Gazzetta di Mantova 22 Gennaio 1984
Riprendiamo dalla Gazzetta di Mantova di domenica 22 gennaio scorso l’intervista rilasciata dal nostro Vescovo dopo gli interventi piú o meno polemici pubblicati dal quotidiano locale sulla guida pastorale e su altri aspetti della vita diocesana.
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Con tutto il rispetto per la libertà di opinione e di informazione, anzi invocandola a nostra volta, ribadiamo il nostro dissenso per il modo come tale polemica e stata innescata e poi portata avanti, dando spazio tra l’altro a lettere praticamente anonime. Ma siamo ora in dovere di far conoscere anche ai nostri lettori la parola conclusiva del Vescovo. il modo come in questa vicenda riaffermiamo la volontà del nostro settimanale di continuare a svolgere il suo modesto servizio in fedeltà allo spirito e agli orientamenti della pastorale diocesana. (Don Benito Regis, segretario del vescovo)
– Negli ultimi tempi lei è stato al centro di polemiche più o meno serene sul suo modo di guidare la diocesi mantovana. Qualcuno ha scritto addirittura che la nostra diocesi è acefala. Qual’è stata la sua reazione di fronte a questa critica?
– Faccio anzitutto una premessa. Mi sento in dovere di rispondere a chiunque mi interpella di persona o firmandosi con il proprio nome, specialmente se lo fa nelle sedi appropriate e con conoscenza di causa. Ma non mi sento obbligato in alcun modo verso chi scrive e sentenzia nascondendosi dietro l’ anonimato. Se delle persone, se in particolare dei preti non hanno il coraggio delle propri idee, non meritano di essere presi in considerazione. Se poi ci sono dei preti che, dopo diciassette anni, temono ancora qualche ritorsione da parte del vescovo, vuol dire che non mi hanno conosciuto, e di questo mi dispiace molto.
Capisco che questi anonimi si sentano acefali, ma il distacco non e certo avvenuto da parte mia e io non ne sono responsabile, benché continui a sentirmi responsabile delle loro persone e del loro sacerdozio.
Per tutti gli altri mi preme invece precisare: ho accettato questa intervista non tanto per scagionarmi dalle critiche che qualcuno mi ha mosso, ma per chiarire, puntualizzare il senso dei miei atteggiamenti, se si vuole della mia linea di governo della diocesi per tutti coloro che critici o non, siano interessati a conoscere meglio questa varia e vivace realtà che è la Chiesa mantovana.Sono entrato in diocesi nel già lontano 1967, con il fardello della mia persona, del mio temperamento, della mia preparazione culturale e ovviamente anche dei miei limiti. Del ministero episcopale ho sempre avuto un concetto che poi il Concilio, a cui ho personalmente partecipato, ha messo in piena Luce e nel quale mi ha confermato. I vescovi sono dentro il popolo di Dio, “reggono le chiese particolari come vicari e legati di Cristo ricordandosi che chi è piú grande deve farsi come il piú piccolo e chi è il capo come colui che serve” (cit. Lumen Gentium, cap 27).Non sembri una citazione decorativa. In tutti questi anni ho cercato, parlando, ascoltando, scrivendo, prendendo e incoraggiando iniziative, di coinvolgere il piú possibile preti e laici nella edificazione di una Chiesa che corrispondesse all’ insegnamento del Concilio. In questa sede posso solo accennare ai due tipi di impegno che forse meglio caratterizzano il mio ministero nella Chiesa mantovana: l’aggiornamento e le scelte di pastorale diocesana.
L’affermazione che la nostra diocesi sia acefala non mi tocca; mi tocca invece ed è per me motivo di sofferenza dover constatare che, specialmente i preti, non sono tutti presenti, come potrebbero e dovrebbero, nel momento in cui maturano le indicazioni e le scelte pastorali. In tempi come i nostri, nei quali il costume, la mentalità, gli atteggiamenti mutano con rapidità impressionante, nessuno può vivere e operare responsabilmente nella Chiesa se non impegnandosi a un aggiornamento serio e continuo, come quello che il Concilio ha promosso e come noi abbiamo cercato di attuarlo con le diverse iniziative.
