anniversario di consacrazione episcopale
Duomo il 15 Giugno 1977
Miei cari,
se compiere venticinque anni di episcopato significa trovarsi in questo istante nell’atto in cui ho la grazia di presiedere la concelebrazione in mezzo ad uno stuolo di sacerdoti, io lo accetto, e inabissandomi nel mio niente più sincero, dal più profondo del cuore, ringrazio il Signore, perché una ventura come questa tocca a pochi nella chiesa di Dio oggi. Credetelo.
Voi capite allora come il mio venticinquesimo di episcopato si esprime, si celebra nella persona di ciascuno di voi, in quello che voi siete, anche per l’accoglienza che avete riservato al mio ministero, in quello che siete e fate in questo momento:
voi sacerdoti tortonesi, con il caro mons. Riccardi, l’ultimo, ma solo in ordine di tempo, in quella schiera di sacerdoti esimi che vissero dimentichi di sé e dediti all’unico bene che ispirava la loro esistenza, quello della Diocesi, andando incontro a rinunce e sacrifici oggi inconcepibili; sono questi i sacerdoti che vivevano la realtà della chiesa particolare, senza che ne avessero la nozione. Ieri ho incontrato, su invito del Vescovo di Tortona, oltre un centinaio di preti tortonesi, fra i quali dopo venticinque anni è, per bontà loro, ancora vivo, fresco e gioioso il rapporto che si stabilì in quei tempi che, di fatto, sono lontani ma che la memoria del cuore ha reso presenti: è stata constatazione comune che il riportarci ai tempi in cui venivano piantate le nostra radici, il terreno di quella chiesa, per la presenza di quei maestri, era singolarmente fecondo;
voi cari sacerdoti monopolitani, con cui ho vissuto per quindici anni, indubbiamente gli anni di grazia che sono stati quegli anni; mi guardo bene dal dire anni migliori o di definirli altrimenti, perché, nella economia della salvezza in cui siamo immersi, ogni giorno deve essere migliore e domani deve essere migliore di oggi. Ma anche qui la memoria del cuore viene sollecitata per rendere grazie a Dio di avermi fatto vivere in mezzo a quella popolazione, in quell’ambiente, di avermi fatto vivere in mezzo a quei sacerdoti!
voi, cari sacerdoti mantovani. Forse avete letto di tante cose che sono state scritte sul vescovo e sapete che quando si scrive si cerca di far colpo, ma lasciamo andare, è stata scritta una cosa che vorrei diventasse sempre più vera ogni giorno: che sono il vescovo dei miei sacerdoti. Io lo voglio essere non perché ne senta maggiormente il bisogno, perché so di avvicinarmi alla vecchiaia, ma per una convinzione che spero mi renda sempre più attento, sollecito e santamente geloso dei miei sacerdoti, anche se corro il rischio di lasciare l’impressione di fare delle preferenze.
Ma voi sapete come sia profonda la mia convinzione che da vescovi, nella santa chiesa di Dio, non possiamo fare nulla senza di voi: lo dico senza pentimenti. Come è vero che non possiamo fare nulla senza nostro Signore Gesù Cristo, così è altrettanto vero di voi. Non abbiamo braccia, non abbiamo voce, non abbiamo neppure cuore per raggiungere tutti quelli che ci sono stati affidati per realizzare quella chiesa a cui presiediamo, quella chiesa che è la nostra Sposa. Penso che questo lo abbiate compreso, che in questo momento lo comprendiate, e se il Signore ci darà degli anni da vivere ancora insieme, lo abbiate a comprendere tutti i giorni.
Questa convinzione non è semplicemente frutto di un ragionamento della intelligenza, né frutto di un modo di sentire; è frutto di un modo di essere, di essere così compaginati, di essere così fatti. Questo spiega il mio comportamento, i miei ritardi, la mia, qualche volta non intesa, pazienza, perché io non devo andare di là dei miei preti, non devo passare sulla loro testa o fare senza di loro. Quante volte potrebbe venire la tentazione di fare da soli perché si è portati a pensare che si farebbe più presto! Questo discorso che così mi è venuto potrebbe sollevare qualche dubbio, qualche interrogativo nel mio animo come e posso pensare, anche nel vostro: è proprio vero che faccio per voi tutto quello che devo fare? Che sono per voi quello che devo essere? Che mi sforzo di essere quello che il Signore e voi chiedete che io sia?
Non so. Ho anch’io i miei dubbi. Ma se qualche volta lo avessi fatto volontariamente, vi chiederei scusa, ma volontariamente mi pare di non averlo fatto mai. Sono i miei limiti e di limiti in me ne scoprirete ancora, ma questo vi porterà a guardare al vostro vescovo non tanto secondo la sua statura umana, ma secondo la misura della grazia di Nostro Signore Gesù Cristo, secondo quella statura che ha concepito il Padre di Nostro Signore Gesù Cristo per la grazia dello Spirito Santo, a cui rispondo così come rispondo. In S. Andrea, dinanzi ai nostri fedeli, ho detto che rispondo anche con la mia pigrizia; una parola che non è piaciuta. E’ una parola – a volte sono un po’ dispettoso – che ripeto anche qui perché la ritengo vera.
Ecco, miei cari, che cosa vi attendete dal vescovo oggi? Credo che più di così non possiate attendervi. Non sono questi i giorni dei discorsi preveduti, dei discorsi studiati, dei discorsi che hanno un certo loro gioco per cattivare una certa attenzione. No, non sciupiamole queste occasioni, prendiamole per quello che sono. Sono ricche e meravigliose: immergiamoci nella realtà che viviamo. E questo breve spazio di tempo sia seme per il futuro.
Ecco, vi dico con la chiesa che parla attraverso le letture, non solo quelle della celebrazione eucaristica ma anche quelle del breviario – lo abbiamo letto ieri – “non temete, io sono con voi”. Non io. Colui che dice così è con me ed è con ciascuno di voi. Sapete che io sono dell’avviso che oggi nella chiesa non si debbano tanto compassionare i vescovi quanto voi che siete in prima linea, voi che avete dinnanzi il mondo che si rinnova, il mondo che si fa i suoi idoli, che cammina verso la strada paurosa della insensibilità, della “dura cervice”, che ha bisogno di essere salvato.
Forse questo mondo, questi nostri fratelli cominciano a fare l’esperienza che i vari idoli non li salvano. Noi dobbiamo erigere con evidenza nella nostra persona più che nel nostro ministero l’immagine del Dio vivo, I’immagine del buon Pastore, I’immagine di una “presenza” animata dallo Spirito Santo, l’immagine di chi spera contro ogni speranza, perché ha la garanzia che gli viene dalla parola del Signore ripetuta per tanti secoli lungo la storia della salvezza e mai smentita: “Non temete, io sono con voi”.
ST 361 Vescovo 77
Duomo il 15 Giugno 1977
Stampa “La Cittadella” del 26 Giugno 1977