sulla sacra liturgia
Prima di entrare nello studio dei singoli grandi temi contenuti nella Costituzione sulla Sacra Liturgia sembra opportuno dare una visione d’insieme dei medesimi e soprattutto rilevare la organicità vitale che li lega tra di loro.
Perciò questo non è uno studio, ma una panoramica portata avanti a modo di affermazioni e affidata alla intelligenza dei lettori, tutti in grado di coglierne significato e portata, e poi rimandate ai diversi articoli del presente numero della rivista i quali espongono ciò che qui è solo affermato.
Il momento presente della vita della Chiesa
Nel prendere in mano la Costituzione sulla Sacra Liturgia al fine di intenderne il significato è indispensabile collocarla in quella cornice di circostanze nelle quali è maturata.
Va sottolineato soprattutto il momento particolare e per altro straordinario della vita della Chiesa. Oggi non avremmo una Costituzione sulla Liturgia se non ci fosse stato il Pontificato di Giovanni XXIII, come non ci sarebbe stato un Concilio di questi tempi.
Che poi la Costituzione avesse il contenuto attuale poteva essere il sogno, ma non certo la speranza dei più addentrati nel movimento liturgico; oggi chiunque se la trova in mano e ne conosce la lunga faticosa maturazione, anche se avverte qualche limite, indubbiamente riconosce, stupito e commosso, che veramente il Signore ha incominciato da qui il suo ” passaggio ” e lo Spirito Santo si è servito di quello che poteva sembrare l’argomento più innocuo proposto alla discussione dei Padri, per dare inizio alla a novella Pentecoste ” di cui si era sentito parlare, ma alla quale poco si credeva.
Questa volta lo Spirito del Signore senza impeto di vento scompigliante al di fuori, ma con uguale forza dal di dentro ha introdotto nella coscienza della Chiesa movimenti di vita destinati a trasformarla profondamente.
L'” aggiornamento ” della Chiesa oggi avviene dal di dentro.
Sì è mosso lo Spirito Santo.
Gli uomini ci sono entrati con la loro umiltà e docilità. E’ ammirevole la preoccupazione degli uomini di Chiesa di camminare sulle indicazioni dello Spirito del Signore. Tutto questo è motivo di grande speranza, perché dove ci si mette Dio e gli uomini non pretendono di sostituirlo, si compie la Salvezza.
La nostra Costituzione va vista in questa luce di dinamismo vitale e soprannaturale: avvertire l’azione dello Spirito Santo, vedervi le sue indicazioni. E’ indicata una realtà interiore a cui è indispensabile riferirsi per qualsiasi attività liturgica.
Alla vigilia di notevoli innovazioni sulle celebrazioni liturgiche sarebbe quanto mai contrario agli impulsi più evidenti della vita della Chiesa, fare trovare i nostri fedeli davanti a delle ” novità ” senza una giustificazione profonda alla quale è legittimò pensare che faccia eco, proprio nei loro cuori, lo stesso Spirito Santo; anzi proprio queste innovazioni devono diventare espressione di quelle cose nuove, perché genuine e vitali, con cui il Cristo vuole rendere nuova la sua Chiesa.
Più concretamente: bisogna difendersi da qualsiasi liturgismo; bisogna spingere nel senso della teologia delle azioni liturgiche; bisogna prendere coscienza che celebrando dei riti si fa della storia, siamo nel vivo degli avvenimenti attraverso i quali si compie la Salvezza.
Ed ecco alcuni punti su cui la nostra attenzione deve sostare a lungo, nello studio e nella preghiera, per cogliere lo spirito animatore della Costituzione.
La presenza del Cristo
L’articolo 7 sta alla Costituzione come il ” Pantocrator ” a una cattedrale antica: è una ” presenza ” che riempie l’ambiente, sono degli ” occhi ” che ti raggiungono dovunque.
La nostra catechesi che deriva dalla teologia post-tridentina ha rinchiuso la ” presenza ” del Signore quasi esclusivamente nel tabernacolo; questa negavano i Riformatori e questa, quasi esclusivamente abbiamo finito di affermare noi.
Dobbiamo ammettere che nonostante gli immancabili frutti di vita cristiana che sono maturati intorno alla ” presenza reale “, questa ha limitato ” la presenza del Dio vivente ” che costituisce la caratteristica della religione cristiana. La presenza di Dio è come il nucleo intorno al quale gravitano tutti gli avvenimenti della storia della Salvezza; ” Dio con noi ” forma l’oggetto della speranza messianica; il ” Verbo che abita tra di noi ” e sarà con noi fino al termine del tempo è la grande realtà dei tempi nuovi; ” Dio tutto in tutti ” è il traguardo della meravigliosa Storia.
Un Dio presente, un Dio che parla, un Dio che compie le cose stupende della Creazione e della Redenzione è il Dio della Fede cristiana.
