messa vespertina
Natale 1977 in sant’Andrea
Il solenne prologo del Vangelo di Giovanni che è stato proclamato dinnanzi a noi è l’annuncio del significato del natale. “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”
Queste parole tradotte per noi hanno questo significato: il bambino, avvolto in fasce in una grotta, nella più fredda povertà ma circondato dall’amore di Maria e di Giuseppe, è Dio il bambino circondato da tanta gloria: quella degli angeli, è Dio il bambino circondato da tanta devozione: quella dei pastori, è Dio il bambino circondato da tanti onori: quelli dei magi, è Dio.
“Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste”.
Gli uomini trasformano dopo aver scoperto, applicano ma prendono ciò che già esiste. Chi ha fatto, chi ha dato origine, chi ha tratto dal nulla è questo bambino, che è Dio venuto nel mondo.
Lui che è Dio, il Figlio di Dio, il Creatore dell’universo, a quanti lo accolgono dà la capacità di diventare come lui, figli di Dio: “Noi vedemmo la sua gloria – dice Giovanni – gloria come di un Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità”, “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo attinto e grazia su grazia”. Diventiamo figli di Dio, perché accogliamo la pienezza della vita nuova di cui è ripieno questo Bambino, che è Gesù: il nostro Salvatore.
Questo è il significato del natale: nasce un bambino ed è il Figlio di Dio. Chi accoglie questo bambino non accoglie semplicemente un uomo ma colui che ha creato il cielo e la terra, che ha dato vita a tutti gli esseri. . Chi accoglie questo bambino accoglie la vita nuova che questo Bambino vuole trasfondere in noi per fare di noi nuove creature, cioè figli di Dio.
Il natale non riguarda solo Gesù. Il natale di Gesù riguarda noi. Un Padre della chiesa dice: “Il figlio di Dio si è fatto uomo perché i figli degli uomini diventassero figli di Dio” Quante volte lo sentiamo ripetere! Ma, chiediamoci: ha senso essere figli di Dio? Ha una portata per la nostra vita, per la nostra esistenza, per i nostri rapporti essere figli di Dio? La risposta della fede è positiva.
Pensiamo un momento. Se ognuno di noi ha il potere di diventare figlio di Dio perché ha la facoltà di attingere alla pienezza di vita di nostro Signore Gesù Cristo, noi sfuggiamo alla nostra contingenza. Sappiamo quanto siamo contingenti, quanto siamo fragili, quanto la nostra vita sia legata a un filo sottilissimo. Un niente basta per distruggere la nostra persona ma se noi, al di là e al di sopra e soprattutto nella profondità del nostro essere, portiamo questa prerogativa di figli di Dio e quindi di possedere una vita che sfugge a tutte le contingenze, a tutte le fatalità, noi siamo al sicuro: la nostra vita ha un senso al di là di tutto ciò che può capitare.
Come sarebbe spaventoso, sconvolgente, paradossale inaccettabile ciò che capita nel mondo e alle persone: incidenti, terremoti, cicloni, malattie; ecc. se il nostro essere e la nostra persona non avessero un fondamento che sfugge a tutto questo! Allora vedete che ha senso essere figli di Dio. Si è figli di Dio nella buona e nella cattiva sorte. Quando si sta bene e quando si è ammalati, quando si è ricchi e quando si è poveri, quando si è sapienti e quando si è meno sapienti il valore della persona non muta.
Ha senso essere figli di Dio rispetto a tutti i valori che normalmente costituiscono la base della nostra esistenza? Noi andiamo cercando una base economica una stabilità politica, un patrimonio culturale e dei rapporti sociali. Ma come sono fragili questi sostegni della nostra esistenza! Una fortuna anche grande per un niente sfugge, e poi c’è un termine giunti al quale nessun rapporto, nessun sostegno e nessuna fortuna conta. Ecco, vedete come i valori in cui confidiamo non possono essere il punto di appoggio di una esistenza umana. Ci vuole qualche cosa di più. “Tutto in Lui consiste”.
E poi questa vita ha un termine. La morte è la tragedia della umanità. Non basta l’appartenenza ad una razza, ad una nazione ad una classe per avere una sopravvivenza. Una classe, una razza, una nazione possono avere una esistenza più lunga della nostra però, se diamo uno sguardo alla storia, vediamo quante civiltà sono scomparse. Ormai c’è un capitolo di storia sulle “civiltà scomparse” che è più lungo di quanto non lo sia quello sulle civiltà ancora esistenti. Dunque tutto scompare, ma se siamo figli di Dio, siamo figli della immortalità. Lui è immortale!
L’immortalità miei cari, non la dobbiamo considerare come una condizione, un luogo, tanto meno un tempo. L’immortalità è la stabilità in una vita piena che è la partecipazione alla vita stessa di Dio.
Parole? Direte! Ma se voi riflettete: che la vita di Dio è vita di Colui che “sta prima”, di colui che “sta dopo”, di colui che “sarà sempre” e che noi se siamo con lui e in lui, non perdiamo la nostra individualità, la nostra caratteristica personale, rimaniamo quello che siamo diventando quello che neppure possiamo sognare. Ha senso essere figli di Dio per aprire dinnanzi a noi non uno spiraglio ma per spalancare l’orizzonte sul quale affacciarci tutti i giorni e verso il quale rifugiarci: non pigramente ma in un modo impegnato, sorretti dalla speranza cristiana, cioè dalla Parola di Gesù Cristo, da questo bambino che viene per darci la certezza: la vita beata.
Ha senso essere figli di Dio nei nostri rapporti con gli altri? Tanto! Se siamo figli di Dio gli altri non sono più gli “altri”. Gli “altri” sono come noi: partecipi della stessa vita, della stessa natura, dello stesso amore di Dio; sono gli eredi della stessa eredità di nostro Signore Gesù Cristo; sono il prezzo dello stesso riscatto. Nel pensiero di Dio, “gli altri” sono più in timi a noi di quanto noi non lo possiamo essere a noi stessi. Tanto ci vuole uniti, tanto ci vuole collegati il nostro Dio! Vincolati non da un vincolo di forza o di costrizione ma da un vincolo di amore, il sentimento più bello di una creatura umana.
Questo è il significato di essere figli di Dio nei confronti degli altri. E allora veramente, come dice Paolo Vl, “Ogni uomo è mio fratello” al di là della razza, della cultura, della religione, della fede. Ma si, anche al di là della fede perché Dio va al di là della fede. E’ un grande mistero ma Dio ama tutti, salva tutti e vuole salvare tutti per mezzo di quel piccolo “resto” che è nel mondo, che crede e si affida a Lui.
Che responsabilità, la nostra rispetto a tutto il mondo!
Se il nostro atteggiamento e quello della maggior parte delle persone fosse questo: più amore verso gli altri, come sarebbe diverso il volto del mondo, come davvero la società assumerebbe ”un volto umano”! Sapete, perché lo avete sentito alla radio o alla televisione, che cosa avviene oggi: due popoli, due razze ma entrambi discendenti da Abramo, l’ eletto di Dio, cercano la via della pace. Tutti siamo discendenti di un unico Padre che sta nei cieli. Che gli sforzi che ci sono nel mondo per cercare la pace abbiano a trionfare! Questo significa essere figli di Dio, avere coscienza di essere fratelli.
Questo è il senso della nostra celebrazione. Questo è l’augurio che di tutto cuore vi rivolgo ancora una volta.
Messa vespertina, ore 18 in S. Andrea
ST 352 Natale 77
Stampa “La Cittadella” 8 Gennaio 78