Indicazioni teologiche per una catechesi della santità
La santità è una realtà che già esiste e nella quale gli uomini sono chiamati ad entrare per diventarne i felici possessori e i responsabili testimoni davanti ai loro fratelli.
Solo Dio è Santo, e poiché nella libera decisione del suo sovrano e gratuito Amore ha stabilito di rendere gli uomini partecipi della sua vita, questi possono e debbono essere santi: ” Siate santi perché io sono santo ” (1 Pt 1, 16; cf Lv 11, 44-45).
I santi, i quali non sono altro che i figli di Dio, nascono dal Padre (cf Gv 1, 12-13), perché il Padre li ha eletti ad essere santi e immacolati agli occhi suoi e per puro amore li ha predestinati ad essere da Lui adottati in figli, per mezzo di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà, a lode della magnificenza della sua grazia, della quale li ha ricolmati nel suo Diletto; nel sangue del quale sono stati redenti e hanno avuto la remissione dei peccati, secondo le ricchezze della grazia profusa in abbondanza su di loro; sono stati costituiti eredi delle ricchezze della sua gloriosa eredità, preparata appunto per i santi con la sovraeminente grandezza della sua forza, quale ha dimostrato così energicamente a riguardo di Gesù Cristo risuscitandolo da morte e facendolo sedere alla sua destra nei cieli. Così ai suoi figli, che erano morti per i peccati e figli dell’ira, il Padre ridiede la vita, insieme con Cristo e con Lui li risuscitò e li fece sedere nei cieli. E questo perché Dio è ricco in misericordia e ci ama mosso da una immensa carità, così che saremo salvati, ma per grazia, perché tutto questo non viene da noi: è dono del Padre; così che non siamo più degli stranieri e degli ospiti, ma concittadini dei santi perché membri della famiglia di Dio (cf Ef 1 e 2).
Davanti a questa prospettiva ricavata da un solo documento della Rivelazione (la lettera agli Efesini) che la Costituzione sulla Chiesa richiama più di una volta, cadono molte concezioni errate e incomplete che avevamo e forse ancora abbiamo sul modo di concepire e presentare la santità.
Nel pensiero di Dio la santità non è un fenomeno straordinario riservato a pochi privilegiati, ma è la condizione comune di tutti i figli suoi. La santità cristiana non è una invenzione degli uomini, ma la conseguenza del sovrabbondante amore di Dio e frutto della inesauribile efficacia della sua grazia. La santità non consiste in una qualsiasi perfezione morale degli atti umani, ma nella perfezione della carità che Dio diffonde nei nostri cuori e che deve animare tutte le nostre azioni. La santità da parte della creatura consiste nell’esercizio della fede, della speranza e della carità (doni di Dio!) con cui si incontra con Dio e aderisce alla sua azione fino alla comunione più intima con la sua vita.
Padre Haring dice che la Costituzione a Lumen gentium ” ha inferto un colpo mortale al pelagianesimo che serpeggiava largamente e serpeggia ancora nella concezione della vita cristiana. Speriamo che sia la fine anche di quel conseguente moralismo su cui normalmente si imposta la vita morale e ascetica che la nostra catechesi proponeva fino ad oggi ai fedeli, dando quella visione frammentaria della vita cristiana che va da una specie di ginnastica psicologica a un devozionismo sacramentale, senza un vitale inserimento nel Piano di Dio e senza aggancio alla sua azione salvifica.
Si è tentati di affermare che manca, a base di tutto, una salda sicurezza che Dio vuole fare santi i suoi figli e che ne è capace; di conseguenza, da una parte si fanno tutti i possibili tentativi per procurare agli uomini le possibilità di non dannarsi, e dall’altra si guarda la santità come un’ipotesi che potrebbe anche eventualmente verificarsi.
E’ indispensabile e urgente che non si continui più a fare distinzione tra salvezza e santità, cioè tra vita semplicemente e veramente cristiana e santità, e che perciò la catechesi si muova dalla visione del Piano salvifico che ha come nota dominante l’Amore e la Misericordia di Dio; ma accentuando il fatto che questo Amore e questa Misericordia, appunto perché sono di Dio, sfolgorano della nota di quella ricchezza e di quella forza di cui non si può misurare né la larghezza né la lunghezza né l’altezza né la profondità, e di conseguenza sono capaci, al di là di quello che possiamo pensare o desiderare, di attuare tutto lo stupendo proposito della sua Volontà.
