esigenza e mezzo di santificazione
del sacerdote diocesano
L’esercizio del ministero della parola.
L’esercizio del Ministero della parola mezzo di santificazione per il sacerdote diocesano.
Oggi non si può fare un discorso di cose nostre tra Sacerdoti senza tenere conto di una situazione nuova che data dal Pontificato di Giovanni XXlII°, e che consolidata e portata avanti da Paolo VI, ha trovato la sua formulazione nei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II. Questa nuova situazione infatti è la conseguenza dell’ “aggiornamento” di Papa Giovanni, del “ritorno alle sorgenti” di Paolo VI, della ” riforma” promossa e operata dal Concilio.
A tentare di esprimere le cose in figura, si potrebbe dire che in questa situazione la Chiesa e noi di conseguenza, ci veniamo a trovare come coloro che abituati a portare intorno una complicata armatura, si sentono spogli e indifesi. E’ la sensazione opposta a quella di David che si trovava invece impacciato nella corazza e con l’elmo di Saul.
La Chiesa prendendo una coscienza più profonda del suo Mistero si scopre tanto identica nella condizione al suo Capo e Salvatore, Gesù Cristo, ” il quale si fece povero per noi, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà” (2 Cor. VIII, 9); essa si sente umanamente povera e debole, ricca però della presenza di Dio che salva il mondo. E’ Dio la ricchezza della Chiesa, è Gesù Cristo Suo Sposo che Le dà il pegno del Suo Amore e il prezzo del Suo riscatto nel proprio Sangue. “Dio ha scelto le cose stolte del mondo, per confondere i sapienti, le cose deboli per confondere le forti, le cose ignobili e disprezzate del mondo, e quelle che non sono, per ridurre a nulla quelle che sono, è per mezzo di Lui che voi siete in Gesù Cristo, il quale da parte di Dio è diventato per noi sapienza e giustizia e santificazione e redenzione, affinché come sta scritto: “Chi si gloria, si glori nel Signore”(1 Cor. I, 27-30) .
“Ed io, fratelli, quando venni da voi, mi presentai ad annunziarvi la testimonianza di Dio, non con sublimità di linguaggio o di sapienza. Difatti non volli sapere in mezzo a voi altro che Gesù Cristo, e questi crocifisso. Ed io fui, tra voi, debole, timoroso e tutto tremante; e la mia parola e la mia predicazione non si basò su persuasivi argomenti di sapienza ma sulla dimostrazione dello Spirito e della Potenza, affinché la vostra fede non si fondasse sulla sapienza degli uomini, ma sulla Potenza di Dio” (ivi, II, 1- 5).
Ecco la Chiesa del Concilio: umanamente spoglia e splendidamente ricca per i Doni della Salvezza.
C’è stata, in determinati ambienti, una certa apprensione (sotto certi aspetti molto comprensibile) per alcuni gesti degli ultimi Pontefici e per le affermazioni del Concilio: abbandonare determinate barriere, lasciare cadere certe strutture, non dare più peso a certi valori che sembravano quasi connaturati con il Cristianesimo è apparso un rischio pericoloso. Lasciare la persona umana in balia del pericoloso gioco delle sue forze ha potuto dare l’impressione di temerità. Non si è talora avvertito quanto fosse presuntuoso l’atteggiamento contrario.
Il Concilio libera la Chiesa dalla fiducia nei soli mezzi umani, persino in quelli che entravano in qualche capitolo di una sua certa apologetica, e la stabilisce solidamente sulla verità delle sue ricchezze divine. Per chi crede umilmente e sa spogliarsi da una mentalità legata a schemi tradizionali, è facile scorgere come la Chiesa stia interiorizzandosi e assuma sempre più evidenti i tratti della fisionomia delineati dal suo Fondatore.
Noi veniamo a trovarci in una situazione di autentico realismo soprannaturale, liberato da qualsiasi sovrapposizione o travestimento umano. La Chiesa vuole apparire davanti agli uomini nella verità in cui sta davanti a Dio. Il suo Ministero è la dispensazione dei Misteri di Dio. La sua meta, la Salvezza.
Chi è investito di un Ministero nella Chiesa sa di essere povero, debole, incapace: nell’ordine naturale non ha nulla su cui possa veramente appoggiarsi, nessuno in cui poter veramente confidare, è nella incapacità più radicale di produrre qualsiasi frutto di Salvezza. “Senza di me non potete far niente” (Gv. XV, 5). Ma.” tutto posso in Colui che mi dà forza” (Filip. IV, 13). Di conseguenza, o c’è in noi Colui che salva gli uomini, oppure siamo una menzogna. Se in noi invece c’è la Parola, la Vita, la Carità di Cristo, noi possediamo ciò che gli uomini attendono.