Tutta la forza di espressione del linguaggio biblico, la comunicazione tra persone viventi che è caratteristica della comunione di vita alla quale Dio chiama gli uomini lungo la storia della Salvezza, cioè a una ” presenza ” piena e urgente che doveva riempire tutto lo spazio in cui si opera la salvezza, è stato circoscritto intorno al silenzio e al chiaro attenuato dei nostri tabernacoli.
L’articolo 7 della Costituzione restituisce per così dire il primato e la centralità della presenza del Cristo a ogni azione liturgica e perciò alla vita stessa della Chiesa. La sua prosa solenne scandisce questa presenza non secondo un ordine di valore ma secondo una linea dinamica della persona del ministro dell’assemblea dei redenti come nello scorrere di un flusso di acque vivificanti dalla sorgente ai prati che debbono verdeggiare.
L’articolo 16 mentre pone la Liturgia tra le discipline principali per la formazione del Clero, orienta la ” ratio studiorum ” secondo il metodo storico incentrato sul Mistero del Cristo.
Il Verbo fatto carne che abita fra gli uomini e sta con loro fino alla fine del tempo è riportato dalla Costituzione sulla Sacra Liturgia nella prospettiva originale del ” Piano di Dio “.
La presenza della Chiesa
Ancora l’articolo 7 della Costituzione afferma: ” …per il compimento di questa grande opera, con cui Iddio riceve una glorificazione perfetta e gli uomini sono santificati, il Cristo si associa sempre la Chiesa, sua Sposa dilettissima, la quale invoca il suo Signore e con lui offre il suo culto all’Eterno Padre “.
Il proemio (art. 2) già aveva insinuato che la Liturgia ha lo scopo di esprimere ” il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa “. La Chiesa nella celebrazione liturgica è la Sposa inseparabile dallo Sposo, è presente come è presente il suo Signore e opera come opera lui.
La Chiesa, sacramento del Cristo, è il soggetto immediato, visibile dell’azione liturgica. Anzi proprio nell’atto della celebrazione ne liturgica attua se stessa nella concretezza dello spazio e del tempo. ” hic et nunc ” il suo Mistero di Sposa di Cristo, di Madre dei redenti, di Sorella degli uomini e la sua capacità sacramentale di segno evocativo della sua realtà misteriosa e di strumento di comunicazione di codesta realtà assumono il massimo di carica e di efficienza.
Quando e dove due o più sono convocati nel nome del Signore per stare alla sua presenza, ascoltare la sua Parola, spezzare il Pane e glorificare il Padre, là in quel momento si attua la Chiesa: un frammento della Chiesa universale, ma che contiene tutto il Mistero della Chiesa; anzi è un momento ” forte ” della vita della Chiesa, un momento di ” carità “, di ” manifestazione ” e quindi di ” espansione “.
Secondo una logica umana in queste affermazioni si potrebbe cogliere più di una contraddizione; nello stesso tempo la Chiesa è soggetto, strumento, oggetto. E’ soltanto la conseguenza del fatto di trovarci davanti a una realtà misteriosa che non può essere chiusa nei nostri schemi.
La Chiesa mistero inesauribile e inesprimibile, che è al tempo stesso Sposa, Madre e Sorella, si attua concretamente nell’assemblea liturgica quando il Popolo di Dio si raccoglie nell’unità della Fede, della Speranza e della Carità; percorre la sua ” pasqua ” accogliendo la ” grazia ” ed entrando nel ” significato ” del Battesimo e della Messa; si nutre della Parola del Signore e del suo Corpo; e carico dei doni di Dio diventa chiaro testimone della Risurrezione del Cristo. L’assemblea liturgica diventa allora il momento in cui più felicemente si raggiungono quelle finalità che il Concilio si è proposto promulgando la Costituzione sulla Sacra Liturgia (art. 1).
La Chiesa poi che si raccoglie nella assemblea liturgica raggiunge in pieno il fine della propria vocazione che è quella di stare davanti al suo Dio come un ” regno di sacerdoti “, nell’esercizio di un ” sacerdozio regale “. La Costituzione sulla S. Liturgia va a fondo alla restaurazione perseguita dal Concilio: va alla radice.
Quindi riporta la vocazione cristiana all’altezza della partecipazione del Sacerdozio di Cristo; non si tratta di una semplice perfezione morale, ma di una partecipazione mistica, reale ai rapporti del Figlio di Dio fatto Uomo con il Padre, nello Spirito Santo.
Questo modo autentico di ” essere ” cristiano si esprime in un uguale modo di ” agire ” cristiano che non può essere che quello sacerdotale. Il cosiddetto ” sacerdozio comune ” non appare come un’appendice del sacerdozio gerarchico, ma è piuttosto questo ordinato a quello come strumento (di altissima dignità e insostituibile) al fine, come transitorio al definitivo.
Chi potrebbe coscienziosamente intraprendere una attività liturgica senza una chiara completa profonda teologia della Chiesa, dell’assemblea liturgica e del sacerdozio?
E come si potrà avviare una riforma liturgica senza una adeguata catechesi nello stesso senso?
