La santità è la vita
di quelli che vivono la vita di Dio
Quaresima 1966 – Cattedrale di Monopoli N° 7
Abbiamo ascoltato le parole cariche di serenità, di impegno, di esigenza, di sincerità che la Chiesa ci ha rivolto prendendo dall’Antico Testamento e dal Nuovo Testamento e tutto, le parole del Profeta e le parole di Gesù, fa intendere che i nostri rapporti con Dio e i rapporti con i nostri fratelli devono essere improntati a sincerità di sentimenti, non ad espressioni esteriori di tradizioni, di convenienza o d’altro. E queste stesse parole si intonano molto bene – perché sono sempre parole del Signore – a quelle che il Vescovo vuole rivolgere a voi questa sera, continuando a spiegare la costituzione sulla Chiesa.
Abbiamo parlato già abbastanza del popolo di Dio. Si potrebbe dire ancora molto, ma accontentiamoci di parlarne per un’ultima volta stasera.
Questo popolo di Dio è un popolo di consacrati, è un popolo di sacerdoti. La consacrazione ci trasforma e ci fa diventare figli di Dio e perciò ci impegna a far fare bella figura al Padre nostro che sta nei cieli, cioè a dare gloria a Dio.
La gloria, che il Padre nostro che sta nei cieli riceve da noi, non proviene dalla bontà della nostra vita, in altre parole, dalla santità della nostra vita. Perciò il popolo di Dio è un popolo chiamato alla santità. Ascoltate le parole della costituzione: “Tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla Gerarchia – il Papa, i Vescovi, i sacerdoti – sia che da essa siano diretti – quindi tutti i fedeli –sono chiamati alla santità, secondo il detto dell’Apostolo “Certo la volontà di Dio è questa, che vi santifichiate”. E’ chiaro che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità; l’insegnamento è solenne, è esplicito, quindi, non lascia dubbio alcuno. E questo insegnamento del Concilio è uno di quei punti che sono destinati a cambiare veramente le cose, a dare alla vita cristiana un altro corso, a creare nella Chiesa quella novità di vita che deve essere la conseguenza del Concilio.
Si può dire che è molto diffuso in mezzo ai cristiani il pensiero che basta salvarsi l’anima. E, basta salvarsi l’anima vuole dire l’avventura, il rischio, sperando che poi le cose vadano bene, che al momento buono – e sarebbe addirittura il momento della morte -si possa avere tanto spazio di tempo per mettere a posto le partite della propria coscienza.
E per il resto della vita? Speriamo nella misericordia di Dio! Ma notate che in pratica, per noi questa speranza nella misericordia di Dio equivale a: facciamo i comodi nostri, di Dio interessiamocene fino ad un certo punto, la sua volontà è una cosa, il nostro interesse, il nostro tornaconto, il nostro piacere, le nostre soddisfazioni, la nostra figura sono un’altra cosa, e perciò continuano praticamente in una vita di peccato!
Dobbiamo dire con tanta tristezza: quanti battezzati concepiscono la vita cristiana così e non si danno neppure premura, almeno di quando in quando, di mettere a posto le cose della loro coscienza, e non si fanno nessun scrupolo di non adempiere quasi mai i doveri che hanno verso Dio e conseguentemente i doveri che hanno verso il prossimo Anche quelle persone, che frequentano con una certa regolarità la chiesa, che per esempio assolvono il precetto della Messa festiva, il precetto della comunione pasquale non é che si preoccupino che la loro vita sia conforme a quella che converrebbe a dei figli di Dio, di Dio che è santo e non li sfiora neppure il pensiero: “Siate santi perché Dio è santo e questa è la volontà di Dio, che vi santifichiate”.
Sono delle persone che hanno un po’ di coscienza ed assolvono qualche dovere in più di coscienza ripeto – vanno alla Messa la domenica e si fanno il loro precetto; ma che cosa significa farsi il loro precetto? Non è che da quel precetto della Pasqua 1965 e della prossima Pasqua incomincerà una nuova vita più impegnatamente cristiana, più sinceramente cristiana e quindi dominata da un proposito di migliorare la propria condotta. Raramente avviene così nelle persone che si confessano soltanto a Pasqua. Per lo meno non esiste nelle loro prospettive di vita morale e di vita religiosa il pensiero che essi debbano farsi santi e dicono: -e da quando in qua dobbiamo farci santi?-.