Il Concilio tende ad abbattere tutti i sipari dietro cui si poteva essere tentati di nascondere una certa povertà di valori autentici e ci manda in campo con gli abiti e le armi in cui Davide si trovava tanto a suo agio ( 1 Sam XVII, 45-47).
Questa situazione in cui veniamo a trovarci oggi nella Chiesa corrisponde ad una esigenza del mondo in cui viviamo: quella di valori autentici e di cose vere.
Nella Chiesa di Gesù Cristo verso cui ci esortano il Concilio e gli uomini del nostro tempo non c’è posto per la retorica, per i camuffamenti e i giochi di prestigio. Si esige invece una ” coincidenza morale” del nostro operare con la “coincidenza mistica” del nostro essere: dobbiamo essere umilmente e coraggiosamente veri per ciò che siamo e in ciò che siamo e in ciò che diciamo.
Questa premessa era indispensabile per poter mettere a fuoco la figura del Sacerdote nell’esercizio della sua funzione che è profetica nella Chiesa.
In una breve esposizione come questa, è sufficiente toccare i punti essenziali, lasciando poi ai lettori di ordinare le cose secondo una loro logica e di tirare le conseguenze. Ci limitiamo quindi a richiamare l’attenzione sul ruolo della Parola di Dio nell’economia della Salvezza, sul Ministero della Parola e sulle esigenze teologiche di questo ministero.
La Parola di Dio nella economia della salvezza
Oggi nella Chiesa cattolica sta spostandosi l’accento sulla teologia della Parola; è una conseguenza del ritorno alla Bibbia, ai Padri, alla Liturgia. La teologia segue più da vicino il Piano di Dio, riscopre e mette in risalto le leggi della Salvezza e colloca i mezzi della Salvezza nella giusta prospettiva.
La Riforma aveva negato il valore del Sacramento ed esaltato invece quello della Parola; noi abbiamo giustamente difeso il valore messo in pericolo, ma abbiamo forse un pochino trascurato la riflessione e la catechesi, che non è certo patrimonio esclusivo dei Protestanti, ma che appartiene alla Rivelazione e che è pure, in qualche modo, strumento di Salvezza.
La Parola della Salvezza, di cui il Sacerdote è Ministro, non è un ” flatus vocis” con cui trasmettere dei pensieri, è invece strumento della Potenza e dell’Amore di Dio, che come al principio con la Parola creò cielo e terra, così ora in Persona diventa ” per noi sapienza e giustizia e santificazione e redenzione” (I Cor. I, 30).
La Parola di Dio dunque non è semplicemente lo strumento della comunicazione del suo pensiero, è soprattutto forza, azione divina e comunicazione di vita, di saggezza, di grazia e di salvezza per tutti (cfr. 1 Cor. I, 27-29).
Secondo la Bibbia, dove interviene la Parola di Dio niente resta come prima, ma tutto è soggetto ad essere trasformato: essa non ritorna vuota, senza aver eseguito il comando di Dio e la Sua volontà (Is. LV, 10); “La Parola di Dio, infatti è viva ed efficace, e più affilata di qualunque spada a due tagli (Ebr. IV, 12) , è la spada dello Spirito (Ef. VI, 12); essa è Parola che opera la Salvezza (Atti XIII, 26), la riconciliazione (2 Cor. V, 19), la santificazione di tutto (1 Tim. III, 4-5); con la diffusione della Parola cresce il numero dei discepoli e si diffonde la fede (Atti VI, 7; XIII, 49) , perché è proprio dall’ascolto della Parola che nasce la fede (Rom. X, 17) .
I Sacramenti vengono chiamati appunto i “Sacramenti della Fede”, ma non nel senso che producono la fede, ma piuttosto perché la suppongono come condizione e come disposizione.
Secondo i nostri tentativi di rendere il senso delle cose misteriose e “indicibili” di Dio, la Parola genera la fede; la fede ci apre all’azione del Sacramento; il Sacramento comunicandoci la vita divina “compie” l’azione di Dio in noi iniziata con l’infusione della fede e le dà una vitalità che crescerà nella misura in cui Parola e Sacramento diventeranno nutrimento completo della vita soprannaturale.
Sta di fatto che, sia nello studio della Rivelazione come nella nostra Predicazione, la funzione della Parola di Dio in ordine alla Salvezza, e la Fede come elemento di vita cristiana hanno bisogno di un ulteriore approfondimento e sviluppo, come devono essere approfonditi i rapporti tra Parola e Sacramento, Fede e vita cristiana.