Gesù Cristo Sorgente e Modello di santità
Il centro del Piano di Dio, il quale chiama alla santità i suoi figli, è Gesù Cristo. In Lui infatti ci elegge perché siamo santi e immacolati, ci predestina ad essere suoi figli nel Figlio suo, ci ricolma della sua grazia nel Diletto, nel sangue del quale siamo redenti e purificati dai nostri peccati e diventiamo eredi di Dio perché coeredi di Cristo, nello stesso Cristo siamo segnati col sigillo dello Spirito Santo, e con Cristo ci risuscita e ci fa sedere nei cieli (cf Ef 1 e 2).
Tutti abbiamo avvertito come la Costituzione dogmatica sulla Chiesa sia cristocentrica; non poteva essere diversamente per la santità che, come è stato da altri detto, è una nota che soggiace a tutta la Costituzione.
Il Padre, secondo il consiglio della sua Volontà, ha stabilito di comunicare la sua vita nel Figlio suo, il Diletto e il Primogenito.
La Rivelazione però non propone il Figlio di Dio come un modello perfetto da imitare solo moralmente; ce lo propone da riprodurre vitalmente, in modo mistico, cioè attingendo alla sua stessa vita e conformandoci alle sue disposizioni, che Egli stesso comunica a noi, anche se non senza un nostro apporto.
Gesù Cristo è mandato nel mondo dal Padre perché salvi il mondo (cf Gv 3, 17), ed Egli viene perché gli uomini abbiano la vita in modo sovrabbondante (cf Gv 10, 10); Egli in persona è la vita (cf Gv 11, 25; 14, ó). Egli è la vite vera e i tralci non possono portare frutto se non rimangono uniti alla vite (cf Gv 15, 1-5).
Il Cristo vivente è il modello anche di quelle disposizioni morali e di quel comportamento che i figli di Dio devono riprodurre: le disposizioni interiori e la capacità di assomigliare nella nostra esistenza al Figlio di Dio nascono cioè da quella vita di Cristo per cui noi viviamo e siamo figli di Dio.
Anche qui bisogna bandire ogni naturalismo moralista. La vita che attingiamo da Cristo è vera vita, con un suo essere e un suo agire; la grazia e le virtù, per usare delle espressioni correnti, diventano una seconda natura (sopra-natura) in tutto analoga a quella che abbiamo dalla nascita; con la differenza che una deriva dal sangue e dalla carne e l’altra da Dio per mezzo di Gesù Cristo; il modo di esistere però è vitale, organico: nasce dal di dentro, si svolge attraverso il movimento delle facoltà, si sviluppa, si consolida, matura nel dinamismo delle facoltà stesse: della conoscenza (fede, doni dello Spirito Santo e virtù morali infuse conoscitive), dell’amore (carità, ecc.) e dell’azione (speranza, ecc.). Però ciò che va tenuto presente è il fatto che questa è vita di Dio in noi e azione sua.
Ecco quindi che la vita cristiana va presentata come una partecipazione reale ai Misteri di Cristo, in particolare al Mistero Pasquale della sua morte e risurrezione e a quella che possiamo chiamare l’anima di tutti i Misteri di Cristo: alla sua Carità.
L’umiltà, la dolcezza, la povertà, la purezza, l’abnegazione dell’ubbidienza e fra tutte la carità verso il Padre e verso gli uomini sono espressioni dell’esistenza terrena storica di tutto il Mistero che è il Cristo; sono esse stesse dei Misteri, cioè dei fatti carichi di forza divina, nel senso della indicazione esemplare e nel senso della capacità vitale a cui dobbiamo attingere.
Il Padre si compiace nel suo Diletto, immagine perfetta della sua Sostanza, in tutto conforme alla sua volontà, e vede in Lui quelli che ha chiamato a essere conformi all’immagine del Figlio suo e che del Figlio dilatano la vita e le opere nel tempo e nello spazio.
Di qui prende senso l’espressione che il cristiano è un altro Cristo. E’ un senso vero fin dal momento del Battesimo e che si conserva a patto che il cristiano sia un tralcio che porta frutti.