Ricordo in particolare la “settimana” di fine agosto per tutti gli operatori di pastorale preti e laici la “tregiorni” di inizio gennaio e i due corsi residenziali (uno di carattere dottrinale l’altro pastorale) per i sacerdoti che si sono tenuti ogni anno. E poi il tentativo di attuare dei momenti forti di vita sacerdotale con i ritiri spirituali quasi sempre da me dettati, in preparazione alle grandi solennità dell’anno liturgico.Può darsi, lo riconosco, che i temi e l’ impostazione degli incontri non sempre siano stati condivisi da tutti ma si è trattato di iniziative portate avanti collegialmente e in qualche caso demandate ai sacerdoti stessi. Se qualche volta è stato il vescovo ad avere l’ultima parola, penso che ciò sia legittimo, se non anche doveroso, in decisioni di seria importanza.
Ciò che piú conta è che tutti, sacerdoti a laici hanno avuto la opportunità di ascoltare voci diverse tra le più qualificate della cultura teologica, pastorale, sociologica italiana di questi anni. E non si è trattato di discorsi astratti o accademici lontani dalla realtà quotidiana; si è cercato invece di approfondire i problemi piú attuali e vitali della comunità cristiana in vista del comune impegno di edificazione della nostra Chiesa particolare.
Capi bisogna esserlo, non farlo
Di qui sono nate le grandi scelte della pastorale diocesana le scelte ovviamente non esclusive, ma privilegiate della famiglia, degli adulti e dei giovani, del “resto fedele”, della catechesi esperienziale.
Da due anni siamo impegnati alla riscoperta e allo studio della dimensione morale della vita cristiana nella società dei consumi e mi pare si stia delineando una nuova impegnativa scelta pastorale che tra l’altro potrebbe riassumere tutto un modo di intendere l’autorità e il servizio nella Chiesa: la scelta della povertà per il Regno e la scelta dei poveri specialmente dei nuovi poveri a motivo del Regno.
Potrei continuare con l’elencazione di altre iniziative e attività se mi premesse di dimostrare qualcosa ma non è il caso; sono d’avviso che “capi” – mi perdoni la presunzione – se c’è bisogna esserlo e non farlo.Detto questo mi sembra semplicistico e segno di non grande maturità far dipendere tutto dal capo o “colpevolizzare il padre” di tutto come si usa dire oggi, invece di affrontare personalmente i problemi nei loro termini reali avvalendosi delle risorse e dei contributi di cui si dispone Ruolo dei laici
– Il nostro giornale ha ospitato lettere di preti e lettere di laici. Ho l’impressione che questi ultimi siano mossi non solo da un autentico amore per la Chiesa ma anche dal gusto di voler sindacare in una attività che non è loro propria e che ricorda in parte certe interferenze dei lontani “fabbricieri”. Lei che ne pensa?
– Dei laici nella chiesa penso ciò che ha insegnato il Concilio nel suoi diversi documenti.
I laici sono a pieno titolo membri del popolo di Dio e come tali partecipano alla vita e alla attività della Chiesa.
Loro compito è cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio come dice la Lumen Gentium al n 31.
I pastori hanno coscienza di non essere soli a portare avanti là missione della Chiesa tra gli uomini, ma che tutti i membri del popolo dl Dio sono impegnati per la parte che loro compete a diventare corresponsabili nella attività interna ed esterna della Chiesa stessa.
Pertanto nella nostra diocesi sono sollecitate, curate e interpellate tutte le espressioni laicali organizzate o non di partecipazione alla vita e all’azione ministeriale della Chiesa.
E’ con gioia particolare che io constato la presenza attiva e competente di molti nostri laici soprattutto in quell’impegno primario della missione della Chiesa cha è la catechesi.