La Parola di Dio, giova ripeterlo, equivale all’azione di Dio che come opera nella Creazione, così opera lungo la Storia della Salvezza; anzi la Salvezza ha inizio quando Dio ci parla nel Figlio suo (Ebr. I, 2), Parola divenuta carne che si stabilisce in mezzo a noi (Gv. I, 14).
La parola di Dio quindi consiste in un fatto che accade e che ha il suo svolgimento e il suo epilogo in mezzo agli uomini.
Già l’Antico Testamento aveva messo in rilievo questa caratteristica della Parola di Dio, ma sono soprattutto gli Evangelisti a circostanziare intenzionalmente il fatto della Parola come accadimento storico e salvifico (Lc. III, 1-2; IV, 17-21) . La Parola non è il semplice veicolo di una verità e meno ancora di una teoria sulla interpretazione dell’esistenza; oggi è Dio che, nella pienezza dei tempi, manda il Figlio nel mondo per salvarlo per mezzo suo (Gv. III, 17) ; tra Dio e gli uomini accade qualche cosa, gli uomini sono coinvolti in un avvenimento di salvezza.
La situazione degli uomini di fronte alla Parola, non è quella di semplici spettatori che ascoltano, ma quella di attori in una vicenda che li riguarda e perciò li impegna.
L’avvenimento della Salvezza ” proclamato” dalla Parola è lo stesso che viene “rappresentato” dal Sacramento: il Mistero della Pasqua. Gesù è il Signore, che vive glorioso in cielo e che ritornerà per il compimento del Giudizio (2 Tess. I, 7) .
Il Mistero Pasquale è attuale nella Chiesa per l’azione dello Spirito Santo: dalla prima Pentecoste alla Parusia si svolge la Missione di Colui che è mandato dal Padre e dal Figlio. Lo Spirito Santo è il Protagonista della Parola.
Lo Spirito Santo è il Consolatore destinato a restare sempre con gli Apostoli (Gv. XIV, 16) , ha il compito di guida verso tutta la verità (Gv. XVI, 13), di insegnare loro ogni cosa e di far ricordare tutto quello che Gesù ha insegnato (Gv. XIV, 26) . La discesa dello Spirito Santo comunica ” una potenza tale” da rendere gli Apostoli testimoni di Gesù e quindi della sua Parola fino agli ultimi confini della terra (Atti I, 8) . Lo Spirito Santo apre il cammino degli Apostoli e ne indica la direzione (ivi). La presenza e l’azione dello Spirito Santo è l’energia profonda di tutto il Ministero della Parola.
Il ministero della Parola
La Parola di Dio, come avvenimento, caratterizza e definisce la funzione profetica nella Chiesa e in particolare il suo esercizio nel ministero del Sacerdote. L’esercizio della Predicazione non si descrive in un trattato di retorica, come avveniva in certi corsi di sacra eloquenza, essendo essenzialmente vero oggetto della teologia.
Il Predicatore entra nel vivo di una vicenda che si svolge tra Dio e gli uomini: tra l’Amore infinito e gratuito di Dio che salva e gli uomini bisognosi di salvezza, ma liberi di accoglierla con responsabilità.
Il Ministro della Parola è appunto un « servo », di Dio e dei propri fratelli; in un ambito di prestazioni soprannaturali, in cui conta la fede e la grazia; più “inutile” (Lc. XVII, 10) si sente questo servo e più splendente sarà la manifestazione della potente ricchezza della grazia di Dio. Egli è essenzialmente uno strumento.
Il primo attore della predicazione è lo Spirito Santo, perché i tempi nuovi sono definiti dalla effusione dello Spirito di Dio. Così avevano predetto i Profeti, così aveva promesso Gesù Cristo, così avvenne a Pentecoste (Gioele III, 1-5; Gv. XIV, 17; Atti II, 17).
Chi predica non è solo: egli è, in certo qual modo, incorporato a Cristo Profeta e Maestro, proprio per l’azione dello Spirito Santo e quando parla lui, è Cristo che parla (Lc. X, 16), quando lui esorta, è Cristo che esorta (2 Cor. V, 20). Chi predica non è un intermediario autonomo tra Dio e gli uomini, dipende proprio nella sua esistenza di trasmettitore della Parola dallo Spirito Santo: da solo non è in grado di capirla questa parola, è indispensabile l’intervento dello Spirito Santo promesso da Cristo (Gv. XVI, 12; XIV, 26) .
