Istanbul, 6-11 febbraio 1972 alla suore della scuola italiana
Speriamo che anche il sole contribuisca a chiarire le idee, cioè contribuisca a farci entrare nella Luce che é la sorgente di tutte le luci, per comprendere il progetto di Dio e per comprendere il posto che ognuno di noi ha nel progetto di Dio, perché dobbiamo prenderne coscienza e conseguentemente assumere l’atteggiamento giusto.
Non é la pietra che sceglie il suo posto nell’edificio, ma é il costruttore che destina il posto della pietra.
Noi, pietre coscienti e viventi, dobbiamo avere la preoccupazione di scoprire dove ci vuole porre il Signore nella edificazione del suo progetto, per capire quale funzione abbiamo nella costituzione del suo progetto per starci convenientemente. Abbiamo cercato di entrare – per quanto possibile – con sempre maggiore chiarezza nel vivo del progetto di Dio, di sentire la presenza di Dio che opera nel mondo cosmico, di sentire la presenza di Dio che opera nel mondo degli uomini, di sentire la presenza di Dio nel mondo della Chiesa per compiere nel suo Cristo la salvezza di tutti e di tutto.
Il suo progetto si attua decisamente nella Chiesa, perché la Chiesa é il tempo, lo spazio, il mezzo, dove Dio ci vuole portare alla comunione di vita con sé. Però a questa comunione di vita con Dio, noi ci arriviamo nella misura in cui abbiamo attuato una vera comunione di vita tra noi.
Abbiamo cercato di accostarci al significato della vita religiosa nella vita della Chiesa. Abbiamo tentato di scoprire il posto della vita religiosa della Chiesa e abbiamo concluso che la vita religiosa si pone nel fondamento, nel valore, nella funzione sacramentale della Chiesa.
La funzione sacramentale della Chiesa. La Chiesa é segno visibile. E’ storia. E’ segno di una realtà divina. E’ manifestazione storica di un disegno nascosto: quello della salvezza. Ma dove e come la Chiesa diventa segno e strumento della salvezza che Dio compie? Si pone proprio nel più intimo e più specifico della Chiesa che é la comunione: l’unità dei battezzati, l’amore dei figli della famiglia di un unico Padre. La vita religiosa, che é vita di Chiesa nel senso più autentico, più profondo e più concreto,deve essere concepita come vita di comunione fraterna e questo non per corrispondere ad un ideale di vita morale o ad un certo ideale di perfezione, ma per corrispondere ad un preciso progetto di Dio.
Al n.9 della Dei Verbum si legge: “In ogni tempo e in ogni nazione é accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia. Tuttavia piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse”. Il progetto di Dio sta qui: ci vuole salvare con gli altri, uniti agli altri. Ci vuole salvare come popolo, come figli dell’unica famiglia, come membra di un solo Corpo, come tralci di una sola Vite, come pietre di un unico Edificio.
Se noi non siamo una pietra che si cementa con tutte le altre pietre dell’edificio, Se noi non vogliamo essere tralci che si uniscono agli altri tralci della stessa vite, Se noi non siamo membra che si inseriscono organicamente nell’unico Corpo, Se noi non siamo membri dell’unico Popolo di Dio, noi non ci salviamo,perché Dio non concepisce la salvezza in questo modo.
Mi pare che ci sia da fare la stessa osservazione tra il passato e il presente. Quante prediche abbiamo fatto e voi avete sentito, sulla salvezza dell’anima! Intanto, non si salva l’anima ma la persona! Questa insistenza sulla salvezza dell’anima rivela un modo di concepire molto individuale per cui ognuno pensa per sé.No! Iddio non concepisce la salvezza così. Iddio ci salva personalmente.
Quando noi diciamo che Dio ci salva personalmente dobbiamo avere chiaro il concetto di persona. Uno é persona nella misura in cui attua dei rapporti con gli altri. Un individuo ha tanta personalità quanta capacità ha, di stabilire dei rapporti, dei legami con gli altri. Se un individuo ha tutte le doti dell’intelligenza e dell’espressività, ma non comunica con gli altri e non è capace di stabilire dei rapporti con gli altri, non ha personalità. In un certo qual senso, almeno su un piano esistenziale, non é nemmeno una persona perché, persona significa relazione agli altri.
La nostra teologia, quando ha tentato di scrutare il mistero della Santissima Trinità per definire la persona in Dio, ha trovato l’espressione “relatio ad”. Il Padre é relativo al Figlio. Il Figlio é relativo al Padre. Lo Spirito Santo é relativo al Padre e al Figlio. In questo essere “relativo ad” sta la persona in Dio. Noi abbiamo trasferito questo concetto così profondo – anche se speculativo – nel campo dell’esistenza umana, e abbiamo detto che: Uno é persona in quanto é riferito ad un altro, e in quanto questo trasferimento ad un altro, lo sviluppa in se stesso.
