Chiesa Matrice di Fasano ottobre 1987
Queste meditazioni sono state dettate da Mons. Carlo Ferrari in un Corso di Esercizi Spirituali tenuto a Fasano (BR) nell’ottobre 1987. Esse hanno l’ardore del profeta e la freschezza del testimone.
Le pubblichiamo certi di farne dono e servizio a quanti cercano, nell’ascolto della Parola, il volto del Dio cristiano. “Padre Carlo della Trinità”, nome acquisito del Vescovo Ferrari in 32 anni di ministero episcopale, in queste pagine specifica meglio il suo carisma di evangelizzatore e di testimone.
Sac. Salvatore Carbonara. Fasano, 18 ottobre 1988 – Festa di S. Luca evangelista.
I protagonisti
La parola Vangelo ha perduto molto del suo significato originale: del vangelo si è fatto un codice di vita morale, senza un riferimento diretto ed esplicito al suo vero significato espresso nella storia della divina Rivelazione, dove ha chiaramente il senso di liberazione, di vita nuova e si identifica con il Regno di Dio. Il Vangelo consiste nella salvezza totale dell’uomo dal male, dal peccato, dal castigo
ed è aperto alla vita eterna.
Il vangelo è una bella notizia, un lieto annuncio, una proclamazione di gioia, appunto per la liberazione dal male e per il dono garantito dalla fedeltà di Dio, del suo amore per l’uomo e per tutte le creature.
In questo nostro incontro ci soffermeremo a scoprire, a gustare, a vivere l’annuncio, o meglio, il lieto annuncio che Dio ci ama personalmente e incontrandosi con il nostro stato di peccato, e quindi di miseria, si rivela prima di tutto misericordia, poi in perdono e infine in tenerezza.
Tutto lo svolgimento storico del Vecchio e del Nuovo Testamento è una narrazione dell’amore di Dio che si manifesta negli incontri con la persona umana e con tutte le creature. Al culmine della divina Rivelazione troviamo due affermazioni: « Dio è amore », « amatevi gli uni gli altri »: questo culmine passa attraverso il mistero della croce e della risurrezione.
L’israelita rifiuta la astrazione intellettuale, normalmente colorisce tutto con una dimensione affettiva: la pienezza della conoscenza è espressa nell’amore coniugale in tutta la sua estensione. La fedeltà ai legami sociali e famigliari, per il semita, è tutta impregnata di slancio e di spontaneità generosa. L’uomo biblico tiene al primo posto il valore primario della affettività; la dimensione dell’amore pervade la sua psicologia religiosa che si riferisce ad una esperienza umana densa e concreta.
Secondo la concezione cristiana, ciò che c’è di positivo nell’uomo è presente in modo eminente nella vita di Dio. Quindi il valore dell’amore in tutte le sue manifestazioni è riferito naturalmente al Dio cristiano. È Dio che prende l’iniziativa di un dialogo di amore con gli uomini: in nome di questo amore li impegna e insegna loro ad amare come egli ama e ad amarci vicendevolmente .
La storia dell’amore di Dio
I racconti della Creazione evocano l’amore di Dio attraverso la bontà e la familiarità di cui circonda i primogenitori; egli comunica loro la pienezza della partecipazione alla sua stessa vita e nonostante la loro infedeltà rivela la profondità del suo amore con la promessa del Salvatore.
Il racconto del paradiso terrestre è il preludio di tutta la storia della salvezza. I rapporti che Dio, in modo sovrano e libero, stabilisce con i Patriarchi sono una rivelazione concreta dell’amore di Dio con ognuno di questi singolari personaggi, che stanno alla radice della vita del popolo di Dio.
Gli stessi profeti sono i confidenti di Dio, amati personalmente da lui che li sceglie, li afferra, li sottopone alle prove più sconcertanti, ma li riempie di gioia; così i profeti diventano i testimoni dell’ira e dell’amore di Dio; Osea, e poi Geremia ed Ezechiele, rivelano che Dio è lo sposo di Israele, il quale purtroppo è infedele; questo amore appassionato e geloso è ricambiato con l’ingratitudine e il tradimento. Ma l’amore è piú forte del peccato: Dio in persona ricrea nel suo popolo un cuore nuovo e uno spirito nuovo capaci di amare.
Il Deuteronomio ricorda instancabilmente che l’amore di Dio per Israele è gratuito e che Israele deve « amare Dio con tutto il cuore ».
