A Parma con i diaconi di Mantova che si preparano all’Ordine Sacro
L‘ ordinazione sacra, che è un gesto sacramentale compiuto da Gesù Cristo nella sua chiesa e per mezzo della sua chiesa, incide proprio nell’ intimo della vostra persona.
Credo non sia esagerato dire che incide proprio nel costitutivo della vostra persona, non facendo qualche cosa a se stante, ma operando qualche cosa che vi lega a nuovi rapporti prima di tutto con Gesù Cristo, poi col Vescovo, poi col Presbiterio, poi con il Popolo di Dio, tenuto conto -per quanto è possibile – della situazione in cui oggi, a Mantova, si svolge concretamente il vostro ministero.
Il primo significato di questo evento è un rapporto nuovo con nostro Signore Gesù Cristo. Voi fino ad oggi siete stati discepoli di nostro Signore Gesù Cristo a titolo pieno perché noi ci riferiamo al Gesù storico, vivente nello spirito nella sua chiesa nel mondo di oggi e in tutti i tempi.
Gesù tra i suoi discepoli, ad un determinato momento, si può dire abbastanza presto nel tempo del suo ministero, ne ha costituito “dodici” Non solo ne ha scelto dodici, ma li ha costituiti, e li ha costituiti proprio perché avessero un rapporto personale con lui prima ancora che in ordine alla continuità della sua missione.
Gesù ai dodici si rivela con chiarezza, per guanto è possibile prima della venuta dello Spirito. Ricordate ciò che è registrato da san Giovanni: “Avrei ancora molte cose da dirvi ma ora non siete ancora capaci di accoglierle. Quando verrà Colui che il Padre manderà in nome mio Egli vi introdurrà in tutta la verità”. Suppone una rivelazione completa, definitiva, ma intanto si può registrare che i dodici entrano in una intimità di conoscenza con nostro Signore Gesù Cristo che non è concessa agli altri.
Inoltre i dodici sono posti nella condizione di condividere la vita di nostro Signore Gesù Cristo: lo seguono ininterrottamente giorno e notte, stanno con lui, vedono ciò che fa, e si può dire che fanno quello che fa Lui. La loro esistenza non è più appoggiata alle proprie famiglie, alla loro professione, al mestiere, ma è legata a nostro Signore Gesù Cristo, alla sorte di nostro Signore Gesù Cristo.
Questo legame alla sorte di nostro Signore Gesù Cristo ad un certo momento li metterà in crisi perché, nonostante tutto, non avevano ancora capito il mistero della persona di nostro Signore Gesù Cristo. Se ne erano fatti una immagine corrispondente a quella della maggior parte della gente che vedeva nel messia un liberatore, colui che avrebbe fatto qualche cosa di grande, colui che avrebbe fatto qualche cosa di importante da un punto di vista politico e civile, in mezzo al suo popolo. Questa crisi si accentuerà e raggiungerà il suo vertice durante la passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo.
Comunque, è importante la condivisione della vita di nostro Signore Gesù Cristo, è importante l’esperienza di vita con Lui. Ai dodici Gesù fa una rivelazione più chiara di se stesso e col suo comportamento apre l’orizzonte sulla concezione di Dio, apre la strada alla rivelazione del Padre.Questo è l’aspetto più decisivo in ordine alla loro formazione. Dobbiamo supporre che Gesù abbia molto parlato del Padre. Ne cogliamo i riflessi da quella singolare espressione di Tommaso: “Mostraci il Padre e saremo pienamente soddisfatti”.
Quale Padre ha rivelato nostro Signore Gesù Cristo? Ha rivelato suo Padre, il Padre di tutti gli uomini, un Padre degli uomini veramente Padre che vive per i propri figli, che sta dalla parte dei propri figli, che sta specialmente dalla parte dei più deboli, che sta dalla parte di quelli che sono maggiormente in pericolo di allontanarsi da Lui e quindi di perdersi. Ciò che Gesù dice del Padre alle folle con le parabole della pecora smarrita, del Figliolo prodigo, della dracma perduta, certamente ai dodici l’ ha chiarito molto più abbondantemente e non soltanto con parole ma anche attraverso i suoi atteggiamenti. Gesù perdona. Gesù insegna a perdonare settanta volte sette. Gesù insegna a pregare per i più lontani e per i nemici. Ne viene fuori una rivelazione del Padre tutto proteso alla salvezza dell’uomo.
Questo é importante. Il Padre, il Dio della salvezza dell’uomo, il Dio che dà compimento a tutta la rivelazione passata: un Dio per gli uomini, un Dio che valorizza gli uomini, un Dio che ha come unico interesse quello della salvezza dell’uomo che si è allontanato da lui, emerge impresso nell’animo dei dodici come frutto della condivisione di vita con nostro Signore Gesù Cristo, come frutto di una esperienza personale con nostro Signore Gesù Cristo.