La santità, i santi, sono stati sempre presentati come persone così fuori dalla vita, così fuori dalla esistenza comune, così straordinari che si ha un concetto sbagliato della santità e perciò non si pensa neppure al dovere di diventare santi. E,non è solo perché la santità è stata presentata come una cosa troppo straordinaria. E’ soprattutto perché il dovere della santità è stato ridotto, anche dalle esigenze della vita cristiana di coloro che frequentano la chiesa, per cui si è tanto sentito ripetere: -basta la fuga del peccato mortale, perché c’è pericolo di andare all’inferno, perché ci potrebbe capitare una disgrazia-. Quegli stessi movimenti, tanto lodevoli perché sono già un inizio di qualche cosa, come i ritiri di perseveranza, che cosa di propongono?< Si propongono di mantenere in grazia di Dio coloro che frequentano il ritiro, ogni mese. Il traguardo è lì: la grazia di Dio.
Che significa essere in grazia di Dio? Ecco un punto che è per lo meno una lacuna inconcepibile. Se io chiedo a qualcuno di voi che cosa vuole dire essere in grazia di Dio, so già la risposta che mi date: essere in grazia di Dio significa non avere peccati mortali nell’anima. I peccati veniali ci possono stare, ce ne possono stare tanti, tutti, pur di non commettere peccati mortali. Ecco, li c’è la grazia di Dio. E’ giusto? Io non voglio mettere degli scrupoli questa sera. Sì, fintanto che non c’è la morte della vita spirituale, non c’ è la morte! Ma quando uno ha tutte le malattie di questo mondo, ha tutto il suo organismo disfatto ed è attaccato da tutte le infezioni possibili, ci vuole altro che abbia ancora un filo di vita! Ci vuole altro che sia ancora vivo! Ci vuole altro che non gli si possa ancora fare il funerale! Ma è vivo quello?
Ora, vedete, questo modo di concepire le cose è conseguenza di pensare la santità come una cosa che non corrisponde alla vita, come a una serie di atti, di azioni particolari che magari abbiamo letto che compivano i santi e distacchiamo tutte queste azioni straordinarie che noi non possiamo compiere, dalla vera natura della santità cristiana che è quella che abbiamo descritto fino a questo momento:è quella comunione di vita che circola dal Padre al Figlio, dal Figlio al Padre nell’unico amore dello Spirito e alla quale noi siamo chiamati a partecipare.
“I seguaci di Gesù Cristo – dice la costituzione – chiamati da Dio e giustificati in Gesù Cristo non secondo la loro opera – notate, non lo dico io, lo dice il Concilio – ma secondo il disegno e la grazia di Lui (di Dio) nel Battesimo della fede, sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina e perciò realmente santi”. Capite che cos’è la santità? Che cos’è la santità cristiana? E’ una vita.
Noi abbiamo parlato nelle sere precedenti di una consacrazione che opera in noi lo Spirito Santo e questa consacrazione ci rende partecipi, attraverso l’azione dello Spirito Santo -che incomincia il giorno del Battesimo – della vita di Dio e perciò quelli che vivono la vita di Dio che hanno ricevuto nel Battesimo la devono, sempre con l’aiuto di Dio, mantenere, perfezionare vivendola. E questa è la santità.
La santità è nella sua radice, nella sua sostanza, nella sua essenza qualche cosa che Iddio, attraverso l’umanità santissima di nostro Signore Gesù Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, fa circolare nella nostra persona, immette nella nostra persona, comunica alla nostra persona, di cui la nostra persona diventa partecipe.
Quella vita, che costituisce la nostra consacrazione, non ci consacra come si consacra l’altare, la chiesa, il calice. L’altare consacrato rimane sempre una pietra e non è che acquisti maggiore consacrazione: è una cosa consacrata. Il calice consacrato rimane consacrato e non è che si consacri di più dicendoci dentro un maggior numero di Messe, perché è una cosa. E’ persino accaduto nella storia dei santi che per sfamare le persone hanno venduto le cose consacrate, ma non è mai accaduto che vendessero una sola persona per acquistare una cosa consacrata. Ma la consacrazione, da cui noi siamo stati santificati, – è una comunicazione di vita di Dio a noi che siamo dei viventi, – a noi che siamo delle persone, – a noi perciò che la vita dobbiamo sviluppare, far crescere, portare fino a maturità.