Che poi anche nella nostra diocesi come nel resto delle diocesi del mondo, ci siano laici che sono mossi a interloquire nella Chiesa per il gusto di sindacare o per altri motivi non propriamente ecclesiali è pur vero; ma, soprattutto da parte del Vescovo, è necessario un
supplemento di pazienza pensando che il tempo nelle mani di Dio è galantuomo e aiuterà a fare chiarezza tra ciò che é autentico e ciò che è gratuito o soltanto emotivo.
– Se ho ben capito dalle lettere che sono giunte al giornale, tra i sacerdoti c’é chi la rimprovera di aver eccessivamente decentrato il governo della diocesi affidando incarichi a persone non gradite a buone parte del clero, il quale lamenta di non avere possibilità d’appello…
– L’aver decentrato in qualche misura il governo della diocesi è una scelta che risponde a un preciso dettato del Concilio.
Le persone – vicario generale e pro-vicario – a cui ho affidato responsabilità di governo sono sacerdoti stimati e accolti dalla grande maggioranza del clero uniti da un effettivo amore per la Chiesa e per vari aspetti tra loro complementari quanto al temperamento e alla preparazione pastorale e culturale.
Faccio osservare tuttavia che, le decisioni specialmente se toccano le persone sono prese col vescovo, e chiunque in qualsiasi circostanza ha avuto la possibilità di appellarsi al vescovo.
Normalmente io sono a disposizione per ricevere tutte le mattine dei giorni feriali e per appuntamento anche al pomeriggio.
L’anonimato non ha giustificazioni ne umane ne cristiane.
– Le proteste sono esplose inattese o aveva già avvertito sintomi che potevano farlo prevedere?
– Non avevo motivi per prevedere che delle proteste esplodessero in questo momento e in questa forma tanto piú che non mancano le sedi ecclesiali dove piú opportunamente problemi di questa natura si potrebbero esaminare e dibattere.Meno che mai prevedevo il ricorso all’anonimato da parte di miei sacerdoti anche se una triste storia da San Pio X al cardinal Poma avrebbe potuto ammonirmi. E qui non è solo una questione di forma, è l’espressione di uno sfasamento della coscienza gravemente immorale che non ha giustificazioni ne umane ne cristiane.
Quanto alla sostanza dei giudizi, dei punti di vista e delle sensibilità che esprimono, non sono molto sorpreso: possono rientrare nella normale espressione di una Chiesa che vive nella complessità del nostro tempo.
Tra il Concilio di Trento e il Vaticano 3°
– Secondo il suo parere da che cosa derivano queste proteste?
Le proteste non le lettere anonime hanno ragione di essere in una Chiesa costituita insieme dalla presenza dello Spirito Santo e dalla debolezza degli uomini.
Ma non solo di debolezza si tratta. Mi diceva confidenzialmente qualche anno fa il cardinale Pellegrino: nelle diocesi del dopo-Concilio si va da quelli che sono rimasti fermi al Concilio di Trento a quelli che aspettano il Vaticano 3°! Tutti sono persuasi di essere nel giusto, tutti citano e si appellano al Vaticano 2° per criticare il vescovo che ovviamente non può dare ragione a tutti.
C’è insomma una pluralità di atteggiamenti mentali e pratici, una diversità di culture che si e prime in attese diverse spesso tra loro contraddizione nei riguardi dell’ autorità.
Si aggiunga la disinformazione sulle cose di cui si parla e l’abitudine di non pochi a parlare e a scrivere, per sentito dire.
-Quali sono state le critiche che maggiormente la hnoan amareggiata?
– Quelle in particolare che nascono dal travisamento delle mie intenzioni come per esempio quando il rispetto per le persone e per la loro libertà è scambiato per disinteresse o quando la preoccupazione del camminare insieme è interpretata come lentezza o immobilismo. Un malessere diffuso anche altrove
– Siamo di fronte ad un fenomeno locale o ad un malessere abbastanza comune a tutte le diocesi?