La Parola di Dio non diventa efficace perché è umanamente convincente, ma perché è una manifestazione della potenza dello Spirito Santo (1 Cor. II, 4) ; quindi, chi predica deve piuttosto pensare a testimoniare questa forza dello Spirito che ad architettare argomentazioni. Dovrà possedere lui stesso la testimonianza dello Spirito (Rom. VIII, 16) , essere rivestito dell’armatura di Dio (Ef. VI, 13) . Lui più di ogni altro non dovrà spegnere lo Spirito (1 Tess. V, 19), non dovrà contristarlo (Ef. IV, 30) , ma possedere invece la coscienza viva di essere l’abitazione dello Spirito di Dio (1 Cor. III, 16) .
Alla presenza attiva dello Spirito Santo in colui che annunzierà la Parola di Dio è legata la testimonianza che egli deve dare alla Parola stessa.
C’è una testimonianza ecclesiale che si collega fino a quella dei Dodici Apostoli. Chi predica deve avere coscienza di essere nella Chiesa e di parlare a nome di lei, altrimenti la sua testimonianza, che è anche storica, mancherebbe di fondamento: è per il « mandato » che egli riceve dalla Chiesa, che la sua “missione” di ” ambasciatore” di Cristo (2 Cor. V, 25) è accreditata (Atti II, 32; II, 15; V, 23, ecc.,8) . C’è una testimonianza che possiamo chiamare mistica, cioè interiore e soprannaturale, che consiste in una forza che lo Spirito Santo comunica a quelli che annunciano la Parola e corrisponde a una carica di convinzione interiore dell’ordine della fede e che si comunica agli uditori (Atti I, 8) .
Infine c’è la testimonianza morale, quella che deriva dai frutti della Parola maturati ed evidenti nella persona e nella condotta del predicatore.
La testimonianza si appunta nel Mistero della Pasqua: Gesù morto e risuscitato è il Signore, quindi il Salvatore. Da questo fondamento apologetico (Rom. XV, 14) e soprattutto mistero-salvifico (1 Cor. XV, 13) prende valore e senso tutta la predicazione.
Dio manifesta se stesso e rivela il suo amore, sancisce l’Alleanza definitiva nel Sangue del Figlio Suo, ratificando tutto con la potenza dello Spirito con cui risuscita il Figlio Suo, nel quale noi abbiamo la riconciliazione. Questo è il culmine della Storia della Salvezza, da cui deve partire ogni svolgimento che forma l’oggetto della Predicazione (1 Cor. XV, 1-11) .
Una predicazione biblica, patristica, liturgica come quella postulata dal Concilio, deve necessariamente essere storica, concreta, dinamica, come è il Mistero della Salvezza che il Predicatore deve annunciare e spiegare. La fedeltà al deposito della Rivelazione (1 Tim. VI, 20) comporta uguale dovere di fedeltà al metodo e agli scopi salvifici della Rivelazione. E’ chiaro che “aggiornarsi”, come vuole il Concilio, significa dare una prospettiva nuova a tutta la nostra cultura, fino a cambiare mentalità.
L’altro termine entro cui il Predicatore svolge il suo “servizio” sono gli uomini: gli uomini dotati di quel dono misterioso che è la libertà e immersi nel peccato. Gli uomini bisogna guardarli come li guarda Dio, con uno sguardo pieno di amore; bisogna comportarsi con loro come ha voluto comportarsi Iddio: dopo essersi costituito un popolo, stabilisce con lui un patto che ne definisce i rapporti, che sono quelli di un padre verso il figlio (Es. IV, 22) , del pastore verso il gregge (Is. XL, 11), dello sposo verso la sposa (Osea II, 16-25) .
E’ sorprendente l’insistenza con cui Dio propone la sua Alleanza alla libera decisione e quindi al responsabile impegno del popolo (Es. XIX, 4-8; Gios. XIV, 14-15) . La risposta che Dio attende è quella della fede, cioè della fiducia, dell’obbedienza e dell’amore; tutti atti che hanno alla loro radice la libera decisione della persona umana.
Gesù che cerca per il Padre degli adoratori in spirito e verità (Gv. IV, 23) , esprime il suo atteggiamento di amore rispettoso, delicato e insistente con le parole: ” Ecco Io sto alla porta e busso: se uno sente la mia voce e apre la porta, Io entrerò da lui e cenerò con lui, e lui con me” (Apoc. III, 20; cfr. Cant. V, 2) .
Chi predica sta tra Dio che, con le manifestazioni di un Amore infinito, urge una risposta e l’uomo libero di disporre del suo destino: si trova come in duplice sacrario, quello della trascendente sovranità dell’Amore di Dio, che egli deve adorare e servire, e quello della libera decisione dell’uomo che egli deve rispettare e pure servire.