Nostro Signore Gesù Cristo dà una grande lezione ai dodici. La dà anche alle folle, ma i discepoli, i dodici li prende in disparte perché vuole fare di loro dei testimoni, coloro che hanno l’esperienza di ciò che Egli è, e di riflesso, di ciò che il Padre è per gli uomini.
Da tutta questa preoccupazione di Dio per la salvezza dell’uomo ne viene fuori il valore dell’uomo. Gesù insegna a commisurare il valore dell’uomo con la sua persona: ” Tutto quello che avrete fatto a uno di questi miei più piccoli l’avrete fatto a me”, che trova riscontro più chiaro nell’altra espressione, anche se può sembrare che suoni in un altro senso: C”Chi ascolta voi ascolta me e chi ascolta me ascolta Colui che mi ha mandato”. Riferendola alla prima citazione: quello che avrete fatto a uno di questi miei più piccoli lo avrete fatto a me e l’avrete fatto al Padre. Quindi Gesùsi mette nella persona dell’uomo. Quindi Dio si mette nella persona dell’uomo.
Il valore della persona è determinato da questo riferimento, da questo rapporto, da questo legame che diventa un fatto di comunione di vita, fatto singolare e unico rispetto a tutte le religioni, che è l’apice della salvezza, il traguardo insperato e insospettabile della salvezza: la proiezione al più alto livello della dignità dell’uomo.
Tutte queste cose imparano i dodici per una assiduità di vita alla scuola di nostro Signore Gesù Cristo. Questo mi pare che sia importante e da mettere in risalto per voi. Oggi ci sono tanti criteri, tanti metri, tante categorie per definire l’uomo. Noi ne possediamo una che ci viene da nostro Signore Gesù Cristo e che le trascende tutte. Le motivazioni per cui noi annunciamo il vangelo di salvezza e stiamo dalla parte dell’uomo sono motivazioni profondamente religiose, che possono avere una conferma o una verifica nelle scienze dell’uomo, ma noi non ci appoggiamo alle scienze dell’uomo per sapere ciò che c’è nell’uomo.
Ieri abbiamo letto nel vangelo che Gesù non si affidava in quel momento agli uomini perché sapeva quello che c’era nel cuore degli uomini. Ma lì é detto in senso pessimistico. In questo momento Gesù non dice quello che fa per l’uomo, non dice quello che Egli é per l’uomo. Quella é una espressione detta in un contesto di polemica.
La decisione di costituire questi dodici in una particolare situazione e in un particolare rapporto con lui ai fini della successione, ha il suo momento forte, anche se non ancora decisivo, nel Cenacolo nell’atto della istituzione della eucaristia. Ciò si può cogliere nella così detta preghiera sacerdotale. Nel cenacolo i dodici si trovano nel più profondo della intimità con nostro Signore Gesù Cristo, nel più vivo di una esperienza, ad un traguardo che segna e realizza simbolicamente (attraverso un gesto sacramentale) il dono che Gesù Cristo fa di se stesso e che avrà il suo compimento nell’alto della croce. I dodici non saranno ai piedi della croce.
I dodici, però, sono nel cenacolo quando il sacrificio della croce è celebrato simbolicamente e di questo sacrificio ricevono l’ordine di farne memoria. E’ un momento carico di significato non soltanto in ordine alla continuazione della celebrazione eucaristica, ma in ordine alla esperienza del cenacolo. I dodici hanno assistito. I dodici hanno partecipato a quel momento drammatico del cenacolo. Se -tolto Giuda- sentimentalmente tutti erano vicini a Gesù ed erano disposti a seguire la sua sorte, realmente questo non lo hanno fatto. Lo faranno quando Gesù li selezionerà. Con quale gesto non lo sappiamo con precisione. Con tutta probabilità, con la imposizione delle mani preceduta dalla promessa del dono dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste.
Il giorno di Pentecoste i dodici capiscono il mistero di nostro Signore Gesù Cristo.L’esperienza che hanno fatto con lui rivive sotto un’altra luce, la vera luce, con una intensità unica che li spinge a parlare ex abbundantia cordis. I dodici dicono ciò che portavano dentro di loro da tanto tempo in un modo confuso ma reale, che è diventato chiaro e che li spinge ad essere i testimoni di nostro Signore Gesù Cristo, perché sono stati con lui dal momento del battesimo di Giovanni fino alla sua ascensione al cielo.
Ciascheduno di voi si trova alla vigilia della ordinazione presbiterale con la sua esperienza di nostro Signore Gesù Cristo, con la sua esperienza religiosa. Si può ritenere che è proprio l’ordinazione sacra con il dono dello Spirito Santo che vi mette nella condizione singolare di una apertura alla percezione della verità del mistero di nostro Signore Gesù Cristo, che vi dispone e vi dà la garanzia di poter entrare in un rapporto di esperienza diretta con nostro Signore Gesù Cristo. Non è un rapporto religioso o una esperienza religiosa che può fare ogni cristiano; è un rapporto che diventa possibile in modo unico per una grazia legata al sacramento dell’ordine.
