Santa Teresa 16 novembre 1968 giorno di ritiro con i sacerdoti
La Chiesa che parla c’insegna quale deve essere il nostro atteggiamento nei confronti del Signore in mezzo agli uomini. Tutto questo è stato espresso con le parole del salmo: “Cantate al Signore un cantico nuovo perché ha compiuto prodigi”.
Noi siamo posti nella condizione singolare di poter aggiungere al cantico di tutto l’universo: dei monti, del mare, delle piante, degli animali, degli uomini stessi, una voce nuova che è la voce del Figlio di Dio, che si è introdotta nel mondo e ha voluto diventare la nostra voce, per questo noi possiamo dire le nostre cose a Dio. Dobbiamo esprimere questo cantico nuovo perché egli ha compiuto grandi prodigi. Sono i prodigi stupendi della creazione, sono i prodigi ancora più meravigliosi della redenzione. La nostra vita dovrebbe diventare un cantico per questi motivi.
Il momento più alto di questo cantico è la celebrazione liturgica, la celebrazione eucaristica quando Cristo associa a se stesso la sposa dilettissima che è la Chiesa, quando Cristo si rende presente in modo unico ed esprime al Padre tutto l’amore, tutta la dedizione e diventa la lode degna, perché degno è l’agnello di ricevere l’onore, la gloria, la potenza, perché a stato ucciso, perché si è immolato, perché ha fatto tutta la volontà del Padre, perché il Padre è in Lui in tutta la sua pienezza.
Gesù durante questa celebrazione ci associa a se stesso, ci associa alla sua immolazione, perché giorno per giorno Iddio possa essere tutto totalmente in ognuno di noi e in ognuno dei nostri fratelli E attraverso il possesso che Iddio prende di tutte le sue creature predilette, gli uomini possano essere tutto, in tutta la creazione. Il momento della celebrazione eucaristica, che continua il cantico nuovo intonato sulla terra dal Verbo di Dio fatto uomo, che assume una espressione nuova di glorificazione infinita ed eterna della maestà del Padre, va verso un compimento.
C’è un aspetto particolare del mistero eucaristico e della celebrazione eucaristica – forse quello che si chiama la dimensione escatologica – e che Gesù ha indicato nel momento dell’istituzione dell’eucaristia quando ha detto: non berrò più di questo vino di vite finché non lo berrò nuovo nel regno del Padre. E’ quello che, ha compreso l’apostolo Paolo quando ha raccomandato ai fedeli di celebrare la memoria del Signore fin quando egli verrà. Questo riferimento alla vita eterna, al banchetto definitivo, alla celebrazione dell’agnello che avviene in cielo, deve essere fatto presente: quando noi celebriamo l’eucaristia, quando parliamo dell’eucaristia, quando mangiamo il pane e beviamo il vino, posti sulla mensa dell’altare, perché hanno un forte riferimento alla vita eterna, ai tempi definitivi, non si debbono fermare unicamente al presente per la preoccupazione di produrre degli effetti che valgono per il presente.
Gli effetti buoni, quelli autentici, che l’eucaristia produce in noi, debbono potersi riferire sempre alla vita eterna, al tempo finale, alla celebrazione finale, quando saremo intorno all’agnello, davanti al trono dell’Altissimo, definitivamente nel Regno del Padre, tutti insieme, per cantare davvero un cantico nuovo, per conoscere finalmente in pienezza tutti i prodigi che Egli ha compiuto per amore di ognuno di noi, per la nostra salvezza.
OM 180 sacerdoti 68 – giorno di ritiro in Santa Teresa, 16 novembre 1968