Lo Spirito di santità
Per una catechesi e una pastorale della santità è decisiva la teologia della Terza Persona della SS. Trinità.
La Storia della Salvezza coincide, come si esprime la Rivelazione, con il momento dell’azione nel mondo delle Divine Persone: il Padre concepisce, rivela, prepara il Piano, il Figlio lo attua, lo Spirito Santo lo porta a compimento. La santità, che è la realizzazione perfetta del Piano di Dio avvenuta nel Figlio, è compito specifico della Missione dello Spirito Santo.
Gesù dichiara espressamente che è necessario che Egli ritorni al Padre, perché possa venire lo Spirito che Lui e il Padre manderanno (cf Gv 14, 26; 16, 7). Gesù Maestro attribuisce allo Spirito Santo il compito di insegnare, di illuminare, di conferire la forza per testimoniare il suo insegnamento {cf Gv 15, 26-27).
Il nuovo Popolo di Dio nasce dall’effusione dello Spirito Santo (cf At 2), come era stato predetto dai Profeti (Ez 36, 26-27). Gli Atti degli Apostoli e le Lettere sono chiamati a buon diritto ” il Vangelo dello Spirito Santo “.
Se non si tiene nel dovuto conto e non si mette in luce la Missione dello Spirito Santo, fatalmente si spersonalizzano le azioni con cui la Chiesa svolge il suo Ministero, si privano di una Presenza e di una Efficacia che sono il- loro reale e insostituibile contenuto.
La funzione profetica nella sua realtà profonda corrisponde al compito dello Spirito di Verità (cf Gv 14, 17), di introdurre gli uomini in tutta la Verità (cf Gv 16, 13), illuminandola e illuminando la loro mente. E’ dalla virtù, cioè dalla forza operativa dello Spirito Santo che la Parola diventa nella esistenza degli uomini Parola di verità, di vita, di riconciliazione, di grazia; cioè produce tutti questi doni.
Ne consegue che la santità è quella vita divina che nella Parola ha la sua radice nativa (cf Rm 10, 17) che si chiama la fede; è per la Parola che la fede cresce e si diffonde (cf At ó, 7), ed è ancora dalla Parola che la vita dei figli di Dio è nutrita (cf Mt 4, 4). La Parola, sotto l’azione dello Spirito Santo, è Gesù Cristo vivo e presente che si stabilisce in ogni credente (cf Gv 14, 23; Ef 3, 17; 2 Cor 13, 5) e che lo rende santo (cf Gv 15, 3).
Questo è il motivo per cui la funzione profetica ha un insostituibile primato tra i compiti degli Apostoli e che il Concilio rivendica con tanta chiarezza fin dalla sua prima Costituzione sulla Sacra Liturgia (aa ó.9.35). Quindi se da una parte indica la preminenza di un dovere pastorale, dall’altra mette in luce l’importanza della Parola nella edificazione della vita cristiana, cioè della santità.
La fede è ordinata ai Sacramenti, e tra fede e Sacramenti si stabilisce un influsso misterioso che pervade e anima tutta la vita soprannaturale. La relazione dei Sacramenti con lo Spirito Santo è quella di agente e strumento.
Nel Battesimo si nasce dall’acqua e dallo Spirito Santo; nella Cresima lo Spirito Santo ci rende capaci di maturare come figli di Dio adulti; nella Ordinazione Sacra ci fa strumenti della sua comunicazione; nella Penitenza ” Egli stesso è la remissione dei peccati ” (cf Oratio super oblata, lunedì di Pentecoste); nella Unzione degli infermi è Lui stesso la nostra riconciliazione, la nostra sicurezza e la nostra pace; soprattutto nell’Eucaristia opera la presenza reale di Gesù morto e risorto e ci introduce, per mezzo della carità, alla partecipazione del Mistero Cristiano per eccellenza.
Dimenticare che le azioni sacramentali sono le azioni stesse di Cristo, che Egli compie nello Spirito (cf Cost. Lit. a 7), significa ancora privarli del loro elemento personale dinamico. E come la Parola senza lo Spirito è pura lettera, cioè semplice dottrina che tutt’al più può produrre cultura e non vita soprannaturale, così i Sacramenti, qualora non si considerassero come azioni dello Spirito Santo, rischierebbero di decadere al livello di azioni magiche o a semplici occasioni di devozione e perderebbero il ruolo divino di strumenti della potenza incontenibile dell’Amore gratuito di Dio che ci salva.