Anche la nostra perfezione l’abbiamo concepita come una perfezione individuale. Ci siamo sempre domandati: quante volte ho fatto questo oppure non l’ ho fatto? Noi abbiamo condannato i protestati perché volevano trattare da soli con Dio e non con la Chiesa, poi praticamente di fatto, siamo noi che abbiamo stabilito i nostri rapporti unicamente con Dio e non anche con i nostri fratelli.
Se, ci accusiamo di qualche mancanza di carità… paradossalmente, se uno “ne ha dette di tutti i colori” contro il suo prossimo, questo è giudicato solo un peccato veniale! Se ha detto una bugia grande come santa Sofia, é solo un peccato veniale! Per cui si é arrivati all’assurdo morale di affermare che la bugia non può mai essere peccato mortale e che qualsiasi mancanza nel campo della castità é sempre peccato mortale. Non dico che non ci siano peccati mortali da una parte e anche dall’altra, ma non é concepibile che il buon Dio abbia posto un comandamento, tra i dieci, che dice di non dire il falso e che non porti con sé nessuna conseguenza grave, moralmente parlando. E quando io mi trovo dinnanzi ad una persona che mi appare diversa da quello che é, perché non é vera, perché non é sincera, cosa devo pensare?
Volevo far rilevare che in noi, così come siamo stati formati ai nostri tempi, quando le preoccupazioni erano quasi esclusivamente spiritualistiche e non c’era la preoccupazione comunitaria ecclesiale mancava la dimensione per riferire la propria perfezione al comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri; in questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi volete bene. Vi comando di volervi bene.
San Giovanni in assemblea ripeteva:- miei piccoli Figlioli vogliatevi bene-. E gli domandavano:- non hai più niente da dirci?- -No, cari, perché questo é il precetto del Signore. Quindi, questo é costitutivo della Chiesa. Questo é costitutivo del progetto di Dio. Questo sta nell’intimo della volontà di Dio: che noi ci vogliamo bene e che ci vogliamo bene come ci ha voluto bene nostro Signore Gesù Cristo, e Gesù Cristo ci ha voluto bene al punto che ha dato tutto se stesso per noi. Così noi dobbiamo concepire la vita ecclesiale e conseguentemente la vita cristiana, perché vita ecclesiale e vita cristiana é la stessa vita.
Ma noi stiamo tentando di trovare il “quid” specifico della vita religiosa. Abbiamo detto che il fondamento della vita religiosa sta nell’essere espressione della vita ecclesiale. Abbiamo detto che il fondamento della vita religiosa sta nell’essere segno di fondarsi nella vita ecclesiale. Fondarsi nella vita ecclesiale vuole dire fondarsi nella vita comunitaria. Fondarsi nella vita ecclesiale vuole dire fondarsi in una esistenza di amore vicendevole. Il valore della vita religiosa deriva dal valore della vita ecclesiale. C’é tanto valore di vita religiosa quanto valore c’é di realtà ecclesiale, cioè: di realtà di amore vicendevole, di realtà di vita comunitaria, di realtà di unità nella carità, quindi, la funzione della vita religiosa é di edificare la comunità e di esprimerla.
Prima di tutto di edificare la comunità.
Il contenuto fondamentale: ciò che dà valore alla vita religiosa, ciò che giustifica la vita religiosa, ciò che la rende utile, ciò che le conferisce uno scopo, ciò che le dà una ragione di essere, sta qui: essere espressione particolare o tipica della vita ecclesiale.
Capite che noi non parliamo di consigli evangelici e di voti religiosi? A questo proposito, quante volte la vita religiosa é stata definita dai consigli evangelici e dai voti religiosi! Anche i voti religiosi bisogna capirli al loro posto. Nel Vangelo leggiamo: “Abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito”! Abbandonare tutto é la condizione per seguire.
Seguire é la sostanza. Realizzare la vita comune é sostanza. Togliere gli impedimenti, perché la vita comune sia possibile, é un mezzo, é una condizione. Sono contento di essere sostenuto in questo dall’autorità del Papa il quale nel discorso alle superiore generali del 11-2-69 ha detto con chiarezza che i voti religiosi sono un mezzo che, invece, la carità é il fine. Il fine è l’amore per i fratelli, è l’amore per tutti gli uomini. E aggiungeva: è l’amore per tutte le creature. E citava san Francesco. C’é un inno all’amore in quella lettera. Il Papa sa essere anche lirico! Ecco, la bellezza della vita religiosa sta in questa capacità di amore. Il Papa parla di gioia di amare. Se c’é una gioia nella creatura umana, questa gioia deriva dal fatto di amare e di essere amati.