– Incontro spesso altri vescovi, all’assemblea annuale della CEI e nelle riunioni piú frequenti dell’episcopato lombardo e della Commissione per la dottrina della fede la catechesi e la cultura. E riscontro che all’incirca le problematiche sono dappertutto le stesse e in molte situazioni il malessere è anche piú acuto e diffuso che da noi.
– E’ disposto a riconoscere qualche ragione nelle critiche che le vengono mosse?
– Dipende da quali critiche. Sono sempre disposto a vagliare, nelle opportune sedi, (questa intervista la consideri uno strappo alla regola) ogni precisa osservazione critica che mi venga mossa; ma non accetto il modo e gli strumenti ai quali si è fatto ricorso in questa occasione perché denotano sfiducia verso di me e offendono la comunione ecclesiale meritando il rimprovero di Paolo ai cristiani di Corinto: “Non dovevate rivolgervi ai giudici profani per ottenere giustizia” (1 Cor 6,1 ).
– Nelle lettere giunte al giornale c è chi asserisce che in una riunione di sacerdoti lei ha ricordato che rimarrà al suo posto sino al raggiungimento dei limiti di età vale a dire sino all’anno prossimo. Se ciò corrisponde al vero come mai si è sentito costretto a fare questa precisazione?
– Sinceramente non capisco perché si sia voluto enfatizzare un episodio così modesto. Nelle mie intenzioni ciò che ho detto aveva solo un significato: assicurare che resterò al mio posto a fare il mio dovere fino al momento in cui lascerò la responsabilità della diocesi e quindi togliere la impressione di un minore impegno perché il tempo si accorcia.
E’ strano che da una parte si parli di Chiesa acefala e dall’altra ci si meravigli non appena il capo si fa sentire per affermare una continuità che è nell’ordine delle cose. E’ ancora più strano che a un uomo della mia età con poco piú di un anno di tempo a disposizione, venga chiesto proprio ora di “cambiare tutto”.
– Quali sono le maggiori difficoltà che incontra nella sua attività pastorale?
– Sono le difficoltà legate al compito maggiore, cioè piú specifico e irrinunciabile del vescovo: quello di armonizzare nell’unità i doni e i ministeri presenti nella sua chiesa.
Compito primo del vescovo non è di far valere o prevalere le sue idee o preferenze piú personali e nemmeno di far proprie le posizioni obiettivamente o idealmente piú valide supposto che si possa stabilire quali sono),
ma di promuovere il massimo di comunione ecclesiale nel rispetto delle diversità legittime.
In questo senso, un maestro riconosciuto dalla teologia italiana di oggi, mons. Sartori, descrive l’autorità del vescovo come “forma vuota” e “indeterminatezza a livello di contenuti specifici”.
Di suo l’autorità dovrebbe mettere il senso della sintesi, la promozione armonica di tutti i valori presenti nella comunità.
– Quando fu nominato vescovo immaginava quelle che sarebbero stata le difficoltà che avrebbe incontrato o erano tempi diversi in cui l’obbedienza costituiva allora un valore inattaccabile?
– Ho svolto il mio ministero sacerdotale nel centro diocesi e parecchie delle difficoltà che si riscontrano oggi esistevano anche allora o cominciavano a profilarsi.
A riguardo dell’obbedienza ritengo che vi sia stata una evoluzione in positivo.
I sacerdoti che sono entrati nello spirito del Concilio vivono oggi una obbedienza piú personale, responsabile, creativa.
L’obbedienza non è piú quella virtú “passiva” che in altri tempi veniva inculcata e rischiava di creare non dei collaboratori ma dei sudditi.
Oggi è intesa come forma costruttiva della comunione ecclesiale e come tale è un valore piú autentico della obbedienza di un tempo.
– Per diventare sacerdoti è necessaria la vocazione, che è l’obbedienza o la risposta alla chiamata di Dio. Ma per accettare l’episcopato è necessario aggiungere alla vocazione un supplemento di spirito di servizio e questo fin dove deve giungere?