Lo Spirito Santo, come è Protagonista della funzione profetica e sacerdotale, così è l’Anima della santità cristiana nella funzione regale.
Gesù Cristo Re è il Signore di tutte le creature del cielo e della terra perché il Padre, nel disegno della sua benevolenza, ha stabilito di assoggettarle a Lui (cf Ef 1, 10.22); è Signore di tutte le genti perché le ha redente con il suo sangue (cf Ap 5, 9-10); è Signore perché non è venuto a dominare ma a servire e a dare la sua vita (cf Mt 20, 28) come segno insuperabile del suo amore (cf Gv 13, 1) per i fratelli e amici suoi (cf Gv 15, 13-15). Così che la carità del Padre e del Figlio costituiscono l’autentica sovranità del Dio della Salvezza.
E’ un capovolgimento di prospettive, di atteggiamenti e di comportamenti. E’ la legge nuova dello Spirito che Iddio avrebbe dato nei tempi messianici`e che avrebbe comportato un cuore nuovo e uno spirito nuovo (cf Ez 36, 26-27). E’ qualche cosa di completamente nuovo nella realtà dell’esistenza umana. E’ Dio che non è più in mezzo ai suoi nella Tenda o nel Tempio e neppure semplicemente nella Umanità del suo Figlio che ha preso dimora fra gli uomini; sono gli uomini che diventano ad uno ad uno e nella vicendevole unione la dimora di Dio nello Spirito per mezzo della carità (cf 1 Gv 4, 12; 1 Cor 3, 16).
La carità, vincolo.di perfezione e compimento della legge, regola tutti i mezzi della santificazione, dà loro forma e li conduce a compimento. Perciò, il vero discepolo di Cristo è contrassegnato dalla carità sia verso Dio che verso il prossimo (cf Cost. Lumen gentium, a 42).
Qui forse si tocca il nodo della catechesi della santità; non solo affermando che la perfezione consiste nella carità, ma decisamente nel tener presente che la carità è una cosa che fa Dio in noi. ” La carità è largamente diffusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo ” (Rm 5, 5).
Dunque, lo Spirito Santo è Colui che anima i nostri cuori di quella nuova e divina capacità di amare che si chiama carità. Ancora una volta, non si tratta principalmente di capacità e di sforzi morali; si tratta dell’azione di Dio in noi; è ciò che S. Paolo esprime contrapponendo a le opere della Legge ” e ” le opere della Fede ” (cf Rm 3, 21-28; Ef 2, 10). Noi siamo salvi (santi) perché Dio ci salva, perché Egli è in noi e la sua carità ci tiene al sicuro da ogni strappo che ci potrebbe separare da Lui (cf Rm 8, 35-38).
Quando però la Rivelazione ci parla della carità, mentre svela l’azione con cui Dio ci lega a Se stesso, ci fa ugualmente intendere che lo stesso legame, che nasce da Dio, deve raggiungere i nostri fratelli. La carità cristiana, mentre è dono di Dio e conduce a Dio, passa attraverso gli uomini. Dio vuole essere amato nei suoi figli: chi non ama i propri fratelli non ama Dio (cf 1 Gv 4, 12, 20-21).
La Chiesa e la santità
Il Concilio Vaticano II° è eminentemente ecclesiologico; ha fatto luce sul Mistero della Chiesa come nessun altro Concilio; dalla sua dottrina scaturirà con una evidenza nuova il rapporto del Mistero Trinitario col Mistero della vita della Chiesa, cioè della santità.
Non solo la Chiesa deriva nella sua esistenza storica dalla presenza nel mondo dell’azione delle Divine Persone; ma tutta la sua realtà soprannaturale è definita dal rapporto di vita con ciascuna di esse, che ha la sua motivazione nel loro Amore e ha come frutto la Salvezza, cioè la santificazione.
La Chiesa preparata dal Padre, fondata dal Figlio e diffusa dallo Spirito Santo è il Popolo di Dio, la Vigna del Signore, la sua Casa o Città, la sua Sposa, il Corpo di Cristo. Si tratta di tante figure che esprimono altrettanti atteggiamenti del Dio della salvezza verso gli uomini che vuole salvare.