Chi predica sa di essere anche qui nel vivo di un mistero: lo Spirito Santo precede l’azione del predicatore e l’accompagna. Quando giunge la sua parola esterna è già in opera la Parola interiore dello Spirito.
Conseguenze per la vita spirituale del Sacerdote
Dalle cose fin qui svolte sul ruolo della Parola di Dio e sul Ministero della Predicazione è facile per ogni lettore dedurre le conseguenze così chiaramente contenute nelle premesse.
La parola di Dio e il conseguente Ministero appartengono così esclusivamente all’ordine soprannaturale della Salvezza che esigono per intrinseca natura di essere guardate con lo sguardo soprannaturale delle virtù teologali; la Predicazione è un servizio verso qualcuno che si ama: le tre divine Persone e gli uomini. Se non c’è amore è falsa la ” proclamazione” dell’Amore.
E’ quanto dire che la Predicazione esige tutto l’impegno della nostra vitalità soprannaturale – fede, speranza e carità – e di tutta la nostra vita morale: amore di Dio e del prossimo.
Il Ministero quando è rettamente inteso e coscientemente esercitato diventa la sorgente prima della santificazione del Predicatore. L’Ordinazione Sacra tende proprio a questo: di impegnarci a meditare giorno e notte la Parola del Signore a credere ciò che abbiamo letto; a insegnare ciò che crediamo; a mettere in pratica ciò che insegniamo (Pontificale)( Costituzione sulla Chiesa del Concilio Vaticano II°, cap III° n. 28). Se dunque noi stessi nella assiduità dello studio e della meditazione, “ascoltiamo e custodiamo” la Parola di Dio, se la “crediamo”, Essa diventa il Pane di cui abbiamo bisogno per vivere (Mt. XIV, 4) e il seme che porta il cento per uno di frutto (Lc. VXIII, 8-15) .
La conclusione evidente dunque è questa: la Predicazione impegna al massimo alla santità perché uno “sia ” ciò che “dice”; la Parola di Dio dal canto suo è la prima è indispensabile sorgente della santità del Predicatore.
Volendo ritornare alla situazione concreta in cui ci troviamo noi Sacerdoti italiani – e non noi soltanto! – mi pare che una considerazione si imponga, da cui dedurre una conclusione più realistica.
La considerazione è questa: da una parte il Concilio si propone un aggiornamento e un ritorno alle sorgenti; per questo opera un cambiamento di prospettiva nella presentazione del Mistero della Salvezza e conseguentemente nell’azione pastorale; dall’altra parte la quasi totalità tra noi ha una formazione mentale, una mentalità legata a una visione prevalentemente speculativa della Rivelazione. Questa non è una colpa: è una situazione di fatto.
La Costituzione sulla sacra Liturgia prescrive ai professori di tutte le discipline teologiche di mettere in rilievo, secondo le intrinseche esigenze di ognuna di esse, il Mistero di Cristo e la Storia della Salvezza (art. 16) e affinché i fedeli ” partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente”, vuole che “siano istruiti sulla Parola di Dio” (art. 48) ; prescrive che ” la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggior abbondanza” e perciò vuole che “vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia (art. 50). In generale afferma che ” per promuovere la riforma, il progresso e l’adattamento della Sacra Liturgia, è necessario che venga favorita quella soave e viva conoscenza della Sacra Scrittura, che è attestata dalla veneranda tradizione dei riti sia orientali che occidentali” (art. 24). Non si dimentichi che è Sacra Liturgia non solo quella sacramentale, ma anche quella della Parola e che, per esempio, l’0melia fa parte dell’azione liturgica (art. 52-56).
Qui si vuole soltanto sottolineare che il Concilio fin dal suo primo Documento presenta le cose in una prospettiva diversa da quella a cui siamo abituati dalla nostra formazione.
Senza protrarre oltre il discorso ecco la conclusione concreta in ordine alla Predicazione: dobbiamo rivedere la nostra formazione culturale, dobbiamo riordinare tutto il nostro sapere teologico intorno al Mistero di Cristo e alla Storia della Salvezza, dobbiamo acquistare quel gusto saporoso della Sacra Scrittura, che ci permetta di arricchire la mensa della Parola, da cui devono attingere la vita cristiana i nostri fratelli.
CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli (Bari)
Stampa: Rivista del Clero italiano – Giugno 1965 – pagg 329-336
Rivista del Clero italiano – ottobre 1965 pagg.586-595 ristampa ;
Stampa: Bollettino diocesano Monopoli Giugno 1965
ST 197 Parola 1965