Dopo l’esilio, Israele, fortificato dalla prova, scopre sempre più chiaramente che la vita con Dio è un dialogo di amore. Nel Cantico dei Cantici, con alterne vicende, lo sposo e la sposa si amano di un amore « forte come la morte ». Inoltre si rende conto che Dio si rivolge al cuore di ciascuno e non soltanto alla comunità: Dio ama ogni ebreo giusto, povero, piccolo. Gradatamente si delinea anche la convinzione che l’amore di Jahvé si estende anche ai pagani e a tutte le creature.
Avvicinandosi la venuta di Gesù, il pio israelita prende coscienza di essere amato da un Dio di cui canta la misericordia, la fedeltà all’Alleanza, la bontà, la grazia, la tenerezza e incessantemente ripete il suo amore per Dio e per tutto ciò che a Lui si riferisce: il suo Nome, la sua legge, la sua sapienza.
Questa a grandi linee è la lieta novella che si coglie nell’Antico Testamento.
Gesù
Nel Nuovo Testamento l’amore di Dio si identifica con la persona di Gesù,
il quale viene a vivere il dramma del dialogo di amore tra Dio e l’uomo.
In primo luogo l’amore di Gesù è un atto del Padre. « Ricordandosi della sua misericordia » Dio si fa conoscere, manifesta il suo amore in colui che non è soltanto il Messia atteso, ma propriamente il suo Figlio: colui che il Padre ama. L’amore del Padre si esprime in un modo ineffabile: realizza la nuova Alleanza e conclude le nozze eterne dello Sposo e della Sposa; la generosità divina, manifestata fin dalle origini, raggiunge il suo culmine.
Accogliendo il Figlio l’uomo rinuncia a se stesso, al suo orgoglio, al suo merito: il dono di amore fatto da Dio in Gesù Cristo è totalmente gratuito, è spinto fin all’estremo, perché acconsente la morte del Figlio, e perché il mondo abbia la vita e ogni uomo sia figlio di Dio: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unico, perché gli uomini abbiano la vita eterna ».
Gesù è il Figlio di Dio che viene a vivere in pienezza il suo amore e a farne sentire l’irresistibile appello. Nella persona di Gesù l’uomo ama Dio e ne è amato. Gesù dona interamente la sua vita, non soltanto per qualche amico, ma a tutti gli uomini e a tutte le creature; sceglie gratuitamente quelli che vuole per farne di tutti i suoi amici. Gesù sulla croce rivela, in un modo incomparabile, l’intensità e il dramma del suo amore: bisognava che Gesù soffrisse perché fossero pienamente rivelati la sua obbedienza al Padre e il suo amore agli uomini; sovranamente libero, attraverso la tentazione, l’apparente silenzio di Dio, nella totale solitudine umana, Gesù giunge all’istante unico dell’ « amore più grande ».
Il Calvario è il luogo dell’amore perfetto, ma questo si manifesta e realizza la pienezza della sua grazia nel dono dello Spirito Santo, che dal giorno di Pentecoste è presente nella Chiesa e diffonde l’amore con cui Dio ama e noi possiamo amare. Così è diffuso in noi un amore da cui nessuno può separarci e che ci prepara all’incontro definitivo in cui conosceremo come siamo conosciuti.
La misericordia
Tanto nell’Antico come nel Nuovo Testamento, l’amore di Dio verso gli uominisi esprime nella dimensione della misericordia.
L’uomo è radicalmente peccatore, privo di ogni bene, miserabile, quindi l’amore di Dio quando si incontra con la persona umana è un amore misericordioso. Dio è fedele all’Alleanza. Questa fedeltà nei confronti del popolo e di ogni individuo non può esprimersi che in perdono, compassione, tenerezza.
Sul Sinai Mosè coglie la rivelazione della profondità dell’Essere di Dio; libero di usare misericordia a chi gli pare, proclama che la sua misericordia può trionfare sul peccato: tardo all’ira e ricco di misericordia e fedeltà, che conserva la sua misericordia fino alla millesima generazione » (Es 34,6); egli lascia che si facciano sentire le conseguenze del peccato fino alla quarta generazione, perché si percepisca la gravità del peccato, ma la sua misericordia, conservata intatta fino alla millesima generazione, lo fa paziente fino all’infinito: questo si ripete durante tutta la storia dell’Antico Testamento.