Iddio è Padre: vuole di tutti gli uomini costituire una sola Famiglia, dove molti saranno una sola cosa, una sola persona (cf Ef 2, 15-16; 4, 4); non c’è posto nella Chiesa per le ristrettezze dell’individualismo: la sua legge è la carità, tanto che la carità si può ritenere come l’elemento immediato della sua vitalità e quindi come la caratteristica specifica dei suoi membri, che li fa riconoscere davanti a tutti come discepoli del Cristo (cf Gv 13, 35).
Dio è Figlio: è il Primogenito di molti fratelli che ama il Padre e ha amato i suoi fino a dare se stesso, perché siano una cosa sola con Lui e tra di loro e ha lasciato come suo precetto quello di amare come lui ha amato. Egli è il Pastore che dà la vita per il gregge, lo difende e lo porta ai pascoli buoni e conosce ognuna delle sue pecore per nome; Egli è la vite vera che rende fecondi i tralci che rimangono in Lui; è Lui il Capo della Chiesa che costituisce il suo Corpo.
Dio è Spirito Santo: è l’Anima della Chiesa, Corpo di Cristo; è l’Amore sostanziale del Padre e del Figlio che si riversa nella Chiesa, Sposa che il Padre ha preparato per il Figlio e che il Figlio ama, purifica nel proprio sangue e rende immacolata e santa e adorna di tutto lo splendore della Gloria di Dio. Questo Popolo, questo Gregge, questa Sposa è il Tempio santo di Dio nello Spirito (cf Ef 2, 20-22) è il Tabernacolo di Dio fra gli uomini (cf Ap 21, 3).
Il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo sono un Dio solo: la Chiesa è coinvolta dalla espressa volontà di Dio nelle conseguenze di questa unità della Natura divina: a che siano una cosa sola come tu, o Padre e io siamo uno solo ” (Gv 17, 21); e ciò si verifica quando l’amore che Iddio ci dona rimane in noi Ecco la nota dell’unità, il motivo e il fine dell’ecumenismo. La Chiesa è ugualmente coinvolta con le Relazioni per cui Dio esiste in Tre Persone: la dignità incomunicabile di ogni persona nella Chiesa, nella quale tutti devono essere accolti con gli stessi diritti e doveri: ecco la Chiesa cattolica. L’unità delle divine Persone è la piena partecipazione ad una unica vita che la Rivelazione chiama Carità: ” Dio è Carità ” (1 Gv 4, 8.16). La Chiesa è il luogo, è il momento della ineffabile partecipazione a questa vita e a questa natura divina che costituisce la sua santità. Finalmente, lo Amore infinito di Dio è la spinta che determina le missioni delle Divine Persone nel mondo per salvare gli uomini. Ecco l’impulso missionario: dai Dodici che furono con Gesù e mossi dallo Spirito Santo raggiunsero tutto il mondo, fino agli apostoli odierni che ai Dodici succedono e nella Chiesa dirigono con sicurezza ed efficacia tutti gli uomini verso la salvezza.
La Rivelazione mette in chiaro risalto un elemento imponentissimo della vita di Dio che chiama ” Gloria “. Tutto nella storia della Creazione e della Salvezza è ordinato alla Gloria di Dio, e la glorificazione che Iddio attende dagli uomini è quella della santità.
Non è possibile sviluppare qui il tema della Gloria di Dio e della conseguente glorificazione che diventa il dovere fondamentale della creatura. Bastino alcuni richiami tratti dalla Rivelazione stessa.
Quando Dio convoca i figli d’Israele a stare insieme alla sua presenza per sancire l’Alleanza, definisce il suo Popolo: ” voi sarete per me un regno di sacerdoti, gente santa ” (Es. 19, ó); e Pietro dice a sua volta del Popolo nuovo: ” stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa “, perché destinato a formare ” un tempio spirituale per un sacerdozio santo, per offrire spirituali sacrifici ” (1 Pt 2, 9 e 5; cf Ef 1, ó.12.14).
Una conclusione supposta da queste indicazioni è che la santità cristiana è eminentemente comunitaria e cultuale.
