In India col Papa Paolo VI°
Miei cari, quest’altra esperienza della mia vita spirituale di Vescovo della Chiesa di oggi è una nuova ricchezza di cui ho la gioia di rendervi partecipi per questo Natale 1964.
Aiutatemi sinceramente a ringraziare il Signore che mi fa entrare negli avvenimenti della vita della sua Chiesa in modo tanto inatteso e vivo. Nel giro di quattro anni ho incontrato Papa Giovanni, sono stato in Terra Santa, ho preso parte al Concilio, ho seguito Paolo VI in India. Sento il bisogno di farmi piccolo di fronte a queste cose grandi e straordinarie, di meditarle silenziosamente e poi dirne qualche cosa ai « miei ».
C’è un filo che lega tutte le Persone e gli avvenimenti della Chiesa di questi ultimi anni, c’è soprattutto un significato unico che acquista chiarezza a mano a mano che gli avvenimenti si compiono. Il viverci dentro per quattro anni dà la chiara percezione che tutto questo ha la sua espressione in quel « senso ecclesiale » che il cristianesimo assume in questi tempi nuovi.
Io voglio farvi partecipi della mia esperienza in India, ma non vorrei deludervi se finirò di dirvi piuttosto ciò che ho visto dentro che quello che ho visto con gli occhi. Con gli occhi ho visto molte cose che mi hanno interessato e le ho fissate nel mio diario e nelle pellicole. Ma è stata più forte la responsabilità del pellegrino che cercava di vedere con gli occhi della fede.
Da Roma a Bombay il passaggio esteriore è stato una scossa inattesa: clima, ambiente urbano, gente, condizioni sociali, colore, sistemazione logistica; interiormente è stato soltanto una proiezione nello spazio della visione e degli impulsi che animavano l’Aula Conciliare. La Costituzione sulla Chiesa prendeva rilievo concreto a contatto con un Continente che gli occhi di carne ritengono estraneo all’ambito di quella realtà che chiamiamo Chiesa. « La Chiesa è un mistero » dice il Concilio Ecumenico Vaticano II ed è la dichiarazione più solenne, più decisiva, più sconvolgente di questo Concilio, a cui fa eco l’affermazione correlativa: «Il Mistero cristiano è la Chiesa». Papa Giovanni personifica la Chiesa, il Concilio è la voce della Chiesa, Paolo VI è il cammino della Chiesa. Poiché Papa Giovanni, con la sua umile docilità che ignorava la paura del rischio, ha spalancato la porta allo Spirito Santo; il Concilio gli ha prestato la lingua; Paolo VI è in cammino per segnarne la direzione di marcia.
La Chiesa è viva, ha un’anima, è tutta vibrante del soffio straordinario dello Spirito Santo.
La Chiesa è un corpo, il Corpo di Cristo che si vede, che si tocca, che può aver fame ed essere nudo, che ognuno deve amare come la propria carne.
Andare pellegrini con Paolo VI in India è certamente camminare secondo il soffio dello Spirito di Dio, il quale conduce dove Lui è già presente. Neppure quelli che approdano in India con interessi profani sfuggono alla suggestione della « mistica indiana ». Chi vi arriva pellegrino dello Spirito, da un’Aula Conciliare, sulle orme del Vicario di Cristo, con la certezza di camminare nella direzione dello Spirito Santo, non può non porsi degli interrogativi su questa situazione religiosa.
L’occasione del pellegrinaggio del Papa è il Congresso Eucaristico; in questa stessa occasione Egli si incontrerà con «i santi della Chiesa che sono in India», ma è fuori dubbio che Paolo VI è venuto in India per vedere l’India, per salutare l’India, per associare l’India agli sforzi e ai compiti della Chiesa, intesi ad assicurare al mondo quei valori che ne garantiscono la esistenza, la pace, la prosperità nella giustizia e nell’amore.
Le parole, i gesti, gli incontri del Papa si sono rivolti all’India in tutta la sua realtà concreta, da Capo religioso, da Amico, da Fratello, a un Popolo religioso.
La Chiesa del Concilio è la Chiesa cattolica, quella cioè che ha la capacità di diffondere nel mondo il mistero dell’Incarnazione; quella che non viene per mortificare e distruggere, ma per assumere e perfezionare tutti i valori umani.
Siamo al punto d’incontro con la «mistica indiana».
La condotta dello Spirito Santo è misteriosa per natura. Non è lecito forzare gli interrogativi davanti al mistero; è legittimo tuttavia stare in umile attesa e in attenta osservazione dei «segni» indicativi del senso del mistero.