Il libro dei Giudici è scandito dal ritmo dell’ira che si accende contro gli infedeli, e della misericordia che prepara un salvatore. L’esperienza profetica darà a questa storia accenti sorprendentemente umani: Osea rivela che se Dio ha deciso di non usare più misericordia verso Israele e di castigarlo, il suo cuore si rivolta e le sue viscere fremono e perciò decide di non dare corso all’ardore della sua ira. I profeti anche quando annunciano peggiori catastrofi, conoscono la misericordia del cuore di Dio: « Efraim è dunque per me un figlio così caro, un fanciullo così prediletto che dopo ognuna delle mie minacce, io debba sempre pensare e lui, le mie viscere si commuovano per lui, per lui trabocchi la mia tenerezza? » (Ger. 31,20).
La misericordia di Dio si estende a tutti, « la pietà dell’uomo è per il suo prossimo,ma la pietà del Signore è per ogni carne » (Eccl 18,13).
La tradizione unanime di Israele è magnificamente raccolta dal Salmista: « Jahvé è tenerezza e grazia, tardo all’ira e ricco di misericordia; non per sempre contende, né in eterno serba sdegno; non ci tratta secondo le nostre colpe. Come è la tenerezza di un padre per il suo figlio, così Jahvé è tenero per chi lo teme; egli conosce il nostro impasto, ricorda che siamo polvere » (Sal. 103); « beati coloro che sperano in lui, perché egli avrà pietà di essi » (Is. 50,18), perché « eterna è la sua misericordia » (Sal. 136).
Il perdono
La misericordia dell’amore di Dio ha come suo frutto il perdono. Il peccatore è un debitore a cui Dio col suo perdono rimette il debito; la remissione è così efficace che Dio, secondo il nostro modo di esprimerci non vede piú il peccato, che è gettato dietro le spalle, è tolto, è espiato, distrutto. Gesù Cristo, usando lo stesso linguaggio sottolinea che il perdono è gratuito. La predicazione primitiva ha come oggetto, insieme al dono dello Spirito Santo, la remissione dei peccati che ne è il primo frutto. Lo stesso concetto è espresso con i termini purificare, lavare, giustificare; tutti termini che mettono in evidenza l’aspetto del perdono che è riconciliazione e nuova unione.
Di fronte al peccato il Dio geloso si rivela il Dio che perdona. L’apostasia che segue all’Alleanza e meriterebbe la distruzione del popolo, è per Dio l’occasione per proclamarsi « Dio di tenerezza e di pietà, tardo all’ira, ricco di grazia e di fedeltà… che tollera la colpa, la trasgressione e il peccato ». Quindi Mosè può pregare con piena fiducia: «…è un popolo di dura cervice. Ma perdona le nostre colpe e i nostri peccati e fa di noi la tua eredità » (Es 34,6-9).
Il perdono non ha una giustificazione, perché il Dio santo non rivela la sua santità mediante la giustizia, perché il cuore di Dio non è quello dell’uomo e il Santo non si compiace di distruggere, non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva; infatti « le sue vie non sono le nostre vie », e « i suoi pensieri superano i nostri pensieri di tutta l’altezza del cielo » (Is. 55,7).
È questo il motivo che rende il salmista pieno di fiducia: « Dio perdona al peccatore che si accusa; lungi dal volere la sua perdita, lungi dal disprezzarlo, egli lo ricrea purificando e colmando di gioia il suo cuore contrito e umiliato; fonte abbondante di redenzione, egli è un padre che perdona tutto ai suoi figli ». Dopo l’esilio non si cessa di invocare « il Dio dei perdoni » (Num. 9,17) e « delle misericordie » (Dan 9,9), sempre pronto a pentirsi del male minacciato al peccatore se questi si converte.
Giona è sconcertato nel vedere questo perdono offerto a tutti gli uomini (Giona 3,10; 4,2); il libro della Sapienza canta il Dio che ama tutto ciò che ha fatto e ha pietà di tutti e chiude gli occhi sui peccati degli uomini affinché si pentano; in tal modo manifesta di essere l’Onnipotente, la cui caratteristica è perdonare (Sap. 11,23; 12,22). Gesù il quale è venuto a portare il fuoco sulla terra, non è mandato dal Padre a giudicare ma a salvare (Gv. 3,17). Egli chiama tutti alla conversione, rivelando che Dio è un padre la cui gioia sta nel perdonare e la sua volontà è che nessuno si perda.
Purtroppo nella nostra predicazione e nella nostra catechesi abbiamo dimenticato l’evento della festa e della gioia che Dio e i suoi amici provano per la conversione di un peccatore; e anche il peccatore che si converte non ha coscienza e non ha la gioia che procura al Dio del perdono.