Esiste un momento forte della vita della Chiesa in cui tutti gli elementi della sua storia, della sua realtà soprannaturale, del suo dinamismo vitale, santificante e cultuale sono singolarmente presenti e operanti: la celebrazione liturgica [2]
La santità, qui in terra, è frutto della iniziativa di Dio e della sua azione in noi, ha come centro e modello Gesù Cristo, come autore lo Spirito Santo, come mezzi la Parola e i Sacramenti, come anima la Carità, come fine la lode della Gloria di Dio in mezzo agli uomini.
Responsabilità e impegno di santità
S. Paolo, geloso difensore della gratuità della salvezza, fa eco all’insegnamento di Gesù: ” senza di me non potete fare nulla ” (Gv 15, 5), e spinge le sue affermazioni fino al paradosso; tanto che se non si colgono nel significato di tutto il contesto del suo insegnamento si conclude alla ” fede senza le opere “.
L’Apostolo vive nel clima sfolgorante della vicinanza anche temporale del Mistero della Risurrezione, dove la Potenza di Dio si è manifestata così imponente da sconvolgere tutte le misure di proporzione. Tra la parte dell’azione di Dio nella nostra salvezza e la nostra parte c’è una tale sproporzione che la seconda quasi svanisce nella oscurità del mistero. Tuttavia, proprio S. Paolo definisce la nostra responsabilità nella fede, secondo l’insegnamento del Maestro: ” Chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato ” (Mc 16, 16); come pure il nostro impegno: ” Noi invero siamo fattura di Dio, essendo stati creati in Gesù Cristo, per compiere le opere buone che Dio predispone, affinché noi le pratichiamo ” (Ef 2, 10).
Venendo al nodo essenziale della vita cristiana, afferma senza ambiguità: ” Solo se saremo partecipi alla Passione saremo anche glorificati ” (Rm 8, 17). Sul tema della abnegazione basti richiamare Flp 2, 7ss: ” Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù… “. Infine, S. Paolo è inequivocabile sul tema della carità.
E’ certo che Dio, nel Figlio suo e nello Spirito Santo, Autore e Consumatore della vita cristiana (cf Eb 12, 2), la offre alla nostra scelta e alla nostra decisione responsabile.
Come ci può essere vita di fede, vita cristiana e quindi santità quando la libera decisione della volontà non è in grado di impegnarsi?
Si sa che quando si porta il discorso sul tema della libertà si possono anche suscitare delle apprensioni. Ma come può avvenire che l’uomo s’impegni col suo Dio, Creatore e Salvatore, fino al punto di abbandonarsi incondizionatamente all’azione del suo Amore, se non dispone totalmente di se stesso?
Se Dio accondiscende a stabilire l’Alleanza col suo Popolo e Gesù Cristo propone l’ingresso al suo Regno e alla perfezione a coloro che ” vogliono ” (cf Mt 19, 17.21; 16, 24; Lc 9, 23), è fuori dubbio che intende impegnare la libera decisione delle sue creature.
Gesù Cristo allo stesso modo che afferma la libertà e gratuità della vocazione alla salvezza (Parabola degli operai, Mt 20, 1 ss), così ci impegna totalmente a corrispondere ai suoi doni gratuiti e a cooperare alla sua azione con cui vuole salvare noi e per nostro mezzo tutto il mondo (Parabole dei talenti e della vite, Mt 25, 14ss; Gv 15, 1-8); soprattutto ci impegna nella carità verso i fratelli con un precetto “nuovo”, “distintivo” e specificamente “suo” (cf Gv 13, 34-35; 15, 12). Rimane perciò fuori dubbio che nella vita cristiana non basta ” vegetare ” (tralcio infruttuoso) o custodire i doni del Signore (un talento); inesorabilmente bisogna portare ” molto ” frutto e ” trafficare ” i talenti ricevuti. Non basta essere in grazia, come solitamente ci esprimiamo, non metterla in pericolo, custodirla, difenderla; la vita va vissuta e in tutta la sua intensità ed estensione. Dio va amato con tutto il cuore, tutta la mente e tutta la forza, e il prossimo va amato come lo ha amato Gesù Cristo, ” in finem “.
CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli
Stampa: Via Verità e Vita ” La vocazione alla santità nella chiesa” -numero unico- Dicembre 1965, EP.-
per questo argomento rimandiamo il lettore al n. 3 della Rivista Via, Verità e Vita (1965), p. 5: ” Convocazione del Popolo di Dio in assemblea liturgica”.
ST 202 Parola 1965