Parecchi ritengono che la tolleranza religiosa dell’India debba condurre all’indifferentismo: è un pericolo possibile. Qui però i calcoli non debbono essere quelli delle probabilità umane; altrimenti anche il pellegrinaggio del Papa, con i suoi gesti e le sue parole, potrebbe diventare motivo di indifferentismo religioso.
La realtà è un’altra: tra il gesto del Papa e la religiosità dell’India c’è la presenza e l’azione dello Spirito Santo.
Ora che uno dei «poli » di questa realtà misteriosa si è accostato all’altro, questo secondo – I’ India- è stato scosso da un fremito di simpatia, di fiducia, di amore, come non ha mai conosciuto nella sua pur lunga esperienza. Le cronache registrano che neppure la visita della regina Elisabetta ha raccolto tanta folla. Pare che ci siano tutti i « segni » per ritenere che l’India non si arrenderà al Vangelo per lo splendore della sua Verità e neppure per la perfezione della sua morale, ma per la validità della « esperienza spirituale cristiana ».
Gli ultimi secoli hanno talmente rimarcato gli aspetti più esteriori della vita della Chiesa da indurci a considerare la mistica come fatto del tutto eccezionale e da guardare con diffidenza.
Grazie a Dio, oggi siamo su un ponte molto solido che unirà le due sponde della « lettera » e dello « spirito ». Questo Ponte sono lo spirito e le intuizioni di Papa Giovanni, il senso del Concilio, il pellegrinare profetico di Paolo VI.
Il Cristianesimo è il frutto di una iniziativa misericordiosa dell’Amore di Dio, la conseguenza della sua presenza in noi e nei nostri fratelli, la comunione nostra con la Comunione delle divine Persone. Il cristiano è uno che si trova impegnato a dialogare personalmente con Dio, è uno che comunica alla vita di Dio.
Il Cristianesimo è un’esperienza di vita soprannaturale. La « mistica cristiana » è illuminata da una Verità di Vita, così come si esprime in una Santità di Vita, ma prima di tutto è Vita.
Il Concilio è una seria, radicale ricerca di «aggiornamento», di «riforma», di « rinnovamento » della Chiesa.
Chi avrebbe pensato che il Papa, appena messo il piede al di fuori del mondo occidentale avrebbe posto la Chiesa di fronte a questa urgenza di genuina, profonda, seria santità ?!
Miei cari, la mia non è una lettera pastorale, ma la confidenza che vi faccio di alcuni pensieri di pellegrino e perciò mi basta avervi suggerito che il grande Pellegrino di Dio nel mondo di oggi è lo Spirito Santo che sta alla porta di ogni cuore e chiede di entrare per portare vita, luce e calore.
Mi avvio alla fine proponendovi un altro ordine di pensieri.
Lo Spirito Santo è presente con la sua azione fra gli uomini nel Corpo di Cristo che è la Chiesa.
Questo corpo che prolunga nel tempo e nello spazio la presenza di Cristo è l’elemento, se così si può dire, che manifesta, che rende « apparente », sensibile il Cristo nel mondo. E’ il punto d’incontro visibile per i credenti e i non credenti.
I credenti, Cristo lo devono vedere, incontrare, servire, amare nelle sue membra, che sono gli affamati, i nudi, i soli, i tristi, gli sfruttati. I non credenti hanno il diritto di incontrare Cristo e di toccarlo con le loro mani in quelli che per la Fede e per il Battesimo sono diventati i testimoni della sua Risurrezione.
Da notare che il « segno » da cui ci riconosceranno come discepoli del Cristo è il nostro amore vicendevole; come l’amore per gli affamati ecc. dice il nostro amore per Cristo.
L’India oggi è il luogo privilegiato della testimonianza dell’Amore.
L’ottanta per cento dei 450 milioni d’Indiani hanno fame, sono malvestiti, non hanno un luogo dove riposarsi che meriti il nome di casa, vivono nella rassegnazione del loro fatalismo, sono largamente sfruttati.
Queste però sono delle affermazioni statistiche; bisogna vederli quei volti, quei corpi scheletriti, sentirli tossire, entrare nelle loro capanne, incontrarli la notte a dormire sui marciapiedi, contarli se fosse possibile e poi pensare a tutte le ricchezze di quelle terre che nei tempi presero la via del mare o del deserto e che fecero la fortuna di altre nazioni, vedere i segni di patrimoni ingenti e assai infruttuosi che sono nelle mani di pochi e costatare le remore di un fatalismo religioso e della mancanza (al meno secondo noi) di coraggio che impediscono l’attuazione di serie riforme sociali: allora si capisce il grido di Paolo VI, che supplica a impegnare almeno una parte delle spese per gli armamenti destinati a dare la morte, alla costituzione di un fondo da spendere per assicurare la vita.