La storia della salvezza
Cristo e la sua Chiesa presenti e attivi nella S. Liturgia continuano lungo il tempo la storia della Salvezza (art. 16; 35, 2).
Sappiamo i momenti di questa storia: il tempo della preparazione e della figura (Antico Testamento), il tempo della Realtà (Nuovo Testamento), il tempo della continuazione (Chiesa), il tempo senza fine (Cielo). La Liturgia appartiene al tempo della Chiesa e ha per compito di continuare a proclamare e a illustrare le figure; di introdurre gli uomini nel senso delle figure e nel mistero della Realtà, di orientare, sostenere e condurre tutti i figli di Dio nel Regno del Padre.
La Costituzione insegna che tutto questo accade principalmente per Ia celebrazione della Parola e per la celebrazione della Pasqua.
a) La celebrazione della Parola
Nella Sacra Scrittura Dio agisce nel mondo della Creazione e della Redenzione con la sua Parola; la storia della Salvezza ha inizio nel momento in cui Dio rivolge all’uomo la sua Parola; la convocazione e la costituzione del Popolo di Dio avviene intorno alla sua Parola; i Profeti sono i ministri della Parola; la Parola si fece carne e si stabilì fra noi; gli Apostoli sono i dispensatori della Parola di Salvezza.
La Costituzione, in certo qual senso, riscopre e restituisce alle funzioni salvifiche della Chiesa il valore della Parola.
Quando essa parla del legame tra rito e parola (art. 35), della presenza di Cristo nel ministero della Parola (art. 16), della omelia come parte dell’azione liturgica (art. 35, 2), ci mette senza alcun dubbio davanti al valore ” sacramentale ” della Parola di Dio. Non si tratta di semplice annuncio informativo o di esposizione convincente e di celebrazione evocativa; si tratta di un fatto, di un avvenimento che accade adesso in cui è impegnato lo Spirito e la Divina Potenza (1 Cor. 2, 4).
Inoltre nel rito liturgico quella della Parola è una ” celebrazione “, cioè un’azione solenne che si compie insieme. Chi agisce insieme sono Cristo e la sua Chiesa: è il momento del dialogo tra lo Sposo e la Sposa descritto da Osea (2, 16-18); Dio parla al suo Popolo (art. 33). La celebrazione è “l’oggi di Dio”: la Parola di Dio, contenuta nei testi sacri, è diretta alla sua Chiesa che sta davanti a Lui in questo momento come assemblea liturgica, la raggiunge nel profondo del suo essere e la fa comunicare all’azione attuale di Dio nel mondo.
b) La celebrazione della Pasqua
Il momento culminante della comune azione del Cristo e della Chiesa che attua la Salvezza è segnato dalla celebrazione del Mistero della Pasqua.
La biblica avventura dell’Esodo, chiarita ed interiorizzata dal ministero profetico, ha il suo compimento in Cristo ” nostra Pasqua “. Il passaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla Terra Promessa attraverso il Mar Rosso e l’itinerario del Deserto diventa il simbolo inesauribile del passaggio dalla schiavitù e dalla dispersione del peccato all’unità di Popolo di Dio erede delle ricchezze del suo Regno.
La Pasqua ” figura ” diventa la Pasqua del Popolo di Dio nella Pasqua del Cristo, il quale è ” passato ” da questo mondo al Padre lungo le tappe della sua Passione e Morte, della sua Risurrezione e Ascensione al Cielo.
Lo Spirito Santo, che vivifica per sempre l’Umanità del Figlio risuscitato dal Padre, è sceso a Pentecoste definitivamente nel Corpo di Cristo che è la Chiesa per farla ” passare ” dalla morte alla vita attraverso la partecipazione alla passione e alla glorificazione del suo Capo.
La celebrazione liturgica costituisce il momento sacramentale di questo avvenimento in cui si compie la storia della Salvezza.
L’Esodo, il Vangelo di S. Giovanni, la Liturgia, I’Apocalisse sono come i capitoli di questa storia.
Si capisce perciò il rilievo che al Mistero Pasquale è dato dalla Costituzione: la celebrazione della Parola ne deve continuamente annunziare il contenuto (art. 6- 7); dal Mistero Pasquale derivano la loro virtù Sacramenti e Sacramentali (art. 61); l’Eucarestia e i Sacramenti ne trasmettono la grazia (art. 6; 10; 47); le stesse esequie saranno ordinate in modo da esprimere con più evidenza il carattere pasquale della morte cristiana (art. 81).
Al termine di questo abbozzo non si può fare a meno di notare come la Costituzione sulla Sacra Liturgia con il rilievo che dà al Mistero Pasquale ponga un’altra solida base al rinnovamento della vita cristiana, riportandola a quel carattere misterico e sacramentale dal quale una preoccupazione più materialistica che soprannaturale ci aveva allontanato.
CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli
Stampa: Via verità e Vita ” Liturgia e Catechesi” numero unico- Aprile 1965 . Manoscritto 453
ST 210 Liturgia 1965