Gesù non annuncia soltanto il perdono di Dio ma lo esercita e lo attesta mediante le sue opere, attraverso le quali dispone di questo potere riservato soltanto a Dio (Mc 2,5-11). Gesù corona la sua opera ottenendo il perdono del Padre con la preghiera e soprattutto con il suo sangue versato in remissione dei peccati (Mt 26,28). Vero servo di Dio, giustifica la moltitudine di cui porta i peccati, perché è l’Agnello che toglie il peccato dal mondo (Gv. 1,29).
La tenerezza
Il linguaggio semita per esprimere l’amore, soprattutto sotto l’aspetto della tenerezza, fa riferimento alle viscere, specialmente a quelle della madre. A pensarci bene, il momento più intenso, più concreto, più espressivo della tenerezza si realizza nell’evento di una nuova creatura. Questa tenerezza è attribuita a Dio che è padre (Sal. 103,13) e madre (Is. 49,14). La sua tenerezza è eminente rispetto a quella umana: è creatrice di figli fatti a sua immagine,è gratuita, sempre desta, immensa, inestinguibile, nuova ogni mattino, inalterabilmente fedele, testimoniata a tutti, specialmente ai diseredati, agli orfani, agli ammalati, persino ai morti.
Il peccatore può e deve fare sempre affidamento su questa bontà sconcertante, non per abbandonarsi più facilmente al peccato, ma per ritornare più fiduciosamente e decisamente al Padre che lo sta aspettando.
« Dio tenero e grazioso » è il primo titolo rivendicato da Jahvé e richiamato nel Deuteronomio, nei Salmi, nei Profeti, nei libri storici e sapienziali. L’aggettivo « tenero », ad eccezione di una volta in cui viene applicato all’uomo è decisamente riservato a Dio. E significativa l’immagine biblica del bambino che sulle ginocchia della madre appoggia il suo tenero volto sulla faccia della madre.
La tenerezza di Dio è apparsa in Gesù Cristo; in Lui si è rivelato il padre delle compassioni (2 Cor 1,3), che ci ha offerto la suprema testimonianza con la risurrezione del suo Figlio, pegno della nostra risurrezione.
Gesù non soltanto benefica della tenerezza del Padre, ma la fa sua e la effonde su tutti: è mosso da pietà per le pecorelle smarrite, bisognose di pane, freme di compassione di fronte ai più diseredati, ai lebbrosi, alle madri in lutto e arriva fino al miracolo della resurrezione dei morti. Ricordiamo in particolare quella di Lazzaro.
Il tema della tenerezza di Dio in Gesù Cristo e nello Spirito è normalmente assente dalla nostra evangelizzazione, mentre di sua naturaè destinato ad aprire il cuore all’amore di Dio e dare la fiducia e la sicurezza di essere perdonati.
La risposta
L’amore di Dio, la sua misericordia, il suo perdono, la sua tenerezza sono un dialogo con la persona umana. Il dialogo suppone un interlocutore il quale risponda a colui che ha l’iniziativa. Quindi l’uomo deve rispondere all’amore di Dio, alla sua misericordia, al suo perdono e alla sua tenerezza.
Tutta la Bibbia, dal Vecchio al Nuovo Testamento, è percorsa dall’imperativo: «Amerai! ». E non è richiesto un amore qualsiasi, ma un amore che deve impegnare tutto il cuore, tutta la mente, tutta l’anima e tutte le forze.
Alla misericordia di Dio si risponde prima di tutto prendendo coscienza di questo lieto evento poi, con la sua grazia, usando sentimenti di misericordia verso il prossimo.
Il perdono rende effettiva la misericordia e richiede il dovere di imitare Dio, e secondo il Vangelo non deve avere limiti; tutto è sintetizzato nella risposta che Gesù da a Pietro: « allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello se pecca contro di me? fino a sette volte? E Gesù gli rispose:e Non ti dico fino a sette ma fino a settanta volte sette » (Mt 18,21-22).
Prerogativa dell’amore misericordioso di Dio è la tenerezza. Questo è un tema normalmente sottaciuto, mentre evidenzia la profondità, l’estensione, la delicatezza della sensibilità di Dio.
Purtroppo questo aspetto dell’amore veniva persino condannato, si considerava sentimentalismo, sdolcinatura, in fondo debolezza, mentre invece esprime rispetto della persona, riguardo per i suoi sentimenti, premura per le sue necessità.
Chiesa matrice di Fasano 15-16-17 ottobre 1987
ST 393 Misericordia 88 – 01