Non bisogna contare quante ore si deve stare in silenzio, quanti “Pater noster” bisogna recitare e quante altre cose bisogna fare! Sì, bisogna fare tutto questo perché questi sono i mezzi per arrivare all’amore, cioè, alla liberazione di tutto l’egoismo, per essere tutto “ad” per gli altri. Ma sono mezzi! Quindi, i voti bisogna inquadrarli convenientemente e scoprire la loro funzione nella vita della Chiesa, nella vita religiosa.
La vita religiosa deve essere segno e strumento dell’unità nella carità. Deve essere evidente. Deve essere constatabile che ci sono persone, che hanno scelto di stare insieme perché si vogliono bene. Guardate che il più grave scandalo nella Chiesa sono i cristiani che non si vogliono bene. Pensate ai problemi dell’ecumenismo così vivi in questi tempi. E’ uno scandalo! Credono in Gesù Cristo, credono che Gesù Cristo é morto per loro, credono che c’é un solo Padre che sta nei cieli e poi non si possono vedere! Ciò si verifica nell’ambito delle chiese. Se questo si verifica nell’ambito della parte più autentica, più profonda, più essenziale della Chiesa, lo scandalo é tanto più grave. Quando tra noi preti non ci vogliamo bene, la gente non ci crede.
Anche se voi avete tutta la carità per gli ammalati o per i bambini, se si accorgono che non volete bene alle consorelle, non vi credono. Vi sfrutteranno ma in ordine alla fede, in ordine ad essere segno perché credano, quello che voi fate non vale niente. La preghiera di Gesù é questa: “che siano una cosa sola perché il mondo creda” e se noi non siamo credibili non possiamo neppure pretendere di essere seguiti.
Dov’ é il punto di credibilità della vita religiosa dal quale possono nascere le vocazioni religiose? Teologicamente, quindi con sicurezza , sta nel fatto delle suore che si vogliono bene, sta nel fatto delle suore che manifestano la gioia di volersi bene. Chi me lo fa fare di entrare in una congregazione dove non c’é la gioia di vivere perché l’amore manca? Dicono che le giovani non entrano in religione perché le suore portano certi vestiti! Sono vocazioni superficiali quelle che si fermano all’abito. La verità é che le giovani non vedono qualche cosa di più sostanziale che esse cercano e desiderano trovare.
La vita religiosa non si pone soltanto come segno dell’unità nella carità, come segno della vita e della santità della Chiesa, ma anche come sacramento e strumento. Il segno non soltanto manifesta ma opera, realizza e produce. La fecondità della vita religiosa deriva dall’amore. Il Concilio ha detto che la santità -e in particolare la vita religiosa- appartiene a quell’elemento che si chiama: la maternità della Chiesa.
La maternità della Chiesa deriva dal fatto che la Chiesa é sposa di nostro Signore Gesù Cristo, che la Chiesa dedicandosi totalmente a nostro Signore Gesù Cristo, come nostro Signore Gesù Cristo si è dedicato a lei, rinunciando al proprio egoismo per realizzare la vita di amore, è diventa madre. Non la Chiesa in astratto! Dové la Santa Madre Chiesa se quelli e quelle che dovrebbero esprimere la santità della Chiesa – religiosi e religiose- non hanno nessuna paternità e nessuna maternità perché non amano? Amano Gesù Cristo? Ma, Gesù Cristo é nei propri fratelli! E’ concretamente vicino nei lebbrosi del Benin, ma anche vicino nella lebbra della consorella con la quale vai a tavola… Strumento della edificazione dell’unità della Chiesa!
Tutto quello che fanno i religiosi serve per la edificazione dell’unità della Chiesa? Abbiamo bene davanti questo traguardo, questo elemento che non é nell’ordine dei mezzi ma nell’ordine dei fini? Dio vuole arrivare ad una comunione tra gli uomini che sia analoga alla sua comunione di Padre, Figlio, Spirito Santo. Abbiamo bene davanti a noi questo traguardo a cui Dio vuole arrivare? Quindi, anche le nostre opere le concepiamo in funzione di questa unità nella famiglia cristiana, nella famiglia umana? Quanta dispersione in tante opere che hanno un valore individualista e non un valore ecclesiale! Cioé nel senso di tendente all’unità, di tendente ad unificare: ad unificare i vescovi, i sacerdoti, l’azione cattolica, i focolarini, eccetera?
Mi pare che il criterio di giudizio e di misura sia questo:
serve all’unità della Chiesa?
Serve per alimentare la carità nella Chiesa e conseguentemente in mezzo a tutti gli uomini?
Serve conseguentemente ad inserirsi nell’unità di tutta la creazione?
Serve a togliere le conseguenze del peccato e portare le conseguenze della grazia di Dio, che sono le conseguenze dell’amore?
Sono interrogativi. Non é detto che io abbia svolto il tema. Mi sono limitato a dire che il fondamento, la funzione della vita religiosa, é relativo al significato di “segno”, di mezzo per l’edificazione della unità.
OM 438 Istanbul 72
Istanbul, 6-11 febbraio 1972