Il sacramento dell’ordine non conferisce soltanto dei poteri rispetto alla chiesa. E’ prima di tutto una apertura singolare dei nostri rapporti con nostro Signore Gesù Cristo. Quindi: la grazia della esperienza religiosa, la grazia della comprensione del mistero e del comportamento di nostro Signore Gesù Cristo, la grazia della visione che Egli ha del Padre e del mondo, creatura del Padre, sono un dono della ordinazione, che ci dispone quindi all’intimità nel senso più vasto di tutti gli aspetti della esistenza con nostro Signore Gesù Cristo.
L’ esperienza religiosa che noi sacerdoti possiamo fare di nostro Signore Gesù Cristo è una esperienza che ha fondamento non solo nel Battesimo e nella Cresima ma anche in un sacramento nuovo che è dato proprio per le nostre persone in ordine evidentemente al ministero della salvezza, al ministero della riconciliazione. E’ un sacramento che tocca le nostre persone non in un modo semplicemente funzionale per fare di noi dei funzionari, ma in modo vitale così che, ciò che esprimiamo nelle azioni del nostro ministero abbia una rispondenza nella nostra persona.
Dio fa cose autentiche. Dio fa cose che sono vere in tutta la estensione delle realtà in cui sono introdotte. Se noi siamo introdotti nella realtà del mistero di nostro Signore Gesù Cristo, è perché antecedentemente abbiamo la grazia,la possibilità di introdurci nella vita di nostro Signore Gesù Cristo. Detto questo capite quali sono le conseguenze. Dobbiamo essere più preoccupati di fare ciò che ci affida nostro Signore Gesù Cristo o di essere ciò che è nostro Signore Gesù Cristo nella realtà della nostra persona?
Ne vengono fuori alcune esigenze. La prima è quella di vivere interiormente il nostro rapporto con Gesù Cristo nella verità della preghiera. La preghiera non è un fatto accidentale e non è neppure un ufficio. Noi nella chiesa abbiamo anche l’ufficio di pregare a nome di tutta la chiesa, di introdurre nella chiesa la preghiera stessa di Gesù Cristo a favore di tutto il mondo, ma prima di tutto questo, noi dobbiamo realizzarci come preghiera, dobbiamo essere preghiera nel senso dei nostri rapporti singolari con nostro Signore Gesù Cristo.
Gesù Cristo nella sua vita, prima di tutto è stato totalmente rivolto al Padre. Il suo sguardo non si è mai distaccato dal Padre per vedere quale era la sua volontà e nella volontà del Padre, Gesù, il Figlio dell’uomo, ha scoperto che cosa voleva essere il Padre per gli uomini: che cosa vuole essere Dio per gli uomini.
Noi siamo in questa situazione: –da una parte dobbiamo vivere in mezzo agli uomini che manifestano le loro esigenze, –dall’altra il nostro sguardo deve essere rivolto a Dio per vedere quali sono le esigenze di Dio nei confronti degli uomini perché è dalle esigenze di Dio che noi dobbiamo misurare e giudicare le esigenze degli uomini.
Le esigenze degli uomini possono essere impellenti, gravi, urgenti, ma rischiano di essere delle pseudo esigenze quando non corrispondono a ciò che Dio vuole fare per il bene dell’uomo. Questo lo possiamo scoprire solo nella preghiera che diventa un momento illuminante della nostra vita per ciò che dobbiamo essere noi in mezzo agli altri e per la vita degli altri.
La preghiera, che realizza un rapporto per mezzo di Gesù Cristo, sotto l’azione dello Spirito Santo, con il Padre, è un cammino nella verità profonda del mistero di Dio: nel mistero di Dio che si rivela in ciò che Dio fa. Questa è la strada della rivelazione: Dio si rivela non in se stesso ma in ciò che Egli fa per l’uomo. Quindi la preghiera diventa studio, approfondimento della rivelazione con tutti gli strumenti a nostra disposizione per approfondire il mistero di Dio: studio anche tecnico, studio anche sistematico con gli strumenti che ci appresta la scuola, strumenti non trascurabili e preziosi, da non mettere mai da parte perché, la nostra ricerca di Dio, attraverso ciò che Dio vuole fare per l’uomo, diventi vera. E’ esatto ritenere che le situazioni, sempre rinnovantesi, in cui si vengono a trovare gli uomini, dicono qualche cosa di Dio, sono rivelatrici di Dio e noi con l’approfondimento della rivelazione troviamo, proprio nella rivelazione, la risposta alle esigenze che nascono nell’uomo dalle situazioni storiche nelle quali si trova l’uomo.