– Fare il vescovo è una grande esperienza umana, religiosa, ecclesiale che forse meriterebbe di essere conosciuta piú da vicino. Si è chiamati dalla chiesa a lasciare la propria terra, la propria gente, per mettere radici altrove, in una terra e tra gente che almeno inizialmente non si conoscono e che bisogna imparare a conoscere, a stimare e ad amare, in spirito di fraternità e di servizio, poiché tutto questo significa per un vescovo piantare e far crescere la chiesa di Cristo.
Ci si sente incalzati dall’ansia di Paolo: “guai a me se non annuncio il Vangelo”! Guai a me se non edifico la Chiesa!
Ma si avverte anche la propria debolezza di fronte al compito immane e si capisce che si ha bisogno di tutti, veramente di tutti, non meno di quanto gli altri che vivono nella chiesa hanno bisogno del vescovo.
– Cos’ è cambiato nella chiesa da quando è stato ordinato sacerdote ad oggi?
– Moltissime cose sono cambiate e quasi tutte in meglio. Ma ruberei troppo spazio al suo giornale se volessi farne anche un elenco sommario.
Aldilà delle cose sono cambiate le mentalità, le coscienze, la cultura.
E cambiata – non sembri un gioco di parole- l’idea stessa di cambiamento, una realtà che allora era guardata con estrema cautela e il più delle volte rifiutata, mentre oggi non solo è accolta con più larghezza ma è indagata e interpretata in tutti i suoi aspetti perché si è imparato a vedervi una parola di Dio agli uomini dí questo tempo.
Messaggio alla Diocesi
– A conclusione di questa intervista, con cui sul giornale chiudiamo la polemica, quale messaggio rivolge alla diocesi?
– Il messaggio che viene dal recente sinodo dei vescovi: convertirsi e riconciliarsi.
Le difficoltà che ci sono tra noi hanno sempre qualche radice dentro di noi.
Ma per esserne davvero convinti e comportarsi di conseguenza, non basta una qualsiasi autocritica, bisogna convertirsi, cioè rivolgersi a Dio e vedersi nella sua luce.
Allora si capisce che cosa è da Dio e che cosa è dall’ uomo, e che da Dio possiamo tutti rinascere nuovi, riconciliati e sereni, per riprendere il nostro cammino con umiltà e fiducia senza lasciarsi turbare da forse inevitabili… incidenti di percorso. Ai sacerdoti anzitutto, alle religiose e ai religiosi, ai laici, specialmente a quelli impegnati nelle attività della nostra chiesa, tutta la mia stima, la mia fiducia, il mio sincero affetto.
ST 362 Vescovo 84
NOTE:
In questo articolo il Vescovo Mons.Carlo Ferrari risponde chiaramente a tutte le lettere e gli articoli di disappunto mossi dai giornali locali, da sacerdoti e cittadini negli anni 1982/1984
1982 “La Gazzetta di Mantova” offre a Salvaterra lo spazio sulla pagina “Opinioni”
– 17 Luglio: Salvaterra – cronaca ed opinioni contro il Vaticano
– 25 Luglio: Salvaterra – le bugie logore …contro la chiesa
– 29 Luglio: Vito Giusti nella pagine delle lettere al direttore, se la prende con la chiesa e siamo al tempo di MarcinKus
– 1 Agosto : Il pievano: risponde a Giusti
– 5 Agosto: compare una vignetta senza firma : due vescovi con questo fumetto : “Gesù Cristo scacciò i mercanti dal tempio”; ” Non é che capisse molto di politica”
– 20 Agosto: Salvaterra parla di Montini, papa, a suo modo
– 29- 31 agosto: Salvaterra firma la cronaca della settimana pastorale ” Dimensione morale della vita cristiana nella società del benessere”
1983
– 3 Settembre: Salvaterra firma la cronaca della settimana pastorale “L’impegno della famiglia e della comunità cristiana per la promozione dei valori morali”
-9 Ottobre: Salvaterra su cronache ed opinioni scrive “Attento clericale”
