanza per abbracciare in loro nostro Signore Gesù Cristo.
Io so che siete sensibili che siete aperte. Questa apertura, cercate di portarla nelle vostre case, nei vostri Istituti come una grazia di Dio nella Chiesa. Oggi.
OM 653 Suore 82
Mantova, 20. 2. 1982
Intervento di S.E. il Vescovo all’incontro con le Superiore
Ciclostilato per le suore.