Aggiungerei una osservazione prima di terminare. E voi vi trovate in una condizione singolare, come ho già espresso in quelle due righe che ho scritto per la cittadella. Qualcuno di voi sa in che modo affrettato! Voi, più degli altri siete nella condizione di essere aperti al mondo di oggi, di essere al passo con la evoluzione del mondo di oggi, ma questo non deve determinare in voi la presunzione di sapere più degli altri; deve creare in voi, invece, un senso di responsabilità.
C’è anche un pericolo: se questa vostra sensibilità, se questa vostra sintonia con il mondo non è riferita, confrontata, giudicata al riflesso che c’è nel piano di Dio per la salvezza di questo mondo, voi non assolvete il vostro compito. Detto in un altro modo: voi dovete essere capaci di scoprire qualche cosa che non è stata ancora scoperta del tesoro della rivelazione, di ciò che Dio vuole fare per l’uomo di oggi. L’uomo di oggi rispetto all’uomo della storia di tutti i tempi, è entrato in dimensioni spaziali, culturali, sociali, politiche dove l’umanità non era mai arrivata. Se tutto questo è grandioso di per se stesso, dall’altra parte, cioè dalla parte di Dio, si deve pensare che ci sia in serbo qualche cosa di più stupendamente grandioso per rispondere a questa situazione.
Se questa situazione, con gli aspetti positivi che porta con sé, è accompagnata da aspetti terrificanti per ciò a cui il mondo può andare incontro,indubbiamente si deve scoprire una misura, una dimensione della potenza della salvezza che vale per i nostri tempi, per i nostri giorni. E questo vale, insisto ancora, se noi lo scopriamo in rapporto di approfondimento che ci conduca nella profondità abissale del mistero di Dio. Quindi con la preghiera e lo studio
Dall’altra parte c’é certamente un modo di concepire il ministero che sia corrispondente alle esigenze del mondo attuale, un modo di concepire il ministero che sapete già, che vi mette in una situazione di conflitto – inteso bene!- rispetto ad una grande parte del presbiterio che va compreso, giudicato e affrontato cristianamente.
(-Non si sente la domanda-)
E’ un punto di notevole importanza che ha acutizzato -direi – il concilio. C’é stata una corrente nella chiesa, – sfociata nel concilio, che é stata sanzionata dal concilio – quando della chiesa si aveva una concezione piuttosto giuridica con la prevalenza sull’aspetto istituzionale. Bastava ci fossero tutte le condizioni giuridiche perché fosse salva tutta la istituzione. Quindi bastavano le condizioni giuridiche perché il ministero avesse la sua validità. Questo anche a causa di una interpretazione parziale dell’insegnamento del concilio di Trento il quale aveva insegnato che i sacramenti operano ex opere operato e si lasciava facilmente fuori la completezza dell’insegnamento del concilio che dice: ex opere operato secundum unius quisqumque actionem et cooperationem. Quindi già il concilio di Trento richiedeva questa coincidenza di vita.
Con l’azione sacramentale la nuova ecclesiologia che é fondata sul mistero della presenza di nostro Signore Gesù Cristo nella dimensione trinitaria del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, questa esigenza la fa balzare in primo piano. Quindi il prete tradizionale soddisfa tutte le esigenze del diritto canonico quando ” facit fructus suus” riguardo al beneficio; compie tutti i suoi compiti quando ha fatto la “dottrina”, é assiduo al confessionale, celebra rubricisticamente bene la messa, amministra validamente i sacramenti.
Fare il prete non può più essere una funzione, tanto meno un mestiere. Si é arrivati, in una certa epoca della storia, a concepire il prete in ordine alla celebrazione della messa e si moltiplicavano le cappelle nelle chiese. Vedi il duomo e sant’Andrea e tante altre chiese. Si moltiplicavano le cappelle a favore di tutte le comunità. Tutte le comunità religiose hanno la loro cappella. Si moltiplicavano le cappelle anche a favore dei privati e con la cappella coincideva il cappellano il quale diceva la sua messa. Si faceva il prete per dire la Messa!
Adesso la prospettiva é molto cambiata. L’evangelizzazione prende il primo posto. Don Pino Colombo ( )la prima sera, ha messo in evidenza come la teologia della evangelizzazione sia poco sviluppata. Ha detto che passa sopra la testa della gente e non ha incidenza perché é una evangelizzazione che non corrisponde alla vita della chiesa.
L’evangelizzazione deve essere la espressione della vita della chiesa, quindi della vita di tutti i membri della chiesa, proporzionatamente al ruolo che ciascuno ha nel ministero della evangelizzazione. Su questo ritorneremo, tanto, per determinare una evoluzione della chiesa molto sentita in questo senso.
OM 524 Parma 76_1