S. Paolo dice bene, e parla a persone anziane e non a dei bambini: adesso siete come dei bambini, siete appena nati dal Battesimo e perciò vi do degli insegnamenti come si conviene ai bambini, ma siete destinati a diventare persone mature non solo negli anni, ma nella vita spirituale, mature in quella vita che vi è stata comunicata il giorno del Battesimo. Già la Cresima è un sacramento di maturità cristiana che ci dovrebbe fare cristiani adulti. Ed è quindi nell’esercizio, nell’attività di questa vita soprannaturale che abbiamo ricevuto, che consiste la santità. Quindi la santità non è soltanto avere la grazia di Dio. Siccome la grazia di Dio è vita, questa vita deve crescere, deve perfezionarsi, deve svilupparsi, deve andare sempre verso una pienezza maggiore; e questa vita non è come la vita del corpo che man mano che si va avanti negli anni invece di andare verso ad una pienezza maggiore va verso una debolezza maggiore, è vita di Dio e man mano che ci avviciniamo a Dio deve diventare più vitale, deve diventare più robusta, si deve esprimere maggiormente.
Ecco allora che la caratteristica, la natura della santità cristiana è quella soprannaturale della grazia che viene data il giorno del Battesimo, che cresce e si può riacquistare anche attraverso l’azione degli altri Sacramenti e che deve arrivare fino alla perfezione di quella statura di persona adulta che deve essere ogni cristiano.
“Il Signore Gesù, Maestro e modello divino di ogni perfezione a tutti e ai singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione, ha predicato la santità di vita di cui egli stesso è autore, perché Lui ce l’ha comunica come la vite ai tralci, é perfezionatore di questa vita, e perciò dice Gesù “Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”. Ricordate che non dobbiamo mai far fare brutta figura al nostro Padre. Noi gli dobbiamo far fare bella figura per la nostra vita, perché dobbiamo essere perfetti come Lui è perfetto.
Continua la costituzione: “Mandò (Gesù) infatti a tutti lo Spirito Santo che li muova interiormente – che comunichi dall’interno la vita, che li muova internamente – ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze e ad amarsi a vicenda, come il Cristo ha amato loro.” Guardate che qui c’è tutto il cristianesimo e c’è tutta la perfezione della vita cristiana.
Guardate che la perfezione della vita cristiana non è amare Dio con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze e il prossimo nostro come noi stessi,con le nostre sole forze,con il solo nostro impegno, con il nostro solo sforzo, perché questo non è possibile.
Questo è possibile,perché lo Spirito Santo è nel nostro cuore e perciò ci rende capaci di amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze e ad amarci gli uni gli altri, come Cristo ha amato noi. E sappiamo come Gesù Cristo ha amato ognuno di noi: dando se stesso per noi perché nessuno ha un amore più grande di colui che dà la propria vita per coloro che ama.
Direte allora: la santità in noi la deve fare tutta lo Spirito Santo, la deve compiere tutta nostro Signor Gesù Cristo? E’ certo che senza di Lui, noi in ordine alla santità, non possiamo fare niente, ma Lui guarda a noi come a persone, come esseri razionali, intelligenti, liberi; guarda a noi e vuole darci il merito della nostra santità perché, un giorno, vuole darci il premio della nostra santità e allora ci chiama a collaborare con Lui perché possiamo raggiungere la santificazione nostra: la perfezione della vita cristiana.
In che cosa consiste questa nostra collaborazione? Ecco alcune cose che dobbiamo mettere bene nella nostra mente per non pensare alla santità come a cosa dell’altro mondo, di altri tempi, come cosa straordinaria riservata a poche persone. La santità si raggiunge compiendo il proprio dovere nei vari generi di vita. E’ la costituzione: “E nei vari compiti un’unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito Santo e, obbedienti alla voce del Padre e adoranti in spirito e verità Dio Padre, seguono Cristo povero, umile, carico della croce per meritare di essere partecipi della sua gloria. Ognuno secondo i propri doni e compiti deve senza indugio avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per mezzo della carità.
E’ chiaro a tutti che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità. Perciò li ammonisce l’Apostolo che vivano “come si conviene ai santi” e si rivestano siccome si conviene a eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza”…
Tutti i fedeli saranno quindi ogni giorno più santificati nelle loro condizioni di vita, nei loro doveri o circostanze, e per mezzo di tutte queste cose, se tutte le prendono con fede dalla mano del Padre celeste, e cooperano con la volontà divina, manifestando a tutti, nello stesso servizio temporale, la carità con la quale Dio ha amato il mondo.”
Perciò il vero discepolo di Cristo è contrassegnato dalla carità sia verso Dio che verso il prossimo, nell’adempimento del proprio dovere.
OM 29 Quaresima 1966