Sono gli orizzonti della realtà sociale che vengono spalancati da un gesto del Papa davanti alla coscienza di ogni uomo e specialmente dei credenti.
Il cosiddetto « schema 13 » del Concilio, che fa eco al Capo 25 di Matteo sui motivi del Giudizio universale, era già stato un deciso orientamento a vedere la realtà del mondo con occhio cristiano. Paolo VI ci porta con se a toccare le cose con mano e mette alla prova il realismo della nostra Fede. A ogni sosta del suo faticoso programma, a ogni azione del suo Ministero, a ogni incontro con grandi o con piccoli ci ripete: ecco Cristo! Cristo da credere nella sua Parola, da adorare nel suo Sacramento, da seguire nei suoi Ministri, da riconoscere, da rispettare, da servire, da amare nei poveri dell’India e di tutto il mondo.
Ma il Corpo di Cristo che è la Chiesa è anche il « segno » che appare in modo straordinario tra questa gente perché veda la luce vera.
Questo segno diventa riconoscibile, acquista. per dir così, la sua efficacia quando è illuminato dalla luce dell’unità e della carità fraterna. In India come in ogni Paese di Missione si impone nella sua tragica gravità il problema ecumenico: non si può credere in un Cristo diviso. Ma al di sopra del problema ecumenico o meglio alla sua radice c’è una esigenza della realtà cristiana che coincide con una aspirazione umana di oggi: il precetto nuovo di Cristo ” amatevi gli uni gli altri “.
Nei giorni della Chiesa che ha instaurato il Concilio Ecumenico Vaticano II° questo precetto si riveste di una luce e di una prospettiva nuova, quella ecclesiale.
La Chiesa è la misteriosa realtà che racchiude l’Amore di Dio, che anima i cuori degli uomini per unirli in un solo Popolo, in una sola Famiglia, in un solo Corpo, come un’unica Sposa di Cristo.
Miei cari, in questi giorni saturi della memoria della apparizione fra gli uomini della tenerezza dell’Umanità del Figlio di Dio, ricordiamo che la sorte di tutta l’umanità, di ognuno di noi è quella di appartenere al Corpo di Cristo che è la sua Chiesa.
Dunque Cristo è nel corpo di ogni nostro fratello: amiamolo! Noi siamo il Corpo di Cristo: amiamoci!
Due momenti del mio Pellegrinaggio rimangono scolpiti nella mia anima perché li sentii carichi di significato.
La sera del giorno 2 dicembre uscii dall’Oval in abiti prelatizi al termine dell’Ordinazione dei Sacerdoti di Rito Orientale e non raggiunsi la macchina, ma mi inoltrai tra la gente per arrivare anch’io fino alla mia residenza.
Una folla senza numero fluiva ordinata lungo la grande arteria cittadina: scorreva, nessuno correva o superava gli altri o spingeva; non avevano fretta, ognuno portava già con se ciò che cercava, non c’era motivo di arrivare prima; non erano chiassosi, erano contenti. Io andavo più spedito di loro, li sorpassavo sempre e i vicini e anche da lontano mi facevano segno della loro attenzione, volevano che guardassi la loro gioia e molti, certamente non tutti cristiani, si accostavano e con rispetto confidente e devozione religiosa mi salutavano: gli indù portavano le mani giunte all’altezza della fronte, gli ortodossi e gli orientali toccavano la mia mano con la fronte, i cattolici mi baciavano l’anello. Io lasciavo fare, non ho mai dato così volentieri l’anello da baciare. Non ero io, ero un Vescovo della Chiesa che erano loro, perché era evidente che in quei cuori era presente lo Spirito del Signore.
La sera del 3 invece attendevo il Santo Padre alla St. Xaviers H. School dove ero alloggiato: veniva a visitare la Mostra grafica delle attività dei cattolici in India. Arrivò il Papa verso le 22 al termine di una lunga giornata di incontri. Quando entrò nell’atrio io ero ai suoi piedi e gli baciavo la mano e l’anello per tutti quelli per i quali ero pellegrino. Poi camminai accanto al Papa che per qualche istante mi lasciava la sua Mano nelle mie mani.
La tengo ancora quella Mano abbandonata come la Fiducia, calda come l’Amore, sudata come la Stanchezza, e porgo a tutti quelli che sono sulla mia strada la mia povera mano, per fare una catena, I’uno dopo l’altro, tutti uniti nella Fede, nella Carità, nell’impegno di arrivare a tutti i fratelli e chiamarli e servirli e amarli.
CARLO FERRARI Vescovo
OPUSCOLO.
Ai miei Sacerdoti, alle Autorità, ai Fedeli e Amici in segno di gratitudine per gli auguri onomastici e natalizi e come pegno di felicità per l’Anno Nuovo.
Monopoli, Natale 1964