– 16 Ottobre: Salvaterra: “Il peccato più grave” …quando ci si rifiuta di scendere dai palazzi vescovili
– 30 Ottobre: Salvaterra “Morti vivi e vivi morti”.. coloro che magari alla guida della chiesa locale trasformano la pace nel desiderio di non avere preoccupazioni…
-13 Novembre: Salvaterra “La pace, gli affari e Godot”…il clima di certe nostre realtà locali allo stile di vita spirituale delle nostre diocesi dove si vive in sogno la commedia del paradosso…una misura di chiesa oggi sicuramente assente…e intanto l’attesa diventa alibi per l’indifferenza, l’individualismo, la rinuncia, l’inerzia…Galleggiare nello spazio delle occasioni perdute…
– 27 Novembre: Salvaterra: L’alibi del diritto…a capo delle nostre diocesi sta chi non sa guardare all’oggi. Come pretendere che possa guardare il domani?…comandata da cadaveri eccellenti…
– 11 Dicembre: Salvaterra: un confronto senza ambiguità…nei nostri palazzi anche quelli intoccabili come la curia vescovile c’é gente che non si pente mai, avanza come testuggine, seminando i propri errori con insipienza o frustrazione, non importa, sulla pelle degli altri, preti o laici fa lo stesso, sfruttando l’abuso di autorità, eppure mai disposto a guardarsi indietro…Ci ci ricorda che “patientia opus perfectum” per chi? E fino a che punto?
-18 Dicembre: Lettere al direttore; “due domande a Salvaterra” di Dante Bettoni e Pier Luigi Leoni
– 20 Dicembre: lettere al direttore: risposta di Salvaterra (due colonne)
– 24 Dicembre: lettere al direttore; Solidarietà col vescovo del vicario e del consiglio presbiterale: Claudia De Santi e varie associazioni; Dante Bettoni e Pier Luigi Leoni
-27 Dicembre lettera di auguri del Vescovo ai mantovani
– Il vescovo, in seguito all’incidente nel viaggio di ritorno da Novi, dove si era recato dal cugino Oreste Ferrari morente, non era presente alle funzioni liturgiche del Natale Nota S.L.
– 29 Dicembre :lettere al direttore di don Aldo Bolzani ” pro o contro il vescovo?” e “otto preti di periferia che non firmano
– 31 Dicembre: lettere al direttore: 17 firme non pubblicate di persone solidali con Salvaterra
1984
– 3 Gennaio: lettere al direttore: “le polemiche sulla chiesa mantovana” di Orazio Virgili ; “lettera aperta ai responsabili della chiesa mantovana” con 18 firme che non ci sono.
Gli altri mantovani, contemporaneamente riempiono la pagina delle lettere al direttore: perché qualcuno ha ucciso una volpe e altri perché sono stanchi di questa volpe uccisa, la questione importante é sulla caccia ) (SL)
– 5 Gennaio: lettere al direttore: “un parroco di campagna sui problemi della diocesi” che non firma
– 8 Gennaio: lettere al direttore: chiedono un consiglio pastorale diocesano i laici delle parrocchie di città con 34 firme non firmate; Paolo Belladelli e Enzo Rossi dicono che é ora di fare chiesa in modo molto diverso- (Gli altri continuano con la volpe e con la caccia )
– 9 Gennaio: lettere al direttore: “Attesa della parola del Vescovo” di Aroldo Piccinini
-17 Gennaio: lettere al direttore: “Scrive un parroco di collina”: don Romano Tosetti
-19 Gennaio: lettere al direttore: “Scrivono due sacerdoti di città” 2 firme che non sono firmate; Giuseppe Pedrotti scrive “La chiesa mantovana e i problemi culturali”
– 22 Gennaio il vescovo Ferrari rilascia in esclusiva per la Gazzetta la intervista sopra scritta.
seguono le polemiche per la intervista rilasciata prima alla Gazzetta anzi che alla Cittadella (SL)
Stampa: “La Cittadella” del 29 Gennaio 1984
Stampa: “La Gazzetta di Mantova” 